Il vero volto di S. Antonio di Padova: rendiamogli giustizia.

Con un gran battere di grancassa lo scorso 6 giugno le massime autorità antoniane avevano annunciato l’imminente disvelamento del vero volto di S. Antonio di Padova, ottenuto con una ricostruzione forense curata dal Museo di Antropologia dell’Università di Padova. L’immagine, era stato garantito, sarebbe stata nientemeno che la più vicina alla realtà mai realizzata in otto secoli di storia.

L’assoluta credibilità dell’operazione era assicurata da uno staff di prim’ordine – per la sua composizione rimandiamo all’articolo già pubblicato – i cui successi raggiunti in ambiti consimili, anche criminologici, non lasciavano dubbi sulla certezza del risultato.

Raccolti tutti i dati, con base il cranio del Santo, l’incarico di ricostruire tridimensionalmente il volto è stato affidato all’artista digitale Cicero Moraes, designer brasiliano di trentun anni, dell’Università di Sinop, nel Mato Grosso.

E per essere maggiormente scientifici e tecnologici è stato scelto di non comunicargli il nome dell’indagato, tant’è che nella conferenza stampa di annuncio dell’esposizione del volto Nicola Carrara, conservatore del Museo di Antropologia, aveva dichiarato: «Volevamo che Cicero Moraes lavorasse alla cieca, per non essere influenzato dalla grande personalità cui apparteneva quel cranio. Gli abbiamo comunicato solo i dati essenziali: maschio, 36 anni, caucasico e gli abbiamo lasciato campo libero»

Campo libero e alla cieca, appunto. A nostro avviso troppo incautamente libero e cieco.

Il risultato lascia esterrefatti. Dovremmo quindi figurarci, nel nostro immaginario, un S. Antonio pacioccone, dalle guance gonfie come quelle di un porcello all’ingrasso, con lo sguardo sperso nel nulla e il sorriso, appena accennato, imprimente alla sua espressione un effetto ebetoide?

Cosa quindi non ha funzionato? Non ha funzionato il fatto che S. Antonio non è un criminale attuale, del quale sicuramente tutta l’equipe che vi ha lavorato può ricostruire egregiamente le fattezze.

 

S. Antonio invece era un mistico ed un eremita: si macerava in digiuni, viveva nella preghiera e nella penitenza, addirittura si fece costruire una cella sopra un noce per poter vivere in silenziosa contemplazione; fu travagliato da continue infermità e compiva miracoli straordinari pari a quelli di Gesù, come si legge anche nella biografia pubblicata nel sito della Basilica a lui dedicata e che è stata uno dei promotori della ricostruzione.

Perciò, pur essendo di struttura naturalmente corpulenta, il che spiega il risultato pedissequamente ottenuto, il suo volto sicuramente mostrava quale fosse il suo tenore di vita e la sua spiritualità.

Chi sarebbe stato attratto da un missionario tozzo e tarchiato – era alto un metro e settantuno – con un viso da giovane ben pasciuto e dalle guance gonfie di grasso?

 

Viceversa, il portale della comunità antoniana (pagina attiva fino alla data di stesura di questo articolo e ora rimossa, ndr) riferisce che, a seguito dell’ultima ricognizione dei suoi resti mortali (gennaio 1981), l’équipe di specialisti, che ne fecero un’accurata analisi, per quanto riguarda il suo volto aveva concluso che:

  • La testa era di forma dolicocefala, cioè allungata, con una capacità cranica considerevole (cm 1.650).
  • Non aveva una faccia tondeggiante, ma stretta e lunga
  • il mento era pronunciato, alto, forte, leggermente squadrato
  • Gli occhi erano grandi e profondi
  • il naso aquilino
  • i capelli neri
  • la dentatura sana e regolare. Tutti i denti conservati, nemmeno un principio di carie: il che la dice lunga sulla dieta vegetariana da lui seguita.

                            

E allora come si concilia quello studio con la ricostruzione in 3D effettuata adesso?

Forse valeva la pena di usare la santa prudenza, che è la prima delle virtù cardinali, e non affidare incarichi alla cieca a chi è avvezzo a ricostruire principalmente i volti dei criminali.

Di più, per quel grandissimo Santo non occorreva rivolgersi agli esperti di tecniche forensi, era sufficiente quel che già si conosceva.

Non resta che chiedere a S. Antonio di compiere un altro strepitoso miracolo: conclusa la mostra di cui anche il suo presunto busto fa parte, non se ne parli proprio più e il bell’artefatto venga rinchiuso in qualche scantinato lontano dagli sguardi dei suoi devoti.

Paola de Lillo