“Io, immigrato e italiano vi dico che questo è schiavismo” di Andrea Zambrano

Toni Iwobi“Non è questa l’immigrazione che ho conosciuto io”. Toni Iwobi ha appena finito il suo intervento al Senato. L’aula di Palazzo Madama è in totale silenzio. E’ un emiciclo stranamente muto: ha di fronte a sé l’unico tra gli eletti italiani che può parlare di immigrazione a ragion veduta. Il senatore leghista di origini nigeriane è un simbolo scomodo perché la prima volta che il Parlamento ha tra i suoi rappresentanti un afroamericano, e non è il “nero” che ti aspetti.

Infatti, dopo il suo intervento in Senato, seguito all’informativa del ministro degli Interni Salvini sul caso Aquarius, l’aula di Palazzo Madama è muta: “Reazioni? Nessuna, soprattutto dai partiti di opposizione, erano tutti d’accordo con me infatti per alcuni secondi c’è stato un silenzio enorme perché tutti sanno che nessuno può parlare di immigrazione se non i diretti interessati”. E Iwobi, un diretto interessato lo è. Classe 1955, arrivato in Italia nel 1975 per studiare e quel giorno nessuno – neppure lui – avrebbe immaginato che 40 anni dopo si sarebbe trovato a sedere tra i banchi degli onorevoli. Miracoli di un Paese che dà davvero una chance a tutti, ma solo se si decide di abbandonare il buonismo e l’assistenzialismo, la retorica e le comodità della vulgata immigrazionista.

In questa intervista con la Nuova BQ emerge il profilo di un italiano-nigeriano finalmente integrato, così lontano dai cliché e dalla realtà di tutti i giorni dove il multiculturalismo pretende di annullare le differenze e quindi livella tutto, anche i sogni e le capacità. Oltre alle regole.

Iwobi, partiamo da qui: lei ora non è più un immigrato, ma un italiano.
Io resto un immigrato e sarò sempre un immigrato, ma italiano. La mia è un’esperienza di immigrazione sana e controllata, la cui molla non è il miraggio di un eldorado che non c’è.

Perché allora è partito?
Per partire bisogna avere una motivazione ben precisa, non si parte all’avventura…

E lei ce l’aveva?
Dovevo averla a tutti i costi perché ai miei tempi per ottenere il visto in Italia c’era un massiccio controllo, bisognava avere tutti i documenti in regola. E’ sulla base di questo che oggi ritengo che la prima condizione per aiutare i nostri fratelli sia quella di essere seri e responsabili.

Quali motivazioni aveva, dunque?
Io sono arrivato 41 anni fa con il visto da studente. Il visto era indispensabile per iscrivermi in un istituto italiano, volevo acquisire una formazione superiore di qualità e poi il mio obiettivo era quello di tornare nel mio Paese, la Nigeria, e mettermi a disposizione.

Però è rimasto in Italia…
Il destino mi ha fatto incontrare una donna italiana e mi sono innamorato. Dopo il matrimonio ho deciso di rimanere qui rispettando la cultura e le leggi del Paese che mi stava ospitando. Oggi voglio restituire tutto questo per il bene del mio Paese. Anche fare verità sulle disfunzioni pericolose di questo sistema falso di accoglienza è un modo per aiutare il mio Paese.

In 40 anni chissà quanti episodi di razzismo…
Mai.

Mai?
Il razzismo, se vogliamo chiamarlo così, è un sentimento umano che dipende più da colui che lo subisce. Chi cerca di rispettare l’ambiente e le leggi del Paese che lo ospita non deve temere razzismo.

Sta dicendo che il razzismo è colpa degli immigrati? Un facile cliché…
No, sto dicendo che il rispetto chiama rispetto. Non ho mai subito direttamente atti di razzismo perché anzitutto io l’Italia l’ho scelta e questa convinzione deriva dalla mia voglia di vivere qui. Quando uno rispetta l’ambiente in cui vive almeno l’80% di quel rispetto gli viene restituito.

Veniamo al punto cruciale: in tanti le avranno rinfacciato che lei è contro questi immigrati, ma 40 anni fa lei era nella stessa condizione…
E io ribadisco che non solo questa non è l’immigrazione che ho vissuto io, ma che questa non è nemmeno immigrazione.

Cos’è, allora?
E’ schiavismo.

Schiavismo?
Studiamo la storia che è ciclica. Lo schiavismo moderno di 250 anni fa si sta ripetendo. Ieri partivano schiavi dall’Africa per le piantagioni di cotone, oggi si stanno ripetendo le stesse dinamiche sotto gli occhi di tutti, ma la motivazione è il lavoro a basso costo e lo sfruttamento della prostituzione.

In comune c’è sempre l’Africa.
L’Africa è stata depredata delle sue risorse migliori. Prima quelle naturali e oggi è saccheggiata delle sue risorse umane. Chi arriva qui arriva ingannato, vittima di una trappola.

Ma lei ha ancora contatti con il suo Paese d’origine?
Certamente. Negli ultimi due mesi ho lavorato con l’ambasciata nigeriana in Vaticano e in Italia e siamo d’accordo sul fatto che l’Africa deve essere lasciata libera di autosvilupparsi perché ha tutte le carte in regola per crescere a livello economico. Certo, deve essere aiutata, ma questo è l’unico modo se amiamo veramente l’umanità.

In che cosa consistono i suoi rapporti con le ambasciate?
Il mio impegno, portato avanti già come responsabile immigrazione della Lega è quello di portare progetti di sviluppo in Africa, ma per farlo bisogna avere dei canali di interlocuzione che ad oggi non ci sono. Ne ho parlato anche con il vicedirettore del dipartimento di Stato americano relativo all’immigrazione e lui ha lodato questa nostra progettualità.

Di che cosa avete parlato?
Anche lui è d’accordo che siamo di fronte ad un fenomeno grave di tratta di esseri umani. Chi è contro la nostra ricetta, la Sinistra, ha sempre criticato senza avanzare mai una mezza soluzione.

Ha parlato di Vaticano, e di chi critica. Alcune prese di posizione, come quelle del cardinale Ravasi, non sembrano essere però sulla sua strada.
Parlo spesso con i vescovi, ho avuto anche un incontro recente con il vescovo di Bergamo. Io non voglio andare contro la Chiesa che è mia madre, ma la fede è fatta di uomini. Per questo non capisco per quale motivo i vescovi del cosiddetto Terzo Mondo sono contro questa falsa immigrazione e fanno di tutto per informare i loro fedeli e invece in Italia ci sono vescovi che la incentivano.

Che cosa gli direbbe?
Che il cristiano incentiva l’accoglienza, ma deve combattere la clandestinità perché la clandestinità alimenta la schiavitù. Il clandestino è in una posizione di sudditanza.

Li chiamano profughi, ma sappiamo bene che sono al massimo richiedenti asilo, ai quali per la stragrande maggioranza dei casi verrà rifiutato il visto…
Vedo che finalmente anche a livello europeo si sta parlando della nostra ricetta storica.

Macron e Conte hanno parlato della possibilità di hotspot per richiedenti asilo già in Africa.
Sta tutto nella volontà di risolvere questo problema. La cosa più importante da fare per iniziare è quella di riattivare gli accordi bilaterali che sono stati accantonati con gli ultimi governi. L’impegno internazionale è quello di attivare quanti più canali possibili. Una volta definita la strategia i metodi per creare una rete di sicurezza si possono discutere.

Perché sono stati interrotti gli accordi bilaterali?
Una scelta incomprensibile e dannosa soprattutto per l’Italia. Ma La Francia invece li fa. Recentemente ha concordato con il Niger un hotspot per richiedenti asilo. Tutto è possibile, ma lo sa perché quest’anno gli sbarchi sono diminuiti?

Perché il ministro Minniti…
Falso. Perché la Nigeria ha fatto un accordo con la Libia grazie al quale è riuscita a rimpatriare con i suoi mezzi oltre 6000 nigeriani e nigeriane. Eppure nessuno qui l’ha mai detto o scritto, ma si continua a dare il merito a Minniti.

Quale sarà il suo prossimo impegno parlamentare?
Presenteremo come Lega un disegno di legge che metta ordine in questo far west partendo dalle premesse che le ho detto.

E’ il progetto che presentaste nel 2016?
Sì, ma ora siamo al governo e abbiamo più forza.

Che cosa risponde al ricatto morale di alcuni cattolici che ricordano che Gesù è nato in una mangiatoia perché non c’era posto in albergo?
Che non va bene paragonare Dio a noi. Noi dobbiamo riconoscere che Dio ci ha dato tutto quello che c’è nella nostra umanità per gestirlo con amore. Non con l’ideologia.

 

La Nuova Bussola Quotidiana