La ragazza che non ebbe paura di essere diversa

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Se tutto è stato scritto e detto su Giovanna d’Arco, che enigma è però questa figura. Che enigma è questa vita sacrificata sul rogo, il 29 maggio1431, a pochi passi da qui. Non possediamo un ritratto dell’eroina, ma solo uno schizzo di Clément de Fauquembergue, cancelliere al Parlamento di Parigi nel 1429, che non ha mai visto Giovanna. Malraux aveva dunque ragione quando, nella sua commemorazione, della morte della santa scriveva: «Oh Giovanna senza sepolcro e senza ritratto, tu che sapevi che la tomba degli eroi è il cuore dei viventi; a tutto ciò per cui la Francia fu amata tu hai donato il tuo volto sconosciuto».

Dei suoi genitori, contadini agiati, Giovanna ha sperimentato fin dall’infanzia la presenza di Dio nella vita quotidiana e la compassione verso i più poveri, nel contesto drammatico della guerra. Giovanna fu prima di tutto una cristiana che diede sempre a Gesù il primo posto: «Nostro Signore primo servito».

Credere in Dio non è credere che Dio esiste, credere in Dio è credere che Dio interviene nella storia e nella mia vita. Giovanna non ha mai nascosto la sua fede, e di fronte a questa giovane, fragile e coraggiosa al contempo, dobbiamo chiederci come noi stessi viviamo la nostra fede nella nostra vita.

Certo, nella maggior parte degli uomini c’è un senso religioso, e si può dire che ogni anima umana ha un’apertura al sacro. Confrontandosi con la sofferenza, la morte e la libertà, ognuno si trova davanti a realtà che lo trascendono.

Gli uomini hanno sempre cercato Dio, ma il grande dramma è che l’uomo può dire no a Dio, andandosi a inginocchiare dinanzi a dei alla sua altezza.

Il che fa sì che il problema — ed è il problema di oggi — non sia più l’ateismo, ma l’idolatria. Accettare che Dio faccia irruzione nella propria vita non è mai una cosa comoda. Un personaggio della leggenda del Grande Inquisitore esclama: «Oh Cristo! Come ci hai disturbati!».

Giovanna è stata continuamente sconvolta e ha conosciuto più prove che consolazioni. Al termine della sua vita, ha sentito vacillare in sé la fede nella sua missione. Fu sottoposta alla più crudele delle torture: vide la Chiesa condannarla. Dovette superare questa prova con una purificazione della fede, un abbandono a Dio solo. Ci sono pochi santi che hanno vissuto una solitudine così profonda come questa giovane diciannovenne. Giovanna ha conosciuto la mediocrità incarnata dal re Carlo VII, la malvagità manifestata dalla Chiesa nella persona di monsignor Cauchon («vescovo, muoio per te») e infine l’apparente silenzio di Dio.

Ognuno di noi, prima o poi, viene posto di fronte alla sofferenza, al tradimento, alla malattia, alla morte: in quel momento, bisognerà credere che, malgrado tutto ciò, siamo amati, che tutto ciò ha un senso.

Nel mondo violento e senza pietà che ci siamo fabbricati, noi cristiani, se dobbiamo esercitare un potere, è quello che chiamo il «potere del cuore», della compassione. Nostro Dio è Padre, e in fondo, Maria ha dato a Gesù due cose che il Padre non poteva dargli: il sorriso e le lacrime. Quando a Hemingway veniva chiesto se credeva in Dio, lui aveva l’onestà di rispondere. «Sì, a volte la notte, ma ho paura».

Tutti i santi, compresa Giovanna d’Arco, hanno provato questa paura. Quando Giovanna muore, ha vent’anni, dodici mesi di battaglia e diciotto mesi di silenzio in prigione. È a partire dalla forza del suo silenzio che un Paese nascerà a una coscienza autentica.

Noi siamo chiamati a raggiungere il Dio che ci ha rivelato Gesù Cristo, anche quando tutto sembra sfuggirci di mano, quando tutti i nostri calcoli e i nostri ragionamenti non servono più a niente. E dobbiamo avere fiducia nel fatto che lo sguardo di Dio è sempre posto su di noi. Giunto nella sua parrocchia devastata dalla Rivoluzione, il Curato d’Ars notò un uomo che passava ogni giorno in chiesa. Gli chiese cosa faceva e quel contadino illetterato, senza rendersene conto, diede una delle più belle definizioni della preghiera e della vita con Dio: «Io Lo guardo e Lui mi guarda».

Ognuno di noi è invitato ad aver fiducia in Cristo, ad accettare come può uno sconosciuto, ma ad accettarlo esplicitamente: «Io Lo guardo». Si tratta di raggiungere il principio della nostra vita, Colui che dà senso a tutto ciò che siamo e facciamo. Si tratta di vivere quella comunione con Dio alla quale la preghiera ci prepara.

Ma la nostra via la tracciamo in mezzo alle vie degli uomini. Giovanna pregava ma era anche un comandante.

Nulla sarebbe più controproducente per la testimonianza del cristianesimo nel mondo di oggi di cristiani ripiegati su se stessi. Qualche giorno fa, Benedetto XVI, in visita pastorale in Toscana, ha ricordato che i fedeli laici — e Giovanna appartiene a questa categoria — illuminati, capaci di agire nel cuore della città, con la volontà di servire al di là degli interessi privati, hanno come vocazione principale quella di servire la società, il bene comune che conta molto di più del bene di ognuno di noi.

Mentre tanti giovani non hanno più fiducia nell’impegno politico o sociale, ha osservato il Papa, i giovani cristiani devono invece manifestare il loro impegno e il loro amore per le responsabilità, animati dalla carità evangelica.

E ai giovani italiani il Pontefice ha detto: «[vi] rivolgo l’invito a saper pensare in grande. Abbiate il coraggio di osare! Siate pronti a dare nuovo sapore all’intera società civile, con il sale dell’onestà e dell’altruismo disinteressato. È necessario ritrovare solide motivazioni per servire il bene dei cittadini».

Quando si pensa al contesto in cui tale convinzione è stata pronunciata, si può veramente parlare di eroismo. A tale proposito, Benedetto XVI, alcuni mesi fa, ricordando Giovanna d’Arco, ha descritto il suo processo come «una pagina sconvolgente della storia della santità e anche una pagina illuminante sul mistero della Chiesa, che, secondo le parole del concilio Vaticano II, è allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione». In effetti, ha proseguito il Papa, «questi giudici sono teologi ai quali mancano la carità e l’umiltà di vedere in questa giovane l’azione di Dio».

Viene condannata, lei, santa, «come eretica e mandata alla morte terribile del rogo. (…) Vengono alla mente le parole di Gesù secondo le quali i misteri di Dio sono rivelati a chi ha il cuore dei piccoli, mentre rimangono nascosti ai dotti e sapienti che non hanno l’umiltà».

Ma c’è di più: condannata dagli uomini di Chiesa, Giovanna non rinuncia a professare che Gesù e il suo corpo mistico, la Chiesa, sono inseparabili: «Sono un tutt’uno, Nostro Signore e la Chiesa», dichiara ai suoi giudici.

Per i teologi, e per quanti esercitano un’autorità, questa pagina della storia è ancora un autentico appello alla santità.

La Chiesa siamo noi, ognuno di noi, con i nostri meriti e peccati, con la nostra mediocrità e impegni. Di fatto questo tesoro che è il Vangelo, i sacramenti, la santità di tanti nostri fratelli e sorelle di ieri e di oggi, «questo tesoro lo abbiamo in vasi di creta». Ma non bisogna permettere che le devianze di pochi nascondano l’incredibile vitalità della Chiesa di oggi. Quando abbiamo la grazia di vivere a Roma, nel cuore della Chiesa, di visitare le comunità cristiane in Asia e in Africa (come mi è capitato in questi ultimi mesi), ebbene, le cose positive sono di gran lunga superiori di quelle negative. È bella questa Chiesa vivificata dalla preghiera dei suoi contemplativi, le cui porte sono aperte da missionari intrepidi, arricchita dalla riflessione dei suoi dottori, ringiovanita dalla generosità di ragazzi e ragazze che osano ancora scommettere sulla perseveranza.

Non dobbiamo avere complessi. Non dobbiamo aver paura di essere diversi, di andare controcorrente. Non possiamo essere luce nella notte senza essere un interrogativo per gli altri. Non possiamo essere cristiani e venire a patti con le tenebre. Sono molti gli ambiti dell’esistenza umana in cui le scelte, i comportamenti, i programmi, hanno un urgente bisogno di essere illuminati dalla carità di Cristo effusa in noi dallo Spirito Santo, che ci rende veramente lucidi e lungimiranti come Giovanna.

Non è vero che in politica e nei dibattiti pubblici il vero modo di servire la nazione è d’infangare l’avversario.Non è vero che negli affari solo i criteri di ordine finanziario e tecnico devono orientare le scelte economiche, senza tener conto delle loro incidenze umane. Non è vero che la violenza che ferisce, uccide e distrugge è il cammino certo per ottenere la pace e far valere i propri diritti. Non è vero che l’instabilità dell’amore umano abbandonato al volere delle passioni e dell’istinto è un modo umano di amare. Non è vero che possiamo essere felici senza gli altri e ancor più contro gli altri, escludendo dalla nostra tavola quanti hanno fame di pane, di cultura e di dignità.

Come vedete, ricordare Giovanna ci ha costretti a ricercare in noi le nostre certezze e le nostre fragilità. La fede non ha un termine: è un punto di partenza.

È un atto magnifico nel quale, sentendo i limiti della nostra intelligenza, accettiamo che il Verbo di Dio la prenda per elevarla al di sopra di se stessa. È questo a rendere ottimista la Chiesa: la fede viene a prenderci per strapparci alle nostre schiavitù e trascinarci in un’avventura che riempirà la nostra eternità e che sarà la scoperta che desta sempre più meraviglia del Dio vivente, lo stesso per cui Giovanna è morta e presso il quale lei vive.

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Stralci del panegirico di santa Giovanna d’Arco che il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha pronunciato a Rouen il 2giugno scorso. di JEAN-LOUIS TAURAN

Fonte: L’Osservatore Romano, 7/6/12