Lettera aperta di Mario Giordano a Nichi Vendola

Vendola, marito e figlioCaro Nichi Vendola,
scusa se disturbo il tuo quadretto da presepe: ma non ti sembra un po’ esagerato paragonarti a San Giuseppe? Davvero per te la Sacra Famiglia è la rappresentazione di una coppia gay con figlio? Realmente pensi che sulla capanna anziché la stella cometa sventolasse la bandiera arcobaleno? E il tuo compagno Ed chi sarebbe? La Madonna? E lo Spirito Santo, allora, è l’ utero in affitto? Eppure dici proprio così: «Sono padre putativo come San Giuseppe». E poi aggiungi: «La mia fuga dall’ Italia è come la fuga in Egitto». Ma sì.

Per fortuna non sei andato avanti nella parafrasi del Vangelo, altrimenti le nozze di Cana sarebbero diventate un inno alle unioni civili e Lazzaro un rappresentante della comunità trans. E dire che di tali bestemmie non si sentiva proprio il bisogno: la tua intervista fiume a Repubblica è già piuttosto imbarazzante così. Per esempio, nelle prime righe affermi: «Non vogliamo fare di nostro figlio Tobia un bandiera dei diritti civili». Perfetto, saggio proposito.

Ma allora perché lo esponi lì, in prima pagina, foto formato gigante, tu che lo abbracci con le tue manone grandi, e il tuo compagno Ed che sorride felice lì accanto? Se non volevi farne una bandiera dei diritti civili non lo potevi lasciare nella culla come tutti i bambini del mondo anziché metterlo davanti all’ obiettivo? La verità è che volevi mostrare a tutti il bimbo con due papà. Il fenomeno dei diritti civili, il campione del trionfo gay.

Due papà che, a quattro mani, come racconta il giornalista estasiato, gli «fanno il bagno, lo cambiano, gli danno la poppata, lo chiamano con soprannomi da burla, gli cantano la ninna nanna, moine, baci, carezze». Tutto molto bello, si capisce basta dimenticare un particolare: quel bimbo non è nato come nascono da sempre i bambini nel mondo. Macché: è stato comprato. Concepito nell’ utero preso in affitto come una stanza di hotel. Pagato.

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Staccato dalla propria madre e portato nella casetta in Canada, dove ora tu, caro Nichi, vivi con il tuo compagno Ed. E dove ci sono tante moine, si capisce. Ma nemmeno una mamma. Soprattutto, non la sua mamma. Questo è un orrore e tu lo sai, caro Vendola. Un orrore che per fortuna oggi la legge italiana vieta. Ma fino a quando?

«Io e Ed non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà. Vogliamo solo vivere in pace». D’ accordo. Ma se vuoi vivere in pace perché ti metti in posa per la prima pagina di Repubblica? Perché metti in scena il presepe dell’ orgoglio Lgbt? Come al solito stai raccontando balle, e lo sai bene.

Infatti lo confessi, senza volere, nell’ intervista quando dici pieno di speranza: «La maternità surrogata tra una ventina d’ anni sarà molto diffusa e in Italia si riderà di tutte queste resistenze».

Rideremo di tutte queste resistenze, caro Nichi? Davvero? E sarà normale vivere in un Paese in cui i bambini si possono vendere e comprare, e le mamme scegliere sul catalogo (la vuole bionda e con la pelle chiara o mora e con gli occhi azzurri? Prego s’ accomodi, mi dica lei..)? E tutto questo lo chiameremo «battaglia di civiltà?».

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No, caro Nichi, permettici di dire che a noi quel tipo di Paese non piace. E ci sembra insopportabile che tu lo mascheri sotto fiumi di parole delicate, baci, pannolini, carezze, pasta Fissan, eufemismi. La Donatrice si chiama «zia», la Portatrice si chiama «Grande Madre». Poi avanti: «aiutare chi non può avere figli è molto generoso», «sono immagini benedette dalla grazia», «incantesimo d’ amore», e via con la narrazione dell’ utero in affitto come di una festa di buoni sentimenti.

La Portatrice (che poi sarebbe la mamma pagata per partorire tuo figlio) si chiama Thelma.


Ha una famiglia numerosa, vive in un quartiere residenziale, «è stata spinta da una cugina» e «per un po’ ci ha pure mandato il latte» per il biberon. Non è una meraviglia? «Lei sente di avere un legame con Tobia, ma non sente di esserne la madre». In effetti: l’ ha solo messo al mondo. Affittando il proprio corpo in cambio di denaro. E questo sarebbe l’«incantesimo d’ amore»?

Sottolineare che Thelma è benestante e vive in un quartiere residenziale, poi, è davvero singolare. Vuoi dire, caro Nichi, che non ha affittato il suo corpo in quanto spinta dal bisogno? E dunque vuoi dire che l’utero lo possono affittare solo i ricchi e i benestanti?

E dunque il diritto al figlio, la benedizione della grazia, la trasformazione in San Giuseppe sono concessi solo a coloro che possono permetterselo perché hanno soldi? Ma come?

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Non eri tu il grande difensore degli umili? Dei diseredati? Dei poveri? Eh già, ma poveri non si può essere per affittare un utero.

Lo spieghi tu stesso, alla fine dell’ intervista, dopo esserti perso in mille parole dolci e sogni al borotalco: «Ovviamente abbiamo pagato per il ricovero, che in America è molto costoso, e poi tutte le cure mediche e le medicine, un rimborso per gli abiti premaman, il rimborso per la lunga assenza dal lavoro, infine una piccola cifra per la famiglia».

Ovviamente. Rimborso. Abiti premaman. Piccola cifra per la famiglia. «Anche il marito, durante i nove mesi, si è spesso assentato dal lavoro».

Vuoi non monetizzare il disturbo? Così è nato Tobia, il bimbo concepito a pagamento e ora esibito in prima pagina come testimonial dell’ utero in affitto, subdola campagna sulla pelle di un bebé. E ora che succede?

Tu, caro Vendola, ne chiederai l’ adozione, qualche tribunale ti darà ragione, lo sappiamo, non c’ è bisogno della legge per riconoscere le famiglie omosex. Ma poi forse non tornerai in Puglia, dici che potresti restare a vivere nella casetta in Canada, dove l’ arrivo del presepe gay è stato «festeggiato come un dono di Dio».

 

Mica come quei tradizionalisti di italiani che continuano a pensare che i figli non sono merce acquistabile sul mercato. Per questo, povero Nichi, sei dovuto scappare in Egitto, proprio come l’ altro padre putativo, San Giuseppe. A differenza sua, però, il tuo esilio è un po’ più fortunato.

Infatti puoi contare sulla pensione da ex consigliere regionale, 5.618 euro al mese a 58 anni, che ti arriva regolarmente in tasca proprio da quell’ Italia che disprezzi. Che ci vuoi fare?

A certe tradizioni, evidentemente, sei affezionato anche tu: la famiglia può anche scomparire, il vitalizio no.

Fonte: Dagospia