Necessità e valore della confessione. Qualunque peccato è in orrore al Signore.

Fa un bell’effetto rassicurante vedere un papa spensierato che chiacchiera allegramente con una gaia fanciulla mentre, seduti all’aperto di una piazza, dalla stola viola si intuisce che stanno celebrando il sacramento della riconciliazione.  E’ accaduto il 23 aprile scorso, durante il Giubileo dei giovani, quando papa Francesco, a sorpresa, è sceso in Piazza S. Pietro per confessare una decina di ragazzi fra i tanti in attesa di assolvere ad una delle condizioni richieste per lucrare l’Indulgenza plenaria.

Onore a quei giovani che hanno partecipato all’iniziativa ma, al di là della gradevole sensazione immediata, quell’immagine solleva parecchie perplessità e considerazioni.

Sappiamo tutti molto bene, ormai, la diffidenza, se non proprio il rifiuto del nostro Pontefice verso le leggi e le consuetudini ecclesiastiche, eppure esiste un atto fondamentale del Magistero, promulgato nella forma propria dell’autorità pontificia, che costituisce “il principale documento legislativo della Chiesa e va riguardato come lo strumento indispensabile per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale, sia nell’attività stessa della chiesa”. Stiamo parlando del Codice di  Diritto Canonico, che recita: “Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa.” (can. 964, §3)

E’ evidente che chi, con tanto di benedizione papale, ha trasformato piazza S. Pietro in un confessionale a cielo aperto  ha ritenuto che la causa fosse sacrosanta, parendogli l’interno della basilica troppo angusto o, forse, non abbastanza spettacolare, ma non ha tenuto conto che la confessione, quando il penitente è nell’auspicabile retta disposizione per accedere a tale sacramento, è un atto privatissimo e spiritualmente impegnativo.

L’atteggiamento accogliente e delicato del sacerdote nell’ascoltare i peccati dei fedeli, soprattutto se molto giovani, non può esimere colui che si confessa dall’avere la consapevolezza delle offese arrecate a Dio e un sincero pentimento delle colpe commesse, unitamente alla ferma volontà di ripararle e di non più commetterle. (Catechismo, 1422 e seg.)

Scopo del confessionale è perciò proprio quello di dar modo al peccatore contrito di parlare liberamente e in segreto con il confessore e, senza essere osservato da altri, di poter esternare, anche con lacrime di contrizione, il proprio dispiacere per avere interrotto la comunione spirituale con Dio e la sua Chiesa. Poi, dopo l’assoluzione, potrà ricevere nuovamente e degnamente il Corpo di Cristo.

Infatti, diversamente da come  predicato da papa Francesco, “L’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione. Il proprio dell’Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella piena comunione della Chiesa”. (Ibidem1395)

Per comprendere il valore assoluto del sacramento della Riconciliazione bisogna ricordare che anch’esso è frutto della passione di Cristo, tanto da far scrivere a S. Caterina da Siena (1347-1380): “Bagnatevi nel Sangue di Cristo Crocifisso. Nel Sangue trovarete el fuoco dell’Amore; nel Sangue si lavano le nostre iniquità. Questo fa el Vicario di Cristo quando assolve l’anima nostra, confessandoci noi non fa altro, se non che getta el Sangue di Cristo sopra el capo nostro” (Lettera 320)

Ma prima ancora bisogna sapere come Gesù guarda un’anima che si è macchiata con il peccato.

Santa Faustina Kowalska (1905-1938), incaricata di diffondere la devozione della Divina Misericordia, riporta quanto Gesù le disse riguardo allo stato delle anime: “Scrivi: sono tre volte santo ed ho orrore del più piccolo peccato. Non posso amare un’anima macchiata dal peccato, ma quando si pente, la Mia generosità non ha limiti verso di lei. … Dì ai peccatori che nessuno sfuggirà alle Mie mani. Se fuggono davanti al Mio Cuore misericordioso, cadranno nelle mani della Mia giustizia.” (Diario, VI Quaderno)

A tutti i mistici Gesù ha dato modo di “vedere” lo stato della propria anima, che sebbene molto più splendente rispetto a quelle dei comuni mortali, recava sempre delle imperfezioni umane di cui Egli voleva fossero coscienti.

Molto significativo è quanto riporta nella sua autobiografia  S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690), che ebbe il compito di diffondere la venerazione al S. Cuore di Gesù e la pratica dei primi nove venerdì del mese. Questi furono voluti dal Salvatore proprio allo scopo di riparare alle offese arrecate dai peccatori al suo Divin Cuore, pratica al cui assolvimento legò dodici promesse, la più importante delle quali è la garanzia della salvezza eterna: “Non moriranno in mia disgrazia, né senza aver ricevuto i Santissimi Sacramenti, e il mio Cuore sarà per essi  in quell’ora estrema sicuro asilo contro gli assalti del nemico infernale”.

Lo stato in cui si trova un’anima al momento del suo trapasso sta talmente a cuore a nostro Signore che a Suor Faustina promise che la recita della Coroncina della Divina Misericordia accanto ad un moribondo avrebbe ottenuto di placare l’ira di Dio e che Egli stesso si sarebbe messo “fra il Padre e l’anima agonizzante non come giusto Giudice, ma come Salvatore misericordioso.”  (Ibidem, II Quaderno, 11 XII; V Quaderno, 28.1.38)

Anche a S. Margherita Gesù mostrò la sua “faccia” e la Santa ne restò inorridita, infatti in un’altra occasione ebbe a dirle: “Sono puro e perciò non sopporto la minima macchia. … Non sopporto le anime tiepide e pigre; se sono comprensivo verso le tue debolezze sono anche severo e pronto a punire le tue infedeltà.”

Riferisce ancora S. Margherita: “Motivo del suo biasimo più severo erano le mancanze di rispetto e di attenzione davanti al Santissimo Sacramento, soprattutto durante l’Ufficio e l’orazione, le intenzioni poco rette e pure, la vana curiosità. I suoi occhi puri e divini riescono a vedere i minimi difetti contro la carità e l’umiltà, i quali vengono da lui fortemente disapprovati…”

Ad avvalorare l’importanza di confessare tutti i propri peccati e tener le lampade sempre accese perché non sappiamo né il giorno né l’ora (Mt 25,8) nel Trattato dei miracoli di S. Francesco (1182-1226)  il Beato Tommaso da Celano (1200-1265) riferisce vari casi di persone morte, anche improvvisamente, che per intercessione di S. Francesco risuscitarono per confessare un unico peccato dimenticato e poi addormentarsi nella pace del Signore.

Padre Pio (1887-1968), di cui piace a molti elogiare sempre e solo le grazie e mai gli insegnamenti, rimandava senza assoluzione quei penitenti che non mostravano un vero ravvedimento e, possedendo egli il dono della scrutazione dei cuori, negava l’eucarestia a quelli che si inginocchiavano alla balaustra per ricevere la particola senza essere in grazia di Dio. In particolare, come abbiamo ricordato in un precedente articolo, rifiutava i sacramenti a coloro che vivevano more uxorio, seppur liberi da vincoli sacramentali precedenti, alla maniera dei “fidanzati” dei nostri giorni.

E nello stesso articolo abbiamo ricordato anche come il Curato d’Ars (1786-1859) avesse tenuta sospesa un’ostia davanti ad una giovane che non si era preparata degnamente a ricevere Nostro Signore, e di come restò immobile finché la ragazza, avvedutasene, non ebbe recitato mentalmente gli atti di fede, di speranza e di carità.

Proprio per il fatto di essere tutti peccatori, nessuno può ritenersi dispensato dall’accedere frequentemente al sacramento della Riconciliazione, mettendosi nelle disposizioni spirituali richieste, dopo un accurato esame di coscienza, nella consapevolezza che il perdono ci è stato conquistato a prezzo del sangue di Cristo, per merito delle cui piaghe siamo sanati dalle nostre.

Così come nessuno può disperare della salvezza eterna sapendo quanto il Salvatore ci ha garantito attraverso Suor Faustina: “Dì alle anime dove debbono cercare le consolazioni cioè nel tribunale della Misericordia, lì avvengono i più grandi miracoli che si ripetono continuamente. Per ottenere questo miracolo non occorre fare pellegrinaggi in terre lontane né celebrare solenni riti esteriori, ma basta mettersi con fede ai piedi di un Mio rappresentante e confessargli la propria miseria ed il miracolo della Divina Misericordia si manifesterà in tutta la sua pienezza.

Anche se un’anima fosse in decomposizione come un cadavere ed umanamente non ci fosse alcuna possibilità di risurrezione e tutto fosse perduto, non sarebbe così per Dio: un miracolo della Divina Misericordia risusciterà quest’anima in tutta la sua pienezza. Infelici coloro che non approfittano di questo miracolo della Divina Misericordia! Lo invocherete invano, quando sarà troppo tardi!” (Ibidem, V Quaderno, Vigilia di Natale 1937)

 

Paola de Lillo