“Non è Francesco”: il libro di Antonio Socci che indigna chi non lo ha letto

non-e-francesco-socci“Avete l’ultimo libro di Antonio Socci? – chiedo al commesso mentre pago il mio acquisto in una libreria cattolica a pochi passi dall’Arcivescovado di Milano – Sì, non lo teniamo esposto, ma lo diamo a chi lo chiede” mi risponde con un sorriso imbarazzato. Forse accorgendosi della mia espressione sconcertata si affretta ad aggiungere: “Però i miei colleghi l’hanno letto e mi hanno riferito che non c’è nulla che non vada bene. Lo vuole?”. Inutile mettermi a discutere con lui che è un mero esecutore di ordini superiori e, dopo avergli detto che ho già il libro e che la mia è solo una curiosità, mi dirigo alla porta.

Sto per uscire quando mi si para dinnanzi un amico di vecchia data al quale, dopo  i convenevoli di rito, chiedo  in tono dubbioso se abbia letto il libro. “Certo che l’ho letto! – risponde risentito – E mi è piaciuto tantissimo, tant’è che l’ho fatto leggere anche a mio cugino, che l’ha trovato molto interessante.”

So che per lui l’opinione del cugino è pari al risultato di una capillare indagine demoscopica, mentre per me i loro giudizi rappresentano l’ennesima conferma di  una mia statistica personale: a qualsiasi età, ceto sociale, livello culturale e grado di conoscenza della religione appartengano, i cattolici che hanno letto il libro con animo scevro da pregiudizi e da interessi personali l’hanno apprezzato.

Perché il libro di Socci non è fondato su calunniosi pettegolezzi e malevoli  congetture su Papa Francesco e i vertici della Chiesa, come si vuol far credere da chi ha l’incoscienza o l’interesse a disinformare i credenti. Al contrario è un libro che racconta fatti inoppugnabili, documentati e razionalmente argomentati, alcuni dei quali, con molta probabilità, resi noti dallo stesso Bergoglio, aprendo così la strada a rigorose verifiche che hanno confermato la criticità del momento storico che la Chiesa sta attraversando.

Ciò che indigna invece è la campagna diffamatoria condotta  nei confronti di Socci, con la quale, mediante un ignobile martellamento di offese, sospetti e calunnie,  è stato ottenuto lo scopo di suscitare nei suoi confronti il disprezzo delle persone più sprovvedute ed ingenue.

E fa specie che questa bassa operazione mediatica sia stata condotta a difesa della Chiesa di Cristo, dimenticando completamente che chi  insulta il proprio fratello sarà sottoposto al fuoco della Geenna (Mt 5,22), che le maldicenze e le calunnie offendono la giustizia e la carità (CCC n. 2479) e che non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode (Can. 220).

E ciò è tanto più grave e inaccettabile in quanto  Antonio Socci è notoriamente uno dei nostri giornalisti e scrittori più intelligenti e brillanti, di solidissima cultura storica  e dottrinale, con al suo attivo una produzione letteraria di prim’ordine che spazia dagli argomenti di materia religiosa alla saggistica storica, che ha sempre manifestato un’indubitabile coerenza di vita cristiana e una comprovata fedeltà alla Chiesa cattolica.

La cosa incredibile è che, viceversa, nella faccenda Vatileaks, che veramente mise a soqquadro il Vaticano, nessun commentatore cattolico risparmiò la propria fantasia per immaginar complotti e trame, per scovar corvi e colombe, evocando perfino Dan Brown e il suo perfido Codice da Vinci, pur di assolvere il maggiordomo infedele ritenuto il capro espiatorio di un intrigo ordito altrove. (cfr.  Vatileaks, ovvero l’informazione omologata)

Né violenze offensive di tal fatta furono rivolte a chi nei suoi libri ha pubblicato i documenti riservati di papa Benedetto.

Le cause di questi, perfino isterici, atteggiamenti accusatori e critici nei confronti di Socci sono addebitabili a superficialità colpevoli, quando non a vera e propria malafede. Infatti leggendo attentamente le (poche) recensioni professionalmente corrette, le interviste concesse alle testate cattoliche da giornalisti titolati e i commenti degli improvvisati vaticanisti appare con tutta evidenza che l’analisi del contenuto si è fermata al titolo, con qualche  frettolosa occhiata alle pagine dei capitoli giudicati più esplosivi.

E ciò  trova conferma dal confronto delle date dei commenti, da cui appare chiaro che sono state scritti lo stesso giorno della pubblicazione del volume o in quelli immediatamente successivi, tempi questi troppo ristretti per una lettura esaustiva ed una valutazione approfondita degli argomenti trattati in quello che invece è un corposo saggio giornalistico.

Infatti il contraddittorio opposto ai contenuti del libro è totalmente assente o di un pressapochismo superficiale, né poteva essere diversamente perché tratta di fatti ampiamente documentati e perciò inoppugnabili.

Va ricordato comunque che il compito di un giornalista è quello di informare la gente su episodi di interesse rilevante per l’intera collettività o per  una congrua parte di essa e, se le notizie riguardano la Chiesa di cui fa parte, ciò diventa addirittura doveroso.

Se poi i fatti riportati risultano sgradevoli al lettore, il colpevole non è chi li riporta ma chi li ha compiuti, perché i problemi non si eliminano imbavagliando l’informazione, come avviene nei regimi totalitari, ma affrontandoli.

 

Le accuse mosse nei confronti dell’autore si concentrano soprattutto su due punti critici: la validità dell’elezione di papa Francesco e il significato della rinuncia al pontificato di Papa Benedetto.

Nel libro Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta le notizie riguardanti ciò che è accaduto nel Conclave sono state fornite con ogni probabilità dallo stesso Papa Bergoglio. Infatti  Francesco ha fra i suoi più fidati amici Elisabetta Piqué, una stimatissima giornalista argentina che è anche la sua biografa ufficiale, che  in una sua pubblicazione, Francesco. Vita e rivoluzione, fra l’altro, riferisce particolareggiatamente lo svolgimento delle votazioni che hanno portato all’elezione del Pontefice.

Va saputo che il libro, rilanciato subito dai media vaticani, ha avuto anche gli elogi dell’Osservatore Romano, lasciando così intendere che il Papa fosse consapevole dei suoi contenuti.

Ma quello che per la Piqué era un semplice e innocuo resoconto ha invece attirato l’attenzione di Socci che, verificato quanto prescritto dalla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, testo che norma le modalità di procedure da rispettare tassativamente nel corso del Conclave e stabilisce quando una votazione debba ritenersi nulla e invalida, ha riscontrato tre violazioni.

Innanzitutto sono state effettuate cinque votazioni nella stessa giornata, mentre la Costituzione ne prescrive quattro, di cui due al mattino e due al pomeriggio. Inoltre, durante la quarta votazione e al momento della conta delle schede, ne sono state rinvenute due attaccate insieme, di cui una bianca, per cui si è proceduto ad annullare la votazione stessa, bruciando successivamente tutte le schede e procedendo ad una nuova votazione.

Socci, con dovizia di argomentazioni, spiega che il caso descritto attiene al dettato dell’art. 69 della Costituzione apostolica, con cui è stabilito che nella fattispecie la votazione doveva ritenersi valida e, comunque, ai sensi del combinato disposto con l’art. 68, le due schede non potevano essere aperte in fase di conteggio  bensì in quella di successivo spoglio.

Se le violazioni descritte corrispondessero al vero, interrogativo che si è posto lo stesso Socci,  le  conseguenze  sarebbero quelle stabilite da S. Giovanni Paolo II che, nella suddetta Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, nell’art. 76 ha inequivocabilmente dichiarato: Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito e, quindi, essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta.

Va precisato che egli non attribuisce nessuna colpa a Papa Francesco, né tantomeno ipotizza artate macchinazioni da parte dei cardinali preposti a far rispettare le procedure prescritte.

Poiché poi  tutti i cardinali, graviter onerata ipsorum conscientia, sono obbligati al segreto su quanto avviene nel corso di un Conclave, ad esclusione del Pontefice eletto, è solo quest’ultimo che, ai sensi della predetta Costituzione, può concedere la facoltà di rompere il silenzio per far luce su quanto è realmente accaduto.

Ma non avendo Papa Bergoglio finora smentito la sua biografa, che ha invece avuto il placet del Vaticano, si deve per forza ipotizzare che le violazioni siano avvenute esattamente come sono state riportate. E la stessa Piqué ha riferito il contenuto del libro Non è Francesco su “La Nacion” di Buenos Aires  confermando quanto lei stessa aveva rivelato.

 

La seconda vexata questio riguarda l’attuale posizione in seno alla Chiesa del Papa emerito Benedetto XVI.

Considerate, anche qui, la  superficialità  e l’approssimazione con cui vengono liquidate le affermazioni contenute nel libro, devo mio malgrado ripetere che  coloro che, per propri studi e conoscenze  canoniche, avrebbero avuto il compito di rettamente semplificare i contenuti di ragionamenti ostici alla gran parte dei credenti, stanno agendo in perfetta malafede.

Questo anche perché non è stato solo Socci ad avere analizzato i risvolti della rinuncia di Papa Benedetto, infatti il Professor Stefano Violi, docente di teologia, ha  scritto su questo argomento un approfondito saggio dal titolo La rinuncia di Benedetto XVI. Tra storia, diritto e coscienza, le cui risultanze sono state riportate da Vittorio Messori in un editoriale del Corriere della sera e i cui stralci sono stati pubblicati anche da questo sito.

Ma nessuno per questo ha criticato o insultato né Violi né Messori.

 

Non è possibile in poche righe sintetizzare le considerazioni svolte da Socci su un episodio che ha connotazioni uniche nella storia del Papato, ma basti dire che Joseph Ratzinger è uno dei più dotti ed acuti teologi che la Chiesa cattolica abbia mai annoverato nel corso di duemila anni e che perciò la sua cosiddetta declaratio non contiene termini generici e la sua scelta di denominarsi Papa emerito non è casuale.

Un libro della portata storico-dottrinale come quello di cui sto scrivendo meriterebbe una ben più ampia e complessa recensione perché, come tutti quelli di Socci, non solo è arricchente per un lettore che non abbia la sua preparazione e le sue conoscenze ma, con le venti pagine di note finali, oltre alle citazioni interne ai capitoli, stimola ad approfondire singoli argomenti e questioni specifiche.

Non solo: sfata anche molti luoghi comuni e chiarisce quale sia sempre stata la tradizione della Chiesa e, in particolar modo, il comportamento tenuto dai nostri Santi quando le vicende del Papato hanno richiesto una presa di posizione.

E ancor meno, per rispetto alla serietà di siffatto autore, dovrebbe trovar spazio in un articolo che lo riguarda una polemica di bassa lega fomentata da calunniatori, tuttologi improvvisati, bene-informati di faccende vaticane, giustizialisti in nome di Cristo e prevenuti  fanatici a qualunque titolo e per qualsiasi ragione.

Basterebbe a costoro informarsi sul percorso professionale e leggersi la biografia di colui che vogliono demonizzare a qualsiasi costo e contro qualsiasi logica di verità per scoprire che Antonio Socci non è manipolabile, non ha appartenenze equivoche, non ha bisogno di imbastire gossip per far cassetta, che per la coerenza delle proprie idee non si  è mai piegato davanti a nessuno (pagandone le conseguenze di persona) e che per le sue posizioni, tante volte radicali, può esser sì contraddetto, ma controbattendo razionalmente i suoi argomenti e non con gli insulti e le diffamazioni.

 

Da ultimo devo aggiungere quella che può essere solo una curiosità o molto di più, a seconda di come si vuole interpretarla. I devoti di Medjugorje, tra i quali mi colloco in prima linea, riguardo alle considerazioni esposte da Antonio Socci sul Papa in carica giustificano il loro dissenso, quando non il vero e proprio disprezzo, a motivo di un messaggio della Gospa dato da Ivan il 17 agosto scorso in un incontro a Vicenza, in cui chiede di pregare per il suo amatissimo Santo Padre.

Poiché la Madonna non ha appellato mai nessuno con il superlativo “amatissimo”, ho fatto tradurre l’intero messaggio da una persona di lingua croata, scoprendo così che Ivan aveva invece usato l’aggettivo “amato”, come si può evincere dal video pubblicato sul sito Guarda con me, il cui curatore ha registrato l’intero evento.

Non voglio con ciò aprire un altro fronte, che semmai dovrebbe essere  oggetto di un articolo a parte, ma ricordiamoci che P. Slavko, prima che fossero diffusi,   valutava sempre se i messaggi fossero attendibili. La stessa S. Vergine, il 2 giugno 1984, invitò i parrocchiani a pregare lo Spirito Santo perché potessero trasmetterli esattamente come lei li dava, non aggiungendo né togliendo alcunché. Evidentemente avvertiva il pericolo di, seppur involontarie, manipolazioni o, peggio, di  interessate strumentalizzazioni.

La stessa Chiesa, anche nei casi di rivelazioni private dichiarate autentiche, usa il discernimento sui diversi fatti, i diversi messaggi e i diversi veggenti e può dichiarare in alcuni casi che non tutto è “tutto vero”, come è avvenuto ad esempio per le apparizioni di la Salette, dove solo una parte del messaggio della Madonna  fu giudicato attendibile.

Resta poi il fatto che la preghiera per i pastori e per i papi, chiunque essi siano, è sempre sacrosanta, ed è indiscutibile che  la Madonna la chieda, considerato  che Gesù nel Vangelo invita a pregare perfino per i nostri persecutori.

 

Bisogna comunque ricordare che in tutte le rivelazioni private i messaggi devono essere autenticati dalla Chiesa e, anche in quel caso, non sono vincolanti per i fedeli. Ma anche quando abbiamo l’intima certezza che essi siano assolutamente veri, dobbiamo sempre sottoporli al giudizio della nostra ragione, perché, come ci ha insegnato S. Giovanni Paolo II nella sua magistrale enciclica Fides et ratio, La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità.

 

Paola de Lillo