« Numeri, equilibri e leadership: tutte le fragilità del governo » di Ruben Razzante

nuovo governoIl governo Conte ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica e si presenterà alle Camere all’inizio della prossima settimana per ottenere la fiducia. Dopo 88 giorni di febbrili e concitate trattative, Lega e Cinque Stelle hanno trovato la quadra e, superati tutti gli ostacoli di un problematico dialogo con il Quirinale, hanno raggiunto lo scopo di dar vita a un esecutivo politico. C’è grande entusiasmo da parte dei protagonisti, i leader di partito Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma anche tra i componenti del nuovo governo, a cominciare dal premier Conte, che ieri ha subito voluto dare un segnale tangibile di apertura alle istanze dei più deboli, incontrando, fuori da Montecitorio, una delegazione di lavoratori a rischio dell’azienda americana FedEx.

C’è invece forte scetticismo verso questa nuova maggioranza giallo-verde nelle file di Forza Italia e del Pd, partiti che si preparano ad un’opposizione energica, o almeno così dicono.

L’annunciata astensione di Fratelli d’Italia nel prossimo voto di fiducia sembra dare ulteriore respiro al nascente esecutivo, che dunque al Senato potrà contare su dieci voti di maggioranza (i 6 derivanti dalla somma dei senatori di Lega e Cinque Stelle e i 4 di due ex grillini e due rappresentanti del gruppo misto aggregatisi di recente) ma anche su un atteggiamento più morbido da parte dei 18 senatori del partito di Giorgia Meloni.

Tuttavia, sul piano puramente numerico, mentre non si nutrono dubbi rispetto alla compattezza del gruppo leghista, c’è qualcuno che ipotizza un atteggiamento critico verso l’asse giallo-verde da parte di una cinquantina di senatori pentastellati, il che lascerebbe supporre una navigazione tempestosa per il governo Conte.

Ecco perché non va escluso che su singoli provvedimenti, magari ispirati più da Salvini che da Di Maio, e più vicini al sentiment e al programma del centrodestra, gli stessi senatori berlusconiani possano salvare l’esecutivo da qualche figuraccia e assicurargli vita lunga.

Dopo tutto, conviene soprattutto a Pd e Forza Italia che questo governo duri il più possibile, altrimenti lo spettro delle elezioni anticipate si materializzerebbe, con tutte le incognite legate ai sondaggi altamente sfavorevoli sia per gli azzurri che per i dem.

Oltre all’incognita dei numeri, si preannuncia qualche insidia per Conte e i suoi anche dal punto di vista programmatico.

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è stato consulente dell’ex ministro berlusconiano Renato Brunetta ed è convinto di voler spingere il piede sull’acceleratore della flat tax mentre non appare entusiasta verso il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia grillino.

Sui temi etici e sensibili, le distanze tra il mondo pentastellato sono marcate. I Cinque Stelle hanno appoggiato nella precedente legislatura tutte le leggi proposte dal Pd, da quella sulle unioni civili a quella sul testamento biologico.

Al dicastero della famiglia siede ora il leghista Lorenzo Fontana, sostenitore della famiglia naturale come unica famiglia possibile e tenace oppositore dell’ideologia gender e dei matrimoni tra omosessuali.

In ambito economico i nodi stanno per venire al pettine. Il 31 maggio sono scaduti i termini per il varo di un decreto del Presidente del Consiglio con i nuovi obiettivi di spending review.

Il nuovo esecutivo dovrà dunque individuare al più presto le voci di spesa da tagliare, il tutto senza scontentare l’elettorato che ha portato Lega e Movimento Cinque Stelle al governo.

Ma sembra che nelle intenzioni dei due principali azionisti di maggioranza ci sia un decreto estivo per varare una riforma dei centri per l’impiego, una riforma delle pensioni, nuove misure su immigrazione e fisco.

Tutti passi che mal si conciliano con i propositi di tagli alla spesa. Poi c’è lo scoglio della programmazione del Def, documento economico-finanziario nel quale fissare i nuovi obiettivi per i tagli alla spesa delle amministrazioni da inserire poi nella legge di bilancio.

Sul tavolo del governo e in particolare del neo-ministro Luigi Di Maio il dossier Alitalia e il futuro dell’Ilva, più un’altra valanga di crisi aziendali da risolvere entro fine anno. Per scongiurare l’annunciato aumento dell’Iva occorre trovare oltre dodici miliardi per il 2019, missione non facile.

Peraltro il ministro Tria due settimane fa suggeriva di lasciar scattare l’aumento dell’Iva per poter poi destinare quelle risorse aggiuntive alla diminuzione delle tasse sui redditi. Ma Lega e Cinque Stelle saranno d’accordo?

Infine le ambizioni dei due partiti di governo e, soprattutto, dei loro leader. Entrambi hanno incarichi di governo assai assorbenti.

Riusciranno a mantenere anche la guida politica? Nei gruppi parlamentari leghisti la leadership di Matteo Salvini è fuori discussione, mentre tra i Cinque Stelle c’è chi storce il naso sul doppio incarico per Di Maio, invoca maggiore collegialità nelle decisioni e propone un comitato permanente che affianchi il leader nelle decisioni da prendere.

Per tutte queste ragioni non è affatto escluso che, in vista delle elezioni europee del 26 maggio 2019, con un sistema proporzionale che fa correre i partiti ognuno per conto proprio, rimarcando le differenze, Salvini e Di Maio possano essere tentati di utilizzare il governo come “taxi elettorale”, forzando la mano con leggi in deficit per poi scaricare sui vincoli di Bruxelles e Berlino le colpe della paralisi dell’azione governativa e della prematura fine della legislatura. Ma c’è da scommettere che neppure in quell’eventualità Mattarella si accontenterebbe di fare il “notaio”.

 
La Nuova Bussola Quotidiana