Pressione gay sul Sinodo – di Lorenzo Bertocchi

SinodoAlcuni osservatori di cose vaticane sembrano molto preoccupati del dibattito mediatico che accompagna il Sinodo, in particolare, a loro giudizio, per l’azione di quelli che si preoccupano della dottrina e ostacolano il dialogo. La pressione mediatica in effetti c’è e avanza con certo clangore, anche con fatti che sembrano artatamente inanellarsi. Ma che ben poco riguardano la discussione nel merito dei contenuti del Sinodo, mentre hanno tutto il sapore dei metodi dei media internazionali che, inevitabilmente, finiscono per fare pressione sui lavori del Sinodo.

Mentre il cardinale Kasper, come riporta il Corriere, dice che “gay si nasce” e che bisogna “accogliere” questa realtà, accadono una serie di episodi che nel loro insieme vanno indubbiamente verso una certa direzione.

Dapprima il caso dell’incontro del Papa in quel di Washington con la signora Kim Davis che, come tutti sanno, è finita in carcere per essersi rifiutata di ratificare, in qualità di funzionario pubblico, un matrimonio omosessuale nel Kentucki (Usa).

In questo caso Francesco ha abbracciato la signora e le ha detto, più o meno, di “andare avanti con coraggio”. Subito il New York Times si è prodigato nel buttare acqua sul fuoco, perché l’immagine del Papa che emergeva da questo incontro non corrispondeva propriamente alla narrazione che di lui si vuole tramandare ai posteri.

P. Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa vaticana, in effetti, si è premurato di precisare che l’incontro con Kim Davis non significava un appoggio «alla sua posizione in tutti i suoi risvolti particolari e complessi». Quello con la Davis è stato un incontro come tanti che avvengono durante i viaggi del Papa, “si è trattato – ha spiegato, appunto, Lombardi – di saluti molto brevi di cortesia a cui il Papa si è prestato con la sua caratteristica gentilezza e disponibilità.” Sembra proprio che il New York Times possa dormire sonni tranquilli.

 

Arriviamo così al secondo fatto. Per una strana eterogenesi dei fini, specificando come sono andate le cose con la funzionaria obiettrice di coscienza, emerge “l’unica udienza concessa dal Papa presso la nunziatura”, cioè quella ad “un suo antico alunno con la famiglia».

Ebbene si dà il caso che quell’antico alunno,  Yayo Grassi, di origini argentine, sia gay e, nella “famiglia” che lo accompagnava c’era anche il suo convivente, Iwan. È evidente che a livello mediatico questo incontro ristabilisce in pieno la narrazione del Papa tanto cara al New York Times e affini. Che poi le cose siano da specificare, nel senso che il Papa nel 2010 aveva già comunicato all’ex alunno la sua contrarietà ai matrimoni omosessuali, mentre gli confermava l’amicizia, rimane un fatto a margine che non incide sulla narrazione del Papa gay-friendy.

Nel frattempo, dopo che le immagini dell’incontro tra Francesco e Yayo facevano e rifacevano il giro del mondo, P. Lombardi specificava ancora, dicendo che “il Papa conserva molti rapporti personali motivati pastoralmente con un atteggiamento di gentilezza, di accoglienza e di dialogo”.

Cioè ribadiva una cosa ovvia, ossia che il Papa è sempre attento alla persona, e non bisogna vederci nulla di più. Certo, dal punto di vista mediatico, la potenza di quelle immagini che facevano e rifacevano il giro del mondo, sono come l’onda di uno tsunami rispetto al ruscello delle sacrosante precisazioni.

 

Comunque la pressione mediatica sul tema non cede di un millimetro. Con un coming-out che sembra a orologeria ecco il monsignore polacco, Krzysztof Charamsa, officiale della Congregazione per la dottrina della fede e secondo segretario della Commissione teologica internazionale, che dichiara a mezzo mondo di essere felicemente gay. Il coming-out ha un timing perfetto, visto che siamo alle soglie del Sinodo e anche alla vigilia della prima assemblea internazionale dei cattolici LGBT organizzata dal Global Network of Rainbow Catholics a Roma.

Nella conferenza stampa che il monsignore si è prodigato di convocare ha precisato che “ci sono tantissimi gay in Vaticano” e, guarda caso, il covo dell’omofobia sarebbe nell’ex Sant’Uffizio, la congregazione retta dal cardinale tedesco Ludwig Muller. Mentre, specifica Charamsa, Francesco è “fantastico”, perché “ci ha fatto riscoprire la bellezza del dialogo. E ora, dice, “il Sinodo sulla famiglia sia davvero di tutte le famiglie e nessuna sia esclusa”.

Il portavoce della Sala Stampa Lombardi è così dovuto intervenire una terza volta. “La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia dell’apertura del Sinodo”, ha detto Lombardi, “appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica.”

Se tre indizi fanno una prova, ci sono davvero tutti gli elementi per ritenere che la pressione mediatica sul Sinodo ci sia davvero. E va in una direzione ben precisa. Semmai ci sarebbe da chiedersi da dove proviene.

 

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana