Rito romano e rito ambrosiano: lettera aperta di un fedele al Card. Angelo Scola

Forse non tutti sono a conoscenza del fatto che nella Diocesi di Milano vige da sempre un rito locale chiamato ambrosiano, dal nome del vescovo Ambrogio da cui tale rito discende, distinto da quello che si applica in tutto il resto del mondo che è il cosiddetto romano. Va chiarito che le differenze fra le due Chiese sono state approvate dal Concilio di Trento e ribadite dal Concilio Vaticano II e che nel 2008 la Santa Sede ha approvato ulteriori e sostanziali modifiche al lezionario ambrosiano. Ma le diversità non si limitano alle letture, riguardando infatti anche parti del Messale, la liturgia, i paramenti, le suppellettili, i canti, i rituali e perfino le date di alcune festività, come quelle di inizio e fine della Quaresima.

Va da sé che poche letture ambrosiane coincidano con quelle romane, e tale discordanza diventa più rilevante quando i Sommi Pontefici commentano il Vangelo del giorno, soprattutto quello domenicale, per cui dalle loro parole i fedeli milanesi devono risalire al brano a cui fanno riferimento.

Oltre a ciò, secondo la sensibilità di ogni credente, vi sono molto particolari liturgici e rituali che possono non trovare condivisione fra i credenti ambrosiani, che ad essi preferiscono quelli romani.

Un collaboratore di questo sito ha così ritenuto di scrivere una lettera aperta all’Arcivescovo di Milano, Card. Angelo Scola, per chiedere l’unificazione di alcuni momenti liturgici come segno di riavvicinamento fra le due Chiese. Lettera che, come richiestoci, volentieri pubblichiamo e condividiamo nell’istanza.

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Eminenza reverendissima,

oso scriverle queste righe in forma di supplica perché credo che diano voce a dei sentimenti che provano tanti altri fedeli milanesi, seppure in modo confuso, e che anche io solo con fatica sono riuscito a chiarire a me stesso.

Da quando è avvenuta la riforma liturgica ambrosiana percepivo una stonatura di sottofondo a cui non sapevo dare un nome.

Il fatto più evidente consisteva nella separazione dei lezionari, che fino a quel momento andavano di pari passo con le sole ben note eccezioni nei tempi forti, per cui si perdeva il sincronismo delle letture con il messale romano.

Per un fedele milanese la cosa non è stata proprio di poco conto, considerata la presenza in diocesi di numerosi monasteri abbazie e santuari in cui si celebra il rito romano: se prima era possibile recarsi indifferentemente in una chiesa diocesana o in un istituto religioso mantenendo la continuità dell’ascolto della Parola di Dio, oggi non lo è più.

Tuttavia il problema principale non sembrava neppure questo, bensì qualcosa di più profondo che aveva a che fare con il mio status di cattolico.

In qualità di fedele della Chiesa universale ho sempre visto il Santo Padre come garante dell’unità della comunità dei credenti e, naturalmente, il mio Vescovo con lui.

Ebbene negli ultimi decenni (soprattutto nell’ultimo) ho visto il Papa intraprendere un percorso di riavvicinamento con tutte le Chiese separate, un cammino coraggioso e generoso con quelle scismatiche, come l’Ortodossa e la tradizionalista lefevriana, un cammino difficilissimo e audace con quelle eretiche, come i protestanti, e in generale una grande apertura verso le altre religioni.

In tutto questo sforzo, teso a raggiungere la meta dell’unità, ho visto l’atteggiamento della Chiesa ambrosiana improntato a un segno completamente opposto, quasi che il criterio adottato fosse: “Più ci si differenzia e ci si separa da Roma meglio è”.

Questo atteggiamento diventa paradossale in quegli ambiti in cui, non prescrivendo la liturgia ambrosiana niente di specifico, non si fa niente.

Io francamente dubito che questa fosse la prassi tramandata dai secoli passati, credo piuttosto che dove la liturgia ambrosiana non prevedesse un rito specifico si sottintendesse di utilizzare quello universale, cioè romano.

Un chiaro esempio di questo paradosso lo si ha in un ambito che mi sta molto a cuore: la benedizione eucaristica, in cui il sacerdote ambrosiano si limita ad uno scarno segno di croce con l’ostensorio, laddove il rito romano ricerca i “santi splendori” con il tantum ergo, la preghiera canonica e le litanie di riparazione.

Pertanto mi permetto di suggerire, auspicare e implorare, quali gesti di riavvicinamento tra le due Chiese sorelle, l’Ambrosiana e la Romana, l’utilizzo del rito romano per gli ambiti “scoperti”, magari cominciando proprio dalla benedizione eucaristica.

La saluto fraternamente assicurandole la mia preghiera.

Andrea Cavalleri