Santa Zita e il diavolo a Lucca che disse di essere Napoleone – di Vittorio Messori

S. Zita - Il miracolo del pane per i poveri trasformato in fioriCorriere della Sera, 30 aprile 2017

A Lucca, in questi giorni sono all’opera gli acchiappa-fantasmi professionisti. Si danno da fare con strumenti elettronici  ma anche con il sistema più semplice e antico: vegliando attorno al palazzo Ducale e sperando nell’ incontro per il quale  sono venuti. Vorrebbero  risolvere finalmente  un enigma che risale a date lontane e che non ha mancato di manifestarsi sino ad ora.

Anzi, soprattutto ora. Nottetempo, cioè, all’interno e nelle vicinanze del palazzo – che fu sede governativa al tempo dei francesi – si aggirerebbe un uomo “trasparente“, come si addice ai fantasmi, di non alta statura, con un pastrano e un tricorno grigi: ma sì, nientemeno che l’Imperatore, Napoleone I.

Confesso che ho saputo ora di questa storia delle “apparizioni“  ma che -a costo di essere scambiato per un visionario- la cosa non mi ha sorpreso più di tanto. Approfondendo la storia di Napoleone – all’ambizione personale  del quale si deve la morte di un’intera generazione di giovani non solo francesi ma  dell’intera Europa- mi incuriosiva la sua singolare attenzione per Lucca.

Alla piccola città volle mantenere il ducato, elevato poi addirittura a principato, e investì del titolo e dell’amministrazione la prediletta sorella Elisa della quale diceva: << E’ la più capace tra le mie sorelle e i miei fratelli, è quella che più mi somiglia>>.

Su Lucca e il suo territorio indirizzò grandi somme per opere pubbliche delle quali, durante i lavori, si informava costantemente. Eppure il luogo non aveva molte risorse economiche, se non quelle agricole, né aveva importanza strategica.

Si sa che la famiglia dei Buonaparte (questo il nome originario) proviene  dalla Toscana, pare  da Sarzana, ora in territorio ligure ma un tempo toscano.

In ogni caso, nessuno studioso ha mai fatto il nome di Lucca come una delle radici della famiglia del piccolo ufficiale di artiglieria che parlava male il francese – lingua ufficiale della Corsica era l’italiano – e che si autoproclamò imperatore.

Dunque, l’attenzione privilegiata  per Lucca, nella quale incappa spesso chi si dia a  letture “napoleoniche“, sembra davvero inspiegabile.

Un giorno però, preparando un libro sul beato Francesco Faà di Bruno , volli  approfondire la figura di Santa Zita da Lucca, vissuta dal 1218 al 1278 e mai mossasi dalla città toscana.

Faà di Bruno, coetaneo e concittadino di don Bosco, dedicò la sua benemerita attività sociale all’assistenza di quelle che allora erano dette le “serve“ e subivano spesso le angherie dei padroni.

Il beato mise dunque la sua opera caritativa  sotto il patrocino di Santa Zita che, per tutta la vita, fu domestica esemplare di una famiglia nobiliare  lucchese.

Il culto della Santa, fu tale (persino Dante ne fa il nome) da deporla dopo la morte in un ricco sepolcro nella basilica di San Frediano e da onorarla ancor oggi con una grande festa popolare il 27 di aprile.

Dicono le cronache che Zita, come molti santi, fu spesso tormentata da forze diaboliche che cercavano di distoglierla dalla via della santità. Ebbene, leggendo una sua biografia stampata all’inizio del Settecento, mi sono imbattuta  nella descrizione di una visione paurosa: un gruppo di demòni che, nottetempo, assediava il suo letto.

Sicura delle protezione del  rosario che portava al collo e della croce che teneva in mano, la santa si rivolse al più minaccioso e più deforme di quei diavoli, intimandogli di dire il suo nome.

Questa, stando alla deposizione di Zita, la risposta dell’essere ripugnante: <<Il mio nome è Napolione>>. Un nome  insospettabile perché, come si diceva, sta in un volume stampato quasi un secolo prima dell’apparizione del Buonaparte.

Tra  l’altro, sarebbe sorprendente come invenzione dalla santa: quel nome era assai raro se non quasi inesistente in Italia, anche a causa della proibizione della Chiesa di battezzare bambini che non avessero un patrono in Cielo.

Ora: un san Napoleone non è mai esistito e fu inventato dai cortigiani dell’Imperatore  anche per rimuovere l’ingombrante festa mariana del 15 agosto, giorno di nascita dell’uomo di Ajaccio.

Che dire, dunque, di un capo-diavolo con il nome di colui che ora si aggirerebbe attorno al palazzo dove sistemò la sorella, promossa principessa?

Come al solito, a chi non è blindato in uno scetticismo previo, conviene forse ripetere le solite parole di Shakespeare: <<Ci sono più cose tra Cielo e Terra…>>.

 

Fonte: il blog di Vittorio Messori