Sull’invalidità dell’elezione di Bergoglio: dissertazione in punta di diritto canonico sulla tesi di Socci e la replica di Boni – di Guido Ferro Canale

non-e-francesco-socciDopo la pubblicazione dell’ormai celebre Non è Francesco, la tesi di Antonio Socci sull’invalidità dell’elezione del Card. Bergoglio a Sommo Pontefice è stata confutata, inter cetera, da Cerrelli e Introvigne per La Nuova Bussola Quotidiana, nonché dalla prof.ssa Geraldina Boni per il sito di Sandro Magister; a lei ha replicato p. Bugnolo del blog From Rome; inoltre, lo stesso Socci è tornato in argomento, segnalando due nuove irregolarità del Conclave, che avrebbero anch’esse portata invalidante.

In seguito a quest’ultimo articolo, anch’io, che già mi sono occupato del tema, ho ritenuto che fosse il caso di tornarvi sopra per considerare i nuovi rilievi di Socci e tracciare un primo bilancio del dibattito; l’ho formulato come replica alla Prof.ssa Boni, autrice della critica più approfondita, perché credo che – sotto il profilo giuridico e salva l’indispensabile verifica dei fatti – la tesi socciana sia sostanzialmente fondata.

Anzitutto, la ricapitolo per comodità del lettore: stando a quanto riferito dalla giornalista argentina Elisabetta Piqué, la sera del secondo giorno di Conclave, alla quarta ed ultima votazione in programma (quinta di tutto il Conclave), sarebbe accaduto quanto segue.

«Dopo la votazione e prima della lettura dei foglietti, il cardinale scrutatore, che per prima cosa mescola i foglietti deposti nell’urna, si accorge che ce n’è uno in più: sono 116 e non 115 come dovrebbero essere. Sembra che, per errore, un porporato abbia deposto due foglietti nell’urna: uno con il nome del suo prescelto e uno in bianco, che era rimasto attaccato al primo. Cose che succedono. Niente da fare, questa votazione viene subito annullata, i foglietti verranno bruciati più tardi senza essere stati visti, e si procede a una sesta votazione».

L’annullamento suppone che si applichi il n. 68 della Cost. Ap. Universi Dominici Gregis,[1] che commina la nullità della votazione quando il numero delle schede è maggiore di quello degli elettori; quindi si è proceduto ad una nuova votazione (sesta di tutto il Conclave, quinta della giornata), da cui è risultato eletto Bergoglio.

Invece, ad avviso di Socci, la nullità non sussisteva, perché il caso in cui due schede (o più) siano riconducibili ad uno stesso Cardinale è disciplinato dal n. 69 e non dal 68,[2] e comunque il nuovo voto, essendo il quinto della giornata, avrebbe violato UDG 63, che prevede soltanto quattro votazioni in un giorno.

Ora, la stessa Costituzione Apostolica, al n. 76, recita:  “Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito e, quindi, essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta.”.[3]

La premessa di fatto sul rinvenimento delle schede non forma oggetto di particolari contestazioni: i critici, pur esprimendo legittime riserve sull’attendibilità dell’articolo della Piqué (che, del resto, non menziona la propria fonte), lo accettano almeno come ipotesi e ragionano sulle conseguenze giuridiche.

Tuttavia, mi sembra opportuno rilevare che esiste almeno un elemento di conferma a questa versione dei fatti: avendo, come milioni di fedeli, seguito in diretta la serata dell’elezione, ricordo molto bene che la fumata finale si è fatta attendere a lungo e che i commentatori si chiedevano il perché di questo ritardo nell’esito della quarta votazione della giornata. Che io sappia, esso non è mai stato spiegato; ma si spiega benissimo se effettivamente si è dovuto rivotare.

Infine e per completezza, vorrei esprimermi su una delle obiezioni più comuni: “Se così fosse, come mai nessun Cardinale ha sollevato pubblicamente il problema?”.

Domanda lecita, essendo almeno probabile che, in un caso del genere, si sia tenuti, non al segreto del Conclave, ma piuttosto a palesare il possibile vizio. Ma mi pare che la risposta stia nella legge: siccome la UDG non dice a chi spetti dichiarare che una votazione è nulla, si applica la disciplina generale del Codice di Diritto Canonico (cfr. can. 173 §2); quindi, supponendo vera l’ipotesi di Socci, ogni decisione è stata presa dai tre scrutatori, insieme con il Card. Decano (al massimo, anche con i Revisori), e il resto degli elettori, secondo ogni logica, si è semplicemente sentito dire “Dobbiamo rivotare, c’era una scheda in più”.

Quindi, non possono né confermare né smentire la sussistenza del vizio, perché non sono a conoscenza del dettaglio decisivo: le schede erano piegate insieme, oppure no? C’è da augurarsi che esso sia almeno descritto nella relazione sull’esito delle votazioni (cfr. UDG 71 §2) e che, prima o poi, ci si decida ad aprirla.[4]

Tanto premesso, veniamo ad rem: intendo considerare, anzitutto, la prima delle nuove irregolarità rilevate da Socci, che riguarda l’apertura stessa del Conclave; quindi il complesso delle censure sulla famosa votazione, incluso il secondo profilo nuovo.

 

Gli elettori mancanti

Nel suo nuovo articolo in argomento, il giornalista toscano segnala che i Cardinali si sono avvalsi della facoltà di entrare in Conclave prima dei quindici giorni dalla Sede vacante – facoltà accordata da Benedetto XVI con il m.p. Normas nonnullas – senza però rispettare il requisito indicato dalla legge stessa (UDG 37 come modificato):[5]si constat omnes Cardinales electores adesse”.

Di fatto, gli elettori non erano tutti presenti, ma ne mancavano due, O’ Brien e l’indonesiano Darmaatmadja, che avevano comunicato che non avrebbero preso parte al Conclave.

Poiché, però, un Cardinale elettore dev’essere ammesso al voto anche se arrivasse a Conclave già iniziato, ragiona sempre Socci, non è possibile anticipare l’apertura. Ne segue che il giorno in cui Bergoglio è stato eletto… non si sarebbe neanche potuto votare.

Credo, però, che il profilo di illegittimità non sussista.

Anzitutto, un rilievo solo apparentemente formale: il nuovo testo di UDG 37 dice “se tutti i Cardinali sono presenti”… ma non dice “solo se”. Farglielo dire è un’interpretazione, precisamente un’interpretazione a contrario: la legge parla del caso X, quindi gli altri, non menzionati, debbono intendersi esclusi.

Il can. 17, elencando i molteplici criteri di interpretazione della legge, ci ricorda che le cose non sono così semplici.

Anzitutto, per essere cogente, questa lettura dovrebbe fondarsi su un rapporto di eccezione a regola: quando si dice “l’eccezione conferma la regola”, si intende appunto che questa va applicata in tutti i casi non eccettuati esplicitamente (exceptio firmat regulam in casibus non exceptis: cfr. can. 18).

Certo, i quindici giorni potrebbero appunto essere la regola, e questa l’eccezione. Inoltre, e sembra la lettura di Socci, UDG 37 restringe il diritto del Cardinale elettore, quindi dovrebbe sottostare ad interpretazione stretta (cfr. can. 18).

Ma in contrario depongono sia “il fine e le circostanze della legge”, sia il contesto normativo (cfr. can. 17).

Anzitutto, la preoccupazione dominante di UDG 37 è acceleratoria: rispetto ai tre mesi accordati dal can. 165, qui il tempo massimo di attesa è ridotto a venti giorni, pur in presenza di gravi cause.

Se ne desume che, al ventunesimo giorno, il Conclave si dovrebbe aprire anche se mancasse, magari per buone ragioni, un gran numero di elettori. Questi, semmai, potrebbero entrare a Conclave iniziato.

Esiste, poi, anche la preoccupazione di dar loro il tempo di arrivare: i giorni di attesa, dieci sotto la disciplina di S. Pio X, sono stati portati a quindici con il m.p. Cum proxime di Pio XI, perché gli americani si erano giustamente lamentati di non aver avuto modo di arrivare prima della sua elezione.

Si comprende, quindi, perché UDG 37 ammetta che non si faccia luogo a dilazione se gli elettori son già tutti presenti.

 

Ma quid se gli assenti sono giustificati?

Il n. 38 stabilisce che l’impedimento dev’essere riconosciuto dal Sacro Collegio[6] e il 39, che sembra pensato soprattutto per gli impediti, ammette al voto in Sistina qualunque elettore sopraggiunga a Conclave iniziato.

Ma allora non si potrebbe, in linea di principio, rimandare l’ingresso in Conclave per attendere uno o due malati che, nel frattempo, fossero guariti e stessero annunciando l’arrivo.

Altrimenti detto: una volta che l’impedimento sia stato riconosciuto, si può procedere oltre.[7]

A mio avviso, anche  anticipando l’apertura del Conclave: inutile attendere chi ha già detto che non verrà, con ragioni valide e riconosciute tali. Casomai arrivasse, potrebbe entrare comunque. Ergo, deve prevalere la preoccupazione dominante: provvedere in fretta all’elezione.

Né si può ritener leso il diritto dell’elettore: non stiamo parlando di un anticipo arbitrario; i soli soggetti potenzialmente lesi si sono essi stessi dichiarati impediti.

Se fossero stati affetti da infermità acute ma passeggere, o altra causa transitoria, che renda rilevante il periodo di attesa, non avrebbero forse pregato i loro colleghi di attendere?

Oppure avrebbero potuto non comunicare nulla e arrivare a Roma entro i quindici giorni. L’impedimento si comunica – e viene approvato – proprio a salvaguardia del diritto degli altri elettori di entrare in Conclave, senza essere trattenuti dall’incertezza sul possibile arrivo di Tizio o di Caio.[8]

In ogni caso, come Socci stesso ricorda, il Sacro Collegio ha dato atto delle due assenze.

Quindi, decidendo comunque di entrare in Conclave, ha esercitato il potere interpretativo accordatogli da UDG 5 – sul quale torneremo – e interpretato il nuovo testo di UDG 37 in termini (suppongo) analoghi ai miei. A che serve UDG 5, se non proprio per questi casi dubbi?

Ma anche a voler supporre il vizio, non ne seguirebbe la nullità. Soprattutto perché si creerebbe una grave disparità di trattamento. UDG non dice nulla su un vizio ben più grave, cioè che qualche elettore non sia convocato; si applica, quindi, la disciplina del Codice (can. 166), secondo cui l’elezione è nulla solo se è stato pretermesso – e sia di fatto mancato all’appuntamento – più di un terzo degli elettori; altrimenti è solo annullabile, purché gli interessati ricorrano, a tal fine, entro tre giorni dall’elezione stessa. (L’autorità competente non può essere che il Sacro Collegio stesso).

Onestamente, resterei perplesso di fronte a una lettura che ci darebbe un Papa legittimo se, diciamo, venti elettori non fossero stati convocati e non avessero reclamato, ma renderebbe insanabilmente nulla l’elezione perché due elettori, impediti e con impedimento riconosciuto, avrebbero anche potuto cambiare idea…

 

Scheda in più e annullamento delle votazioni

Giova premettere che, a norma di UDG 66, lo scrutinio si articola in tre fasi: il voto vero e proprio, ossia la deposizione delle schede nell’urna; estrazione e conteggio delle schede stesse; solo successivamente, loro apertura. Il n. 68, occupandosi del conteggio, stabilisce che “Se il numero delle schede non corrisponde a quello degli elettori [perché esse sono di più o di meno], bisogna bruciarle tutte” e ripetere la votazione; invece, il 69, che riguarda il momento dello spoglio, prevede il caso delle due schede “ita complicatas, ut ab uno tantum datas esse appareat” e salva la validità della votazione.

Dal resoconto della Piqué, non è chiarissimo quando sia stata scoperta la doppia scheda: da un lato, si riferisce il numero totale (116 anziché 115), il che fa pensare che il conteggio fosse ultimato; dall’altro, l’indicazione “Dopo la votazione e prima della lettura dei foglietti, il cardinale scrutatore, che per prima cosa mescola i foglietti deposti nell’urna, si accorge…” fa pensare al mescolamento, che precede lo stesso conteggio (cfr UDG 68: “Dopo che tutti i Cardinali elettori avranno deposto la loro scheda nell’urna, il primo Scrutatore l’agita più volte per mescolare le schede e, subito dopo, l’ultimo Scrutatore procede al conteggio di esse, prendendole in maniera visibile una ad una dall’urna e riponendole in un altro recipiente vuoto, già preparato a tale scopo”).

Di conseguenza, a rigore, il numero totale – 116 e non 115 – sarebbe frutto di una deduzione dalla presenza di una scheda in più, non dell’avvenuto conteggio.

A mio avviso, la lettura più rispondente al resoconto porta a far scoprire le due schede allo Scrutatore mentre agita l’urna e vede le due schede attaccate. Del resto, questa è anche l’ipotesi più interessante: se il vizio fosse emerso a conteggio finito, non ci sarebbe storia, si rientrerebbe nella fase dello spoglio e si dovrebbe applicare UDG 69. Che succede, invece, se emerge prima? Prevale la fase in cui ci si trova, e quindi si applica il n. 68, oppure l’identità di fattispecie con il n. 69?

Questo è un classico problema di interpretazione della legge, perché il fatto, così come si assume avvenuto, non è espressamente previsto in tutti i suoi elementi da nessuna disposizione. Potrebbe rientrare o nell’una o nell’altra.

Proprio per affrontare questo genere di problemi, UDG 5 stabilisce: “Qualora sorgessero dubbi circa le prescrizioni contenute in questa Costituzione, o circa il modo di attuarle, dispongo formalmente che ogni potere di emettere un giudizio al riguardo spetti al Collegio dei Cardinali, cui pertanto attribuisco la facoltà di interpretarne i punti dubbi o controversi, stabilendo che quando occorra deliberare su queste ed altre simili questioni, eccetto l’atto dell’elezione, sia sufficiente che la maggioranza dei Cardinali congregati convenga sulla stessa opinione.”.

Tuttavia,  non si è fatto ricorso a questo potere; l’annullamento è stato disposto dagli Scrutatori e dal Decano, non dal Collegio… del resto, stando alla lettera di UDG 5, si sarebbe dovuto interpellare l’intero Collegio, compresi i Cardinali non elettori, cosa impossibile senza un’interruzione del Conclave.[9]

Quindi, la decisione di applicare il n. 68 anziché il 69, giusta o sbagliata che sia, non è espressione di questa potestà interpretativa…[10] e potrebbe, almeno in astratto, essere sindacata da chi ne è titolare, ossia proprio il Sacro Collegio.

Per la verità, la Prof.ssa Boni, su questo punto, propugna una lettura ben diversa: UDG 5 “esclude esplicitamente la possibilità di interpretazione dell’atto dell’elezione, dovendo le norme essere applicate così come suonano”.

Ne seguirebbe che il n. 68 dovrebbe comprendere tutte le ipotesi di rinvenimento di schede in più nella fase del conteggio,[11] anche se, come ella stessa rileva, ha ragione Socci a sostenere che, così, ogni Cardinale può tenere il Conclave in sospeso ad infinitum, semplicemente piegando due schede insieme e facendo annullare la votazione. Stesso discorso per la possibile violazione del n. 63: si verrebbe a sindacare l’atto stesso dell’elezione.

Non ho avuto modo di consultare il commento del Card. Pompedda, cui la Boni rimanda in proposito;[12] ma l’ipotesi che l’inciso “eccetto l’atto dell’elezione” escluda la potestà interpretativa e di dirimere i dubbi proprio sull’atto più importante di tutti (!) mi sembra sostenibile solo rispetto alla trad. italiana, ma non al testo ufficiale latino.[13]

Anche per Miñambres, se lo intendo rettamente, esso eccettua, non dalla potestà, ma dalla maggioranza semplice e dai quorum: “La risoluzione delle questioni […] spetta ai cardinali, che, tranne per quello che riguarda l’elezione del Pontefice, silente la norma, seguiranno i quorum generalmente richiesti per la presa di ogni tipo di decisione collegiale [dai due Codici, latino e orientale]”.[14]

In altri termini: se si deve risolvere un dubbio che coinvolge l’atto stesso dell’elezione e la sua validità, bisogna osservare le stesse regole previste per l’elezione stessa, quindi la maggioranza dei due terzi.

E’ il principio dell’actus contrarius: un atto si modifica o invalida con la stessa procedura usata per adottarlo. Per la stessa ragione, l’inciso “excepto ipso electionis actuprobabilmente deroga anche alla competenza dell’intero Collegio, riservandola, in tale ipotesi, ai soli Cardinali elettori; ma, siccome può restare un dubbio sul punto, al riguardo occorrerebbe una decisione preliminare di tutti gli Eminentissimi sulla portata dell’inciso stesso.

Inoltre, che i Cardinali possano sindacare la validità dell’elezione era pacificamente ammesso, quando vigeva la Cost. Ap. Vacantis Apostolicae Sedis di Pio XII (che sul punto si esprime in termini del tutto simili),[15] tanto da esser menzionato, senza riserve, perfino in un compendio per studenti: “Se il dubbio probabile riguarda la validità dell’elezione, il Papa non è validamente eletto. Affinché il R. Pontefice ottenga la giurisdizione suprema si richiede che egli sia legittimamente eletto; ora l’elezione dubbiamente valida non è legittima. Se però il dubbio oggettivo è probabile e non universale, ma di difficile soluzione, il giudizio spetta al Collegio dei Cardinali a norma della Cost. ‘Vacantis Apostolicae Sedis‘ nn. 3-4.”.[16]

Del resto, se ho capito bene, anche la Boni riconosce che potrebbe darsi il caso di Papa dubbio, inteso proprio come dubie electus.[17] Se c’è un dubbio, dev’esserci anche chi lo possa risolvere.

Chiarito, quindi, che anche i nn. 68 e 69 (e ogni altro punto della UDG che possa riguardare ipsum electionis actum) sono passibili di interpretazione, torniamo al dilemma principale: prevale il momento in cui si scopre la scheda, oppure il fatto che si tratti di due schede ripiegate?

Debbo confessare di non aver proprio compreso perché, secondo i critici, sarebbe così importante il riparto in fasi. Dato che la legge si interpreta tenendo conto anche del fine e delle circostanze, quale interesse fondamentale verrebbe salvaguardato da una scansione tanto rigida da impedire di applicare il n. 69 a due schede ripiegate emerse in fase di conteggio?[18]

Inoltre, soprattutto riguardo a testi come la UDG, sostanzialmente riproduttivi di leggi anteriori, ha un gran peso l’argomento storico, che, in caso di dubbio, riporta il testo al senso (più chiaro) del precedente (cfr. cann. 6 e 20).

La Boni non affronta quest’aspetto, perché ha escluso in radice la stessa possibilità di interpretazione, quando si tratti dell’atto stesso dell’elezione; più singolare che lo trascurino anche Cerrelli e Introvigne, la cui linea argomentativa è diversa.

Eppure, Socci è risalito alla versione originaria dell’attuale n. 69 e afferma che il suo scopo consiste proprio nell’impedire che un Cardinale possa tenere in stallo il Conclave. Anche se avesse torto sul piano storico, mi sembra che l’argomento sia comunque sufficiente a far preferire la sua interpretazione.

Del resto, la votazione viene annullata se le schede sono meno degli elettori, perché non si vuole ammettere l’astensione dal voto (al più la scheda bianca); se invece le schede sono di più, il rischio è che abbia votato un non-elettore (cfr. can. 169), o che qualcuno abbia votato più volte. Ma se si trovano piegate insieme, il rischio non sussiste, perché si possono ricondurre ad uno stesso elettore. E quindi non c’è ragione di ritenere nulla la votazione.[19]

 

Il tetto alle votazioni

Siano o non siano validi gli argomenti di Socci sui nn. 68 e 69, è indubbio che, secondo la ricostruzione dei fatti da tutti presupposta, si sarebbero materialmente avute cinque votazioni in una giornata. Resta da capire perché questo non costituirebbe una violazione di UDG 63, che ne prevede soltanto quattro, due mattutine e due pomeridiane.

Cerrelli e Introvigne, fidandosi della traduzione italiana, ritengono che il n. 68 imponga di procedere “subito” ad una nuova votazione; Socci giustamente replica che tale avverbio è assente nel testo latino (e il punto ha una sua importanza, di cui infra). Inoltre, secondo loro, “ – applicando elementari principi generali del diritto, anche canonico – l’articolo 63 si riferisce a quattro votazioni valide e complete, cioè arrivate fino allo spoglio”, e intendono lo spoglio completato.

Anche in questo caso, però, incorrono in un infortunio con il testo latino: la “votazione completa”, a termini di UDG 66, è detta scrutinium e va, effettivamente, dall’immissione nelle schede fino allo spoglio completato;[20] ma il limite numerico del n. 63 §2 si riferisce al suffragium (“duo suffragia erunt ferenda, tum mane tum vespere”).

Questo è il voto del singolo Cardinale;[21] nel contesto del n. 63, può solo indicare due momenti in cui si vota – due espressioni di suffragium – quindi due deposizioni di schede nell’urna.[22]

Più lineare l’argomento della Prof.ssa Boni: “tale quarta votazione dal punto di vista giuridico è incontestabilmente ‘tamquam non esset’, non andava quindi inclusa e computata fra quelle effettive”.

Per la verità, qui ella sta derogando al suo stesso principio di letteralità pura e semplice: siccome il tamquam non esset non si legge in nessun punto di UDG, la sua lettura costituisce un’interpretazione che, in questo caso, riguarda l’atto stesso dell’elezione… appunto ciò che, a suo dire, sarebbe precluso. Ma non voglio insistere su quella che mi pare una contraddizione (o poco meno), perché riconosco che l’argomento in sé ha un suo pregio.

Tuttavia, non mi sembra convincente, per quattro ragioni.

1) Il fine del n. 63 e della scansione temporale da esso recata consiste nell’assicurar l’equilibrio tra le esigenze di celerità e quelle di riflessione. Quindi dovrebbe applicarsi a tutte le materiali espressioni di voto, ciascuna delle quali dev’essere ponderata, anche se poi, in ipotesi, fosse nullo lo scrutinio. Anzi a fortiori, mi verrebbe da dire: la nullità può sembrare un mero incidente di percorso cui occorre rimediare (a vantaggio del candidato in testa, presumibile “vittima” della procedura.

2) Il n. 68 potrebbe smentirmi, ovviamente, se imponesse la ripetizione immediata, con una deroga implicita al n. 63. Ma, come ha già rilevato Socci, esso non dice “subito”, bensì “iterum, id est altera vice, ad suffragia ferenda procedatur”. “Si voti di nuovo, ossia una seconda volta”.
Se questa è la seconda, qual è la prima?

Può solo trattarsi di quella annullata.

Supponiamo, infatti, che venga annullato il primo scrutinio del giorno: se fosse davvero tamquam non esset al punto di non venire neppure conteggiato, non si potrebbe votare una seconda volta… sarebbe di nuovo una “prima”.

Quindi, lo stesso n. 68 implica che la votazione nulla rilevi a qualche fine, che entri in un computo. Lo ha correttamente rilevato p. Bugnolo.

Allora perché non in quello del n. 63?

3) Nel caso del n. 69, il suffragium del singolo Cardinale espresso con due schede, se è nullo, «però, ha significato giuridico in quanto viene contato nel totale dei voti espressi e contribuisce a determinare, al pari di quello in bianco, la maggioranza richiesta dei due terzi».[23] Un singolo voto si computa nel quorum, anche se nullo, e una votazione intera si dissolve nell’aria?

4) L’assenza dell’avverbio “subito” e l’espressione “altera vice” si spiegano molto bene se si considera che, probabilmente, sarebbe impossibile ripetere immediatamente la votazione. Infatti, a norma di UDG 64, i Cerimonieri, distribuendo le schede, debbono darne ad ogni elettore “almeno due o tre”, “saltem duas vel tres”.[24]

Quindi, possono abbondare, ma basta che ne distribuiscano due. Ecco perché UDG 68 dice “altera vice”: una terza votazione, un terzo suffragium ferre, non sarebbe possibile, occorrerebbe tornare al pre-scrutinio e distribuire nuovamente le schede.

Viceversa, se il legislatore avesse inteso consentire questo terzo voto, non avrebbe spiegato “iterum” con “altera vice” (il cui senso può solo essere restrittivo: due e non di più), o avrebbe formulato diversamente il n. 64, oppure disposto che si ripetesse l’intera procedura.

O, magari, aggiunto in UDG 68 quell’avverbio statim che, invece, compare in UDG 70:[25] terminato lo spoglio, le schede si bruciano subito (statim), a meno che non si debba procedere subito al  secondo scrutinio (“Si tamen secundum scrutinium statim est agendum”), nel qual caso vengono accantonate e bruciate con quelle dello spoglio successivo.[26] Quindi, lo scrutinio si può e si deve ripetere “subito” solo se è il secondo nella coppia prevista da UDG 63.

Con il che, sono giunto all’altro nuovo profilo rilevato da Socci.

 

Quando si bruciano le schede?

L’argomento viene in subordine rispetto a quelli sull’applicabilità del n. 69: supposto che siano infondati e che il n. 68 si sia applicato con ragione, tuttavia è stato violato nella parte in cui prescrive che le schede si brucino subito e che poi si rivoti. Non si è vista nessuna fumata nera, ergo sono state bruciate dopo, con quelle del nuovo spoglio.

Probabilmente, Scrutatori e Decano hanno ragionato come la Boni: se si considera tamquam non esset la votazione nulla, si deve applicare UDG 70, perché quella nuova è comunque la seconda della serata. Quindi, si rivota e poi le schede si bruciano tutte assieme.

In realtà questo è sicuramente un errore, dato che crea un conflitto tra norme: in quella stessa ipotesi, infatti, si voterebbe altera vice, dunque dovrebbe applicarsi UDG 68.

Che viceversa rischia di non applicarsi mai: non alla nullità della prima votazione, perché, dato il tamquam non esset, non si voterebbe altera vice; e neppure alla nullità della seconda, perché prevarrebbe UDG 70.

Superfluo osservare che il Sacro Collegio non ha il potere di abrogare neppure una virgola di UDG; molto meno, dunque, Decano e Scrutatori, per tacere della dottrina.

L’interpretatio abrogans, almeno in questo caso, va respinta per definizione. E, lo dico per inciso, questo conferma una volta di più che la votazione nulla si deve conteggiare (almeno ai fini di UDG 68, dunque, secondo me, anche di UDG 63).

Insomma, ammesso che una votazione sia stata annullata, ha ragione Socci: è stato violato il n. 68.

Ma, a questo punto, il resoconto della Piqué crea un problema di validità in tutti i casi possibili: se la doppia scheda è emersa in fase di spoglio, è stato violato il n. 69; (secondo me anche se le due schede erano comunque attaccate, ma,) se invece si è applicato correttamente il n. 68, lo si è però violato non bruciando subito le schede della votazione annullata.

E’ il momento, quindi, di ragionare sulle conseguenze delle irregolarità discusse fin qui, ossia sulla portata della nullità prevista in UDG 76.

 

Quando è nulla l’elezione del Papa?

La Boni non si sofferma su questo problema, superfluo nell’economia della sua argomentazione; nulla dice Miñambres,[27] mentre, come detto, non ho potuto consultare Pompedda.

Si sono espressi, invece, Cerrelli e Introvigne, che, muovendo dalla condivisibile premessa secondo cui le ipotesi di invalidità vanno circoscritte e certamente non si potrebbe attribuire tale portata ad ogni minima violazione, sostengono che la formula “Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti” (“Si electio aliter celebrata fuerit”) “e il riferimento alle «condizioni» si riferisc[ono soltanto] allo schema essenziale del conclave, e non a singoli elementi”; quindi, sarebbe “sufficiente che il procedimento sia stato segreto e che si sia avuto con consenso naturalmente sufficiente. Non rendono nullo il voto, pertanto, né l’errore, né la paura: e neppure un fatto gravissimo come la simonia (art. 78 della costituzione).”.

Riguardo alla paura – tra i giuristi solitamente chiamata “timore” – veramente avrei qualche dubbio: il Concilio di Costanza, nel decreto Frequens (la cui approvazione da parte di Martino V è certa, avendovi egli dato esecuzione), ha esplicitamente disposto che il timore grave rende nulla l’elezione del Papa, senza che sia possibile la ratifica successiva per tacito consenso dei Cardinali, una volta cessato l’errore.

E anche supponendo che la disposizione si debba ritenere abrogata, anche se non saprei da quale, il can. 170 del Codice dichiara nulla qualsiasi elezione la cui libertà sia stata effettivamente impedita. Del resto, in ipotesi di errore essenziale o di timore grave, come si potrebbe parlare di “consenso naturalmente sufficiente”? Già solo per questo, la lettura mi sembra troppo restrittiva.[28]

L’argomento storico, inoltre, porta in un’altra direzione: nei testi normativi anteriori, l’avverbio “altrimenti” e le “condizioni” si riferivano alle tre diverse forme di elezione previste, per scrutinio, per compromesso o per acclamazione.

Abolite le ultime due da Giovanni Paolo II, debbono per forza indicare la procedura di scrutinio e non semplicemente i requisiti del consenso o del segreto.

Tanto più che l’insistenza del Pontefice sull’importanza della procedura e del suo rispetto scrupoloso[29] impedisce di ritenere che egli abbia voluto restringere i casi di nullità e suggerisce, semmai, la lettura opposta, di una clausola volutamente ampia.

A mio avviso, il n. 76 si può, quindi, intendere comprensivo di tutti e soli i vizi che abbiano avuto un’incidenza causale sull’atto dell’elezione, sull’esito del Conclave.

Le irregolarità qui considerate vi rientrano?

Non quella sull’apertura anticipata del Conclave, se pur fosse un vizio: è tutto da dimostrare che Bergoglio non sarebbe stato eletto, o che l’iter delle votazioni si sarebbe svolto altrimenti.

Diverso il caso per i nn. 63 e 68.

Molto opportunamente, Socci ha rilevato che, tra la sera e la mattina, molte candidature si fanno e si disfano: se i Cardinali, annullata la votazione, si fossero ritirati a riflettere a pregare, avrebbero potuto circolare informazioni più accurate sul candidato in testa; invece, la ripetizione, con buona probabilità, ha convogliato anche gli indecisi su chi appariva vincente.

E comunque, se la votazione non poteva essere ripetuta, l’actum electionis è invalido.[30] Lo sarebbe perfino se Bergoglio fosse già stato eletto alla quarta votazione, perché il suo spoglio non è mai stato completato.

Invece, occorre fare un distinguo quanto alla bruciatura delle schede annullate.

Lo scopo della norma è chiaro: impedire che si confondano le schede dell’uno o dell’altro scrutinio. Data l’entità del pericolo, la violazione ha sicuramente portata invalidante… a meno che il pericolo stesso, in concreto, non sussistesse, perché, p.es., le schede erano già state infilate nella stufa o comunque allontanate in modo tale da escludere ogni possibilità di confusione.

Ma nel dubbio di fatto su come siano andate le cose, anche sotto questo profilo l’elezione non è legittima.

Concordo con la Boni,[31] invece, sull’assenza di portata invalidante di un altro rilievo di Socci: se effettivamente la scheda ripiegata è stata “scoperta” in fase di conteggio, vuol dire che lo scrutatore lo ha aperta, anche se avrebbe potuto farlo solo in fase di spoglio. In realtà, un divieto esplicito di aprirle prima non c’è e, in ipotesi, sussisteva certo una causa più che ragionevole. Non so, però, se questa lettura si accordi bene anche con l’insistenza della Boni sulla rigidità della scansione in fasi.

 

Accettazione universale

Resta da esaminare l’ultimo argomento della Boni, che escluderebbe la sussistenza di qualsiasi invalidità: “la canonistica ha costantemente e coralmente ammaestrato che la pacifica ‘universalis ecclesiae adhaesio‘ è segno ed effetto infallibile di un’elezione valida e di un papato legittimo: e l’adesione a papa Francesco del popolo di Dio non può essere messa in alcun modo in dubbio.” (rimanda, sul punto, a Wernz-Vidal e al Card. Billot).[32]

Mi permetto di mettere in dubbio sia l’adesione del popolo di Dio, sia la bontà della tesi, sia il sostegno costante e corale di cui godrebbe.

Quanto all’ultimo punto, proprio Wernz-Vidal, nel luogo richiamato dalla Boni, attestano la vivacità delle discussioni su quando si dia un Papa dubius: il senso dell’argomento è proprio escludere in radice la possibilità del dubbio.[33]

E ciò su un fondamento teologico: il Card. Billot spiega molto chiaramente che, siccome il Papa è “la regola vivente della Fede”, Dio non può permettere che tutta la Chiesa segua per tale colui che non è veramente Papa; sarebbe come se la Chiesa intera sbagliasse nella Fede.[34] Quindi, se di fatto tutti sono convinti che Tizio sia il Papa, allora siamo infallibilmente certi che l’elezione è valida.

Non è un caso che il Billot tratti l’argomento riguardo all’ipotesi del Pontefice eretico.

In effetti, secondo me, il suo argomento ha pregio solo se vi è un rischio concreto di induzione dei fedeli nell’eresia (un Papa non canonicamente eletto potrebbe, però, essere del tutto ortodosso); ma non vale comunque a neutralizzare di fatto questo rischio. Ci assicura, semmai, che è impossibile che la Chiesa intera segua nell’errore un Papa eretico; e anche per Billot, che pure tratta il caso come meramente ipotetico, questi decadrebbe ipso facto dalla carica.

Ma allora, per un verso l’adesione universale precedente non varrebbe come garanzia contro cadute successive; per altro, l’eretico si manifesterebbe comunque per tale da occupante della Suprema Cattedra e per questa via travierebbe un gran numero di fedeli; infine, ma non da ultimo… se le cose stanno così, a che pro’ ritenere l’adesione universale segno infallibile di elezione legittima? Dov’è, non dico il vantaggio, ma la necessità teologica cogente che impone di far appello all’indefettibilità?

Ma non basta. Quest’argomento è contrario al diritto positivo.

Ho già menzionato il decreto Frequens, sulla nullità dell’elezione viziata da timore grave, nullità non sanabile neppure per comportamento concludente dei Cardinali. E’ ovvio che, se questi non protestano in qualche modo, nessuno avrà argomenti concreti con cui impugnare l’elezione papale, ergo si darà la universalis adhaesio; ma il Concilio Ecumenico ragiona in termini diametralmente opposti ad una sua efficacia sanante o probante la validità.

Ancor più precisa, poi, la Bolla di Paolo IV Cum ex Apostolatus, che espressamente dispone che, se mai venisse eletto al Pontificato un eretico, l’elezione sarebbe nulla e non potrebbero supplire né il possesso della carica, né il riconoscimento universale.[35] Mi permetto di pensare che al Billot sia sfuggita: egli reputava impossibile che, nelle leggi universali (come quelle per il Conclave), i Papi potessero statuire in termini non conformi al diritto divino, avrebbe rivisto il proprio argomento.

Se il riconoscimento universale chiama in causa l’indefettibilità, è in gioco il diritto divino, la fedeltà di Cristo alle Sue promesse alla Chiesa; Paolo IV avrebbe commesso un errore dottrinale a non riconoscerlo.

Lo stesso dicasi per i testi normativi sul Conclave anteriori alla riforma di S. Pio X, che contenevano formule di minaccia gravissime per lo pseudo-Pontefice – fuori del caso di eresia, cioè eletto in difformità dalle norme irritanti – e chiunque gli prestasse adesione, senza minimamente accennare a questa sicurezza infallibile derivante dall’adesione stessa, se universale.[36]

Inoltre, il canonista deve, in linea di principio, considerare il diritto vigente prima, e il consenso della dottrina solo come criterio suppletivo (cfr. can. 19); e, a mio parere, la Bolla di Paolo IV è tuttora in vigore.

Certamente lo era al tempo in cui scriveva il Billot, poiché figura tra le fonti del Codice del 1917.[37] Ma siccome sia questo sia il nuovo (cfr., rispettivamente, can. 153 e can. 149) lasciano alle leggi particolari il compito di dettare i requisiti di idoneità necessari per il tale ufficio e anche i casi in cui la loro mancanza rende invalido il conferimento, direi che non si pone neanche il problema di una sua abrogazione.

Ne segue che l’argomento della universalis adhaesio contrasta con la normativa in vigore, almeno quanto all’ipotesi del Papa eretico (l’unica, a mio avviso, per cui esso abbia un senso).

 

Infine, è così pacifico che vi sia, quest’adesione universale?

Certo, finché non è apparso il libro di Socci, nessuno nutriva dubbi precisi sulla validità dell’elezione; ma se è in gioco il principio per cui “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”… ebbene, le pecore perplesse non sono mai mancate, fin dal primo apparire di Bergoglio al balcone; anzi, le abbiamo viste crescere di numero, come le preoccupazioni in intensità. Questo non conta nulla?[38]

Nella logica sottesa all’adesione universale, io credo che debba contare.

Condizioni ed ambito della supplenza; il futuro Conclave

Veniamo, ora, ad un altro problema, posteriore nell’ordine logico: se effettivamente l’elezione è invalida, qual è la sorte degli atti compiuti da Bergoglio?

Osservo, peraltro, che esso si intreccia comunque con l’argomento dell’adesione universale, la cui ragion d’essere cade anche se il Papa illegittimo non è Papa, ma i suoi atti sono comunque validi, inclusi quelli magisteriali: allora, infatti, non si può dire che la Chiesa stia seguendo un falso Pastore.

E la legislazione della Chiesa prevede appunto che, a certe condizioni, chi non sia titolare di un ufficio disponga comunque della giurisdizione, o potere di governo, che gli viene supplito dalla Chiesa.[39]

Si badi bene: la supplenza non è una sanatoria; non “sana” l’elezione invalida e non impedisce, anzi esige che vi si ponga rimedio.

Ma, per evitare danni maggiori alle anime, attribuisce un potere che non si possiede, ad alcune condizioni. In effetti, e salvo miglior giudizio, credo che l’adesione universale sia stata escogitata per sfuggire alle intricate controversie del diritto precodiciale su casi e limiti della supplenza, nonché sulla possibilità che eretici o scismatici avessero comunque giurisdizione.[40]

Tuttavia, il Codice del 1917, risolvendo queste controversie nel senso più favorevole alla supplenza, ha reso quest’argomento, lato sensu tuziorista, del tutto inattuale. Ci si può chiedere, semmai, se sia tornato di attualità con il Codice del 1983. Ma andiamo con ordine ed esaminiamo, sinteticamente, lo sviluppo dei casi in cui la Chiesa supplisce la giurisdizione. Questo permetterà anche di rispondere alla domanda:

Secondo l’opinione di gran lunga prevalente prima del Codice del ’17, la supplenza richiedeva l’errore comune e il titolo colorato: ossia, che una parte cospicua della comunità interessata reputasse, erroneamente, Tizio detentore della tal carica o munito dei tali poteri, e che il suo possesso della/gli stessa/i fosse coonestato da un titolo apparente (p.es., Tizio è un eretico, ma il Vescovo non lo sa e lo ha nominato Parroco).

S. Alfonso ha affermato espressamente che, in caso di elezione nulla per simonia occulta, la supplenza di giurisdizione si sarebbe applicata anche al Papa, attribuendo perfino l’infallibilità agli atti che la richiedevano.[41]

Tuttavia, il diffondersi del dubbio sulla legittimità dell’elezione avrebbe fatto venire meno il titulus coloratus, e con esso la supplenza, anche se la maggior parte dei fedeli fosse stata ancora in errore: è possibile che questo abbia fatto preferire ad alcuni l’adesione universale come mezzo per escludere tali dubbi.

Considerato, però, che, secondo tutti gli autori, il can. 209 del Codice del 1917 ha abolito il titolo colorato e si accontentava dell’errore comune, la difficoltà oggi non si porrebbe. Dopotutto, “Non è il Papa, ma tutti credono che lo sia” sarebbe esattamente la nostra ipotesi.[42]

Per inciso: la potestà supplita si estenderebbe anche a coloro che sono sicuri che non sia il Papa, poiché la supplenza è funzionale al bene comune, non a quello personale del singolo errante: attribuisce un vero potere di governo, efficace anche verso chi è consapevole dell’illegittimità.

Ma, purtroppo, un problema c’è ancora.

Diversamente dal vecchio Codice, il nuovo distingue la potestà di governo in legislativa, esecutiva e giudiziaria… e prevede la supplenza soltanto per quella esecutiva (cfr. can. 144 §1).[43]

Dunque, le nomine – espressamente qualificate dal Codie come atti della potestà esecutiva – sono salve, incluse le creazioni cardinalizie; quindi disponiamo tuttora di un Sacro Collegio validamente costituito e i Cardinali creati da Bergoglio, se venissero chiamati ad esprimersi sulla validità della sua elezione, non giudicherebbero in causa propria, perché resterebbero comunque Cardinali.

Anche i provvedimenti della Curia Romana emanati previa approvazione pontificia sono pienamente validi (di sicuro se l’approvazione è in forma comune; ma penso anche quella in forma specifica, perché restano atti della potestà esecutiva, sia pure piena e suprema (cfr. can. 1732).

Ma nulla è previsto per gli atti legislativi, giudiziari o di Magistero.

Siccome la supplenza è comunque un istituto eccezionale rispetto alle regole ordinarie su attribuzione e riparto del potere, il silenzio vale esclusione.[44]

Fortunatamente, la Rota Romana e la Segnatura Apostolica giudicano con potestà propria e le loro sentenze non verrebbero inficiate in alcun modo; ma la Congregazione per la Dottrina della Fede  sottopone molte decisioni in materia penale al giudizio diretto del Papa.

Nessun problema se si tratta di provvedimenti assunti in via amministrativa, rientrano nella potestà esecutiva; non così se hanno forma di sentenza o decreto giudiziale.

Anche le canonizzazioni, trattandosi di definire processi veri e propri sebbene sui generis, dovrebbero rientrare nelle sentenze. Fortunatamente, l’attività legislativa è rimasta circoscritta al riassetto della Curia; eventuali atti amministrativi da essa derivati beneficerebbero della supplenza per errore comune, quindi gli inconvenienti sembrano, tutto sommato, circoscritti… ad un notevole danno per l’immagine della Sede Apostolica.

Facile osservare che i danni si evitano con un maggior rigore nell’osservanza della legge, non celando la polvere sotto il tappeto a pasticcio avvenuto.

In questi casi, come per gli atti magisteriali, non essendovi un rimedio rebus sic stantibus, spetterà al nuovo Pontefice scegliere quali atti confermare, modificare o lasciar cadere. Nel frattempo, l’errore comune, se non supplisce la potestà mancante, scusa però dal peccato chi prenda le leggi per vere leggi e gli atti di Magistero per ciò che pretendono di essere (…forse: sono noti i dubbi sollevati riguardo alla Evangelii gaudium).

E con ciò, siamo arrivati al problema del nuovo Papa.

 

Come si dovrebbe procedere ad un nuovo Conclave?

Secondo logica, prima di tutto bisognerebbe dirimere il dubbio sulla validità dell’elezione di Bergoglio. E questo anche se la Sede vacasse per sua morte o rinunzia, perché UDG 33 prevede che godano di elettorato attivo i Cardinali che non avevano compiuto ottant’anni il giorno in cui la Sede si è resa vacante… e, nella nostra ipotesi, quel giorno sarebbe ancora, sempre, il 28 febbraio 2013.

Anzi, prima ancora, occorre che il Collegio intero chiarisca se il potere previsto da UDG 5 spetti a tutti i Cardinali, o solo agli elettori, quando è in gioco la validità dell’elezione: non è possibile rivolgersi ad altri organi, come il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, perché Papa dubius Papa nullus, quindi la Sede dovrebbe considerarsi vacante fino a soluzione del dubbio (la cui sussistenza sarebbe indiscutibile, se davvero venisse convocato il Sacro Collegio per discuterne).

Naturalmente, se la decisione fosse in favore di Bergoglio, nessun problema; in caso contrario, ben si potrebbe applicare UDG 37 e, se fossero presenti (o assenti giustificati), tutti gli elettori, aprire subito il Conclave. Sarebbe opportuno che il Card. Decano, nelle lettere di convocazione, informasse subito i Porporati di tale possibilità.

Indubbiamente, a vista umana sembra molto inverosimile che due terzi dei Cardinali, o anche solo degli elettori, votino contro la legittimità del detentore della Sede Apostolica (perfino se fosse appena morto, o avesse rinunziato); ma la storia della Chiesa è ricca di sorprese…

Guido Ferro Canale

 

NOTE

[1]    L’attuale legge regolatrice del Conclave, emanata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996; cfr. l’edizione con testo a fronte e commento di J. Miñambres in J.I. Arrieta – J. Canosa – J. Miñambres, Legislazione sull’organizzazione centrale della Chiesa, Giuffré 1997, pagg. 1-101.

[2]    In pratica, se le due schede esprimono un voto univoco (riportano lo stesso nome, oppure una è votata e l’altra bianca), si contano come un voto solo; diversamente, si annullano entrambe, ma la votazione nel suo complesso rimane salva.

[3]    “Quodsi electio aliter celebrata fuerit, quam haec Constitutio statuit, aut non servatis condicionibus pariter hic praescriptis, electio eo ipso est nulla et invalida absque ulla declaratione, ideoque electo nullum ius tribuit.”.

[4]    “Stabilisco, inoltre, che alla fine dell’elezione il Cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa stenda una relazione, da approvarsi anche dai tre Cardinali Assistenti, nella quale dichiari l’esito delle votazioni di ciascuna sessione. Questa relazione sarà consegnata al Papa e poi sarà conservata nell’apposito archivio, chiusa in una busta sigillata, che non potrà essere aperta da nessuno, se il Sommo Pontefice non l’avrà permesso esplicitamente.”. Perché mai Giovanni Paolo II avrebbe previsto questa forma di documentazione, se non proprio per l’eventualità di contestazioni da dirimere?

[5]    “Praecipimus praeterea ut, ex quo Apostolica Sedes legitime vacat, antequam Conclave incohetur, mora sit interponenda quindecim solidorum dierum, facta tamen Cardinalium Collegio potestate Conclavis initium anticipandi, si constat omnes Cardinales electores adesse, vel etiam proferendi per aliquot dies, si graves obstant causae; tamen viginti diebus ad summum elapsis ab initio Sedis vacantis, cuncti Cardinales electores praesentes ad electionis negotium procedant.”.

[6]    “Omnes Cardinales electores, a Decano aut ab alio Cardinale illius nomine agente, ad novi Pontificis electionem advocati, obligatione tenentur, ex virtute sanctae oboedientiae, convocationis nuntio obtemperandi et ad locum sibi designatum pro electione se conferendi, nisi infirmitate vel alio gravi impedimento, a Cardinalium Collegio agnoscendo, detinentur”.

[7]    Cfr. J. Miñambres, op. cit., pag. 49: ai sensi di UDG 39, “L’obbligo di ammettere gli elettori rimane anche se avessero manifestato in precedenza la volontà di non partecipare all’elezione, a meno che non si siano rifiutati di entrare o di rimanere per adempiere il loro ufficio (vedi n. 40 UDG).”.

[8]    Ricordo, a questo proposito, anche UDG 40: “Si quis vero Cardinalis, ius suffragii habens, in Civitatem Vaticanam ingredi noluerit ut electionis negotia participet aut deinde postquam ea initium habuerunt, recusaverit permanere ut munere suo fungatur sine manifesta infirmitatis causa, iure iurando medicorum necnon a maiore parte electorum approbata, ipso minime exspectato neque in eiusdem electionis negotium iterum admisso, per ceteros ad eligendum Summum Pontificem libere procedatur.”. Sul carattere sanzionatorio di questo numero, cfr. J. Miñambres, op. cit., pag. 48.

[9]    UDG 54 attribuisce bensì un potere interpretativo analogo ai soli Cardinali elettori, però soltanto prima che inizino le operazioni elettorali. Semplicemente, non si è pensato al dubbio sopravvenuto in corso d’opera, al caso imprevisto. La soluzione preferibile mi sembra senz’altro quella che, durante il Conclave e per le questioni relative ad esso, accorda il potere di UDG 5 ai soli elettori (tanto più che non sono disciplinate ipotesi di interruzione o sospensione dei lavori); ma, a mio avviso, il n. 54 è norma eccezionale rispetto al 5 e non può estendersi per analogia a casi diversi.

[10]  Dicendo che “L’interprete della UDG, durante la vacanza della sede apostolica, è lo stesso Collegio dei cardinali, con eccezione alla norma dell’art. 154 PB che attribuisce tale funzione in generale al Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei testi legislativi”, J. Miñambres, op. cit., pag. 18, lascia intendere che si tratta di interpretazione autentica.

[11]  “Se anche fosse vero che l’ipotesi verificatasi, durante il conclave del 2013, nel momento del conteggio, ossia quella di due schede ripiegate insieme, è parzialmente corrispondente a quella considerata nel n. 69 che regola lo spoglio, non per questo si può applicare una norma dettata per un’altra fase della procedura elettorale (e con un’altra ratio); è proprio la rigidità della costituzione apostolica “Universi dominici gregis” (sottolineata dallo stesso Socci), potenziata quanto all’atto dell’elezione – cfr. il menzionato n. 5 –, ad escluderlo categoricamente.

[12]  Nello stesso senso della Boni, ma senza argomentare, si esprimono P.G. Marcuzzi – S. Ardito, La legislazione vigente, in Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie (cur.), Sede Apostolica vacante. Eventi e celebrazioni, aprile 2005, Città del Vaticano 2007, pag. 274.

[13]  La cui interpunzione è più precisa: “Si quae autem dubia exoriantur de sensu praescriptionum, quae hac Nostra Constitutione continentur, aut circa rationem qua ad usum deduci eae debeant, edicimus ac decernimus penes Cardinalium Collegium esse potestatem de his ferendi sententiam; propterea, eidem Cardinalium Collegio facultatem tribuimus interpretandi locos dubios vel in controversiam vocatos, statuentes, ut, si de eiusmodi vel similibus quaestionibus deliberatr oporteat, excepto ipso electionis actu, satis sit maiorem congregatorum Cardinalium partem in eandem sententiam convenire.”. L’inciso “excepto…”, se volesse escludere il sindacato sull’elezione, si troverebbe dopo “quaestionibus”; la sua collocazione impone di riferirlo al quorum.

[14]  J. Miñambres, op. cit., pag. 18.

[15]  “Si quae autem dubia exoriantur de sensu praescriptionum, quae hac Nostra Constitutione continentur, aut circa rationem qua ad usum deduci eae debeant, edicimus ac decernimus penes Cardinalium Collegium esse potestatem de his ferendi sententiam; propterea, eidem Cardinalium Collegio facultatem tribuimus interpretandi locos dubios vel in controversiam vocatos, statuentes, ut, si de eiusmodi vel similibus quaestionibus deliberati oporteat, excepto ipso electionis actu, satis sit maiorem congregatorum Cardinalium partem in eandem sententiam convenire.”: n. 4.

[16]  Masseo da Casola, Compendio di Diritto Canonico, Genova 1967, pag. 190.

[17]  Questo mi par di desumere dal passo in cui dice “Se al contrario si fosse impropriamente applicato il n. 69, violando l’obbligo di attenersi a quanto impone rigorosamente il n. 68, si sarebbe semmai aperto un problema di validità dell’elezione.”.

[18]  Si aggiunga che il n. 69, facendo salvo un voto con eccesso di schede, deroga alla norma generale di cui al can. 173 §2. Siamo proprio sicuri che la ratio di questa deroga valga solo per la fase dello spoglio?

[19]  Nel commento a UDG 69, citato anche dalla Boni, J. Miñambres, op. cit., pag. 80, scrive: “La nullità di uno o più voti non rende invalida l’elezione, giacché al momento dello spoglio non è più in gioco la validità della votazione ma soltanto quella dei singoli voti”. Mi sembra la miglior prova dell’identità di ratio: anche in questo caso non può ritenersi in gioco la validità della votazione intera. Tanto più che, in caso di dubbio, le leggi irritanti non urgono (cfr. can. 14).

[20]  Vi è anche un senso più lato, quello di UDG 64, che usa scrutinium per indicare l’intera procedura, dalla preparazione delle schede fino alla loro combustione.

[21]  A conferma, cfr. il testo latino del n. 69, che distingue appunto scrutinium e suffragium: “Quodsi in suffragiorum diribitione Scrutatores inveniant duas schedulas ita complicatas, ut ab uno tantum datas esse appareat, siquidem unus et idem in utraque electus fuerit, schedulae praedictae pro uno suffragio habeantur; si vero diversa ibi inscripta sint nomina, neutrum suffragium est validum; scrutinium tamen ipsum neutro in casu vitiatur.”.

[22]  Appunto questo si intende con l’espressione suffragium ferre, che compare nel n. 68 proproo riguardo all’esigenza di ripetere la votazione.

[23]  J. Miñambres, op. cit., pag. 75; cfr. anche il commento a UDG 62, pagg. 72-3.

[24]  Questa norma, probabile fonte del pasticcio in esame, è un residuato della disciplina anteriore a Pio XII, quando ogni singolo voto doveva essere riconoscibile, per evitare che un Papa venisse eletto grazie al proprio, che per legge era nullo: la compilazione della scheda era disciplinata da regole minuziose, che rendevano assai facile sbagliare. (Devo questo dettaglio alla cortesia e alla competenza del Sig. Matteo Borreani).

[25]  Cfr. anche, negli stessi termini, Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, Ordo rituum Conclavis, nn. 55-6, da cui si capisce ancor meglio che il rogo immediato è regola generale.

[26]  E’ il motivo per cui le fumate sono soltanto due, una al mattino e una al pomeriggio.

[27]  J. Miñambres, op. cit., pag. 87, si limita a richiamare UDG 78, che fa salva l’elezione simoniaca.

[28]  E troppo larga riguardo al segreto: supponiamo che qualcuno riesca, nonostante la schermatura, a introdurre microspie o telecamere in Sistina; se gli elettori non se ne avvedessero e non venisse turbata la loro libertà, l’elezione dovrebbe considerarsi nulla?

[29]  La occasio legis non è molto significativa, trattandosi solo de “la consapevolezza della mutata situazione nella quale sta vivendo oggi la Chiesa” (UDG, preambolo); ma subito il testo aggiunge: “Se, invero, è dottrina di fede che la potestà del Sommo Pontefice deriva direttamente da Cristo, di Cui egli è Vicario in terra, è pure fuori dubbio che tale supremo potere nella Chiesa gli viene attribuito « con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale ». Gravissimo è, pertanto, l’ufficio che incombe sull’organismo a tale elezione deputato. Ben precise e chiare dovranno essere, di conseguenza, le norme che ne regolano l’azione, affinché l’elezione stessa avvenga nel modo più degno e consono all’ufficio di estrema responsabilità che l’eletto per divina investitura dovrà col suo assenso assumere.” (“Si quidem doctrina est fidei Summi Pontificis potestatem ab ipso Christo oriri, cuius ipse in terris est Vicarius, illud etiam pro certo est habendum talem supremam in Ecclesia potestatem eidem tribui legitima electione ab ipso acceptata una cum episcopali consecratione seu ordinatione. Gravissimum ideo est officium coetus huic electioni deputati. Quapropter admodum certae perspicuaeque esse debent normae quae processum temperant, ut electio ipsa quam dignissime explicetur et ea consentanea sit officio summae auctoritatis, quam electus per divinam immissionem suo assensu suscipere debet.”). Questo richiamo alla necessità che l’elezione sia legittima, nel senso latino dell’aggettivo (conforme alla legge, regolata dalla legge), e insieme al fatto che la disciplina non è fine a sé stessa, ma congrua all’importanza dell’ufficio e alla cautela necessaria, a mio parere conforta, anzi impone – prevalendo, per le ragioni anzidette, anche sull’argomento storico – la lettura del n. 76 che prospetto nel testo. Tanto più che, poco oltre, si precisa altresì: “Particolare attenzione ho voluto prestare alla antichissima istituzione del Conclave […] Dopo matura riflessione sono giunto, quindi, nella determinazione di stabilire che l’unica forma in cui gli elettori possono manifestare il loro voto per l’elezione del Romano Pontefice sia quella dello scrutinio segreto, attuato secondo le norme più sotto indicate [quod secundum normas infra descriptas explicatur]. Tale forma, infatti, offre le maggiori garanzie di chiarezza, linearità, semplicità, trasparenza e, soprattutto, di effettiva e costruttiva partecipazione di tutti e singoli i Padri Cardinali, chiamati a costituire l’assemblea elettiva del Successore di Pietro.”.

[30]  Questo potrebbe, a mio avviso, sostenersi anche se gli elettori avessero fatto uso della potestà interpretativa ex UDG 5, per decidere di applicare il n. 68 o che non si dovesse applicare il 63: a parte il dubbio sulla titolarità del potere stesso (elettori o Collegio tutto?), non sarebbe comunque ammissibile un’interpretazione che, di fatto, modifica il testo normativo (cfr. UDG 1, 2 e 4).

[31]  “Anche se lo scrutatore avesse aperto quelle due schede verosimilmente per confermare l’involontario aggancio di una scheda bianca ad una votata, questo certo non costituirebbe un’irregolarità irritante né trasformerebbe la fase del conteggio in quella dello spoglio, ognuna disciplinata con proprie norme rette da specifiche ‘rationes’.”. Per la verità, se l’apertura fosse avvenuta a conteggio finito, equivarrebbe all’inizio dello spoglio, dato che sempre al primo scrutatore, ai sensi di UDG 69, spetta aprire le schede e che non è obbligato a cominciar da questa o da quella. Ma, come ho detto, credo che le cose siano andate diversamente.

[32]  Sulla stessa linea si presenta S. Alfonso Maria de’ Liguori, in Verità della fede, Parte III, Cap. VIII, §9: “Niente ancora importa che ne’ secoli passati alcun pontefice sia stato illegittimamente eletto, o fraudolentemente siasi intruso nel pontificato; basta che poi sia stato accettato da tutta la chiesa come papa, attesoché per tale accettazione già si è renduto legittimo e vero pontefice. Ma se per qualche tempo non fosse stato veramente accettato universalmente dalla chiesa, in tal caso per quel tempo sarebbe vacata la sede pontificia, come vaca nella morte de’ pontefici. Così neppure importa che in caso di scisma siasi stato molto tempo nel dubbio chi fosse il vero pontefice; perché allora uno sarebbe stato il vero, benché non abbastanza conosciuto; e se niuno degli antipapi fosse stato vero, allora il pontificato sarebbe finalmente vacato.” (Per la segnalazione del passo, ringrazio la cortesia del Dott. Filippo Giorgianni). Per la verità, qui sembrerebbe quasi che sia l’accettazione generale a render Papa il Papa; ma, considerato che S. Alfonso tocca questo punto piuttosto rapidamente, perchè vuol passare a discutere del Primato, credo che lo si possa intendere nel senso della Boni.

[33]  Siccome, allora, il giudizio su tutte le ipotesi di Papa dubbio, inclusi i possibili vizi dell’elezione, spettava ad un Concilio – qui sì, canonisti e teologi sono unanimi – il tema è finito coinvolto nelle diatribe gallicane circa la superiorità del Concilio sul Papa; acclarato che oggi, a termini di UDG 5, della validità dell’elezione deve conoscere il Sacro Collegio, mi pare che il problema non si ponga più in tali termini.

[34]  Il testo, pur lungo, merita di essere riportato per intero: “Sed quidquid demum de possibilitate vel impossibilitate praefatae hypothesis adhuc sentias, id saltem veluti penitus inconcussum et extra omnem dubitationem positum firmiter tenendum est: adhaesionem universalis Ecclesiae fore semper ex se sola infallibile signum legitimitatis personae Pontificis. ideoque et exsistentiae omnium conditionum quae ad legitimitatem ipsam sunt requisitae. Neque huius rei a longe repetenda ratio. Immediate enim sumitur ex infallibili Christi promissione atque providentia : Portae inferi non praevalebunt adversus eam, et iterum: Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus. Idem namque foret, Ecclesiam adhaerere pontifici falso, ac si adhaereret falsae fidei regulae, cum Papa sit regula vivens quam Ecclesia in credendo sequi debet et semper de facto sequitur, uti ex dicendis in posterimi luculentius adliuc apparebit. Equidem permittere potest Deus ut aliquando vacatio sedis diutius protrahatur. Permittere quoque potest ut de legitimitate unius vel alterius electi exoriatur dubium. Permittere autem non potest ut Ecclesia tota eum admittat pontificem qui verus et legitimus non sit. Ex quo igitur receptus est, et Ecclesiae coniunctus ut corpori caput, non est amplius movenda quaestio de possibili vitio electionis vel defectu cuiuscumque conditionis ad legitimitatem necessariae, quia praedicta Ecclesiae adhaesio omne vitium electionis radicitus sanat, et exsistentiam omnium requisitarum conditionum in- fallibiliter ostendit. Et hoc sit obiter dictum contra eos qui certa tentamina schismatica tempore Alexandri VI facta hoc nomine cohonestare volunt, quod ab eo fiebant qui de liae- reticitate Alexandri certissimas probationes in Concilio generali revelandas habere se dictitabat. At vero, ut aliae nunc rationes omittantur quibus opinio ista facile posset confutari, haec una sulficit: Constat nempe quod tempore quo Savonarola suas ad principes litteras scribebat, tota christianitas Alexandro adhaerebat et obediebat tanquam vero pontifici. Ergo eo ipso, Alexander non erat pontifex falsus, sed legitimus. Ergo non erat haereticus, ea saltem haereticitate quae tollendo rationem membri Ecclesiae, pontificia potestate vel qualibet alia ordinaria iurisdictione ex natura rei consequenter privat.”. (L. Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, vol. I, Prato 1909, pagg. 620-1).

[35]  “…nec per susceptionem muneris, consecrationis, aut subsecutam regiminis, et administrationis possessionem, seu quasi, vel ipsius Romani Pontificis inthronizationem, aut adorationem, seu ei praestitam ab omnibus obedientiam, et cuiusvis temporis in praemissis cursum, convaluisse dici, aut convalescere possit, nec pro legitima in aliqua sui parte habeatur” (§ 6 della bolla).

[36]  Cfr., ad es., il testo della Aeterni Patris di Gregorio XV, che desumo dal sito www.conclave.it: “quinimmo is non Apostolicus, sed Apostaticus sit, et habeatur [!], et tam ipse, quam eligentes, ejusque fautores, et complices sententiam excomunicationis, et anathema, aliasque censuras, et poenas invasoribus Sedis Apostolicae a Sacris Canonibus, et Constitutionibus Apostolicis impositas, pariter ipso facto incurrat, a qua sicut ab alia quacumque in hac Constitutione imposita, et irrogata, seu infra imponenda, et irroganda poena excomunicationis, tam ipsi, quam quilibet alius, sive S.R.E. Cardinalis, sive alia persona cujuscumque gradus, conditionis, dignitatis, et praeminentiae, a nullo neque etiam a Majori Poenitentiario, cujuscumque facultatis vigore, praeterquam a Romano Pontifice, nisi in mortis articolo, absolvi possit, et tam ipse, ejusque complices, et fautores, quam alii quicumque etiam S.R.E. Cardinales hujus Constitutionis in aliquo transgressores, aliis gravissimis poenis, teneantur, futuri Pontificis canonice intrantis arbitrio, irrogandis.”. E’ richiamato come fonte dalla nota 52 della Vacante Sede Apostolica di S. Pio X, che a sua volta costituisce il precedente – mediato – di UDG 76.

[37]  Cfr. P. Gasparri, Codicis Iuris Canonici Fontes, vol. I, n. 94.

[38]  La stessa indagine di Socci sulla legittimità dell’elezione nasce, come egli stesso racconta, dalle sue perplessità crescenti intorno al corso del Pontificato e, in particolare, dall’ormai celebre relazione di Kasper al Concistoro (il momento che gli ha aperto gli occhi – espressione sua).

[39]  Quindi, nella nostra ipotesi, non si starebbe seguendo un falso Pastore, perché l’errore verterebbe soltanto sul titolo che lo rende davvero tale: non l’elezione legittima, che manca, ma la supplenza.

[40]  Con riflessi sul Papa eretico o scismatico, che poteva essere deposto o deponendo: “Nous pensons que, bien qu’ils ne soient plus membres de l’Église, les hérétiques occultes continuent d’exercer validement les pouvoirs juridictionnels que l’Église leur avait confiés et qu’elle ne leur a pas encore retirés. La juridiction, qui de soi suppose la foi, peut résider par accident en ceux qui ne l’ont plus. Pour en venir au cas extrême d’un pape hérétique ou schismatique, envisagé expressément par les anciens théologiens, nous dirions qu’il garde ses pouvoirs, – lesquels survivent à sa catastrophe intérieure, – en vertu de l’axiome assurant, non pas qu’il est ipso facto déposé, mais qu’il doit être déposé.”. Ch. Journet, L’Église du Verbe Incarné, vol. II, Parigi 2000, pag. 1352, nt. 553)

[41]          Infatti, nella Theologia moralis, egli confuta la tesi di coloro che negavano che la simonia invalidasse l’elezione del Papa – come espressamente previsto allora e fino alla riforma di S. Pio X –  e argomentavano che la Chiesa sarebbe rimasta senza un Capo. Non è così: “Nec obstat textus in cap. Licet supra allatus [obbligo di riconoscere per Papa l’eletto dai due terzi dei Cardinali], nec ratio adducta quod Ecclesia remaneret sine Capite; nam ut recte dicunt [Lessius] et Viva […] cum sententia communi: ex vi l. Barbarius, posito communi errore cum titulo colorato, si occulta esset simonia, eo casu Ecclesia suppleret jurisdictionem; unde omnes actus hujusmodi Pontificis bene erunt validi, et ejus definitiones adhuc infallibilem habebunt auctoritatem […]. Secus si simonia esset publica.”. (Theologia moralis, Lib. III, Tract. I, Cap. II, Dub. III, Art. III, ed. Parigi 1837, pag. 313).

[42]  A dire il vero, con il nuovo Codice non è più necessario che l’errore si verifichi di fatto, basta che si possa presumere; ma qui la sussistenza effettiva è notoria. Non credo, invece, che rileverebbe l’altro caso previsto dal can. 144, il dubbio positivo e probabile (buone ragioni sia pro sia contro la valida elezione di Bergoglio), perché, come si è visto, nel caso dell’elezione papale vige la regola opposta Papa dubius, Papa nullus.

[43]  Non si tratta di un infortunio redazionale: secondo la relazione allo schema delle Norme generali presentato nel 1977 (disponibile sulla pagina web del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi) si legge che i canoni sulla potestà sono stati rivisti tenendo sempre presente la necessità di distinguere le tre funzioni. Inoltre, è probabile che, per gli atti legislativi o giudiziari sia parso sufficiente il can. 1335, che consente di porli validamente… ma solo a chi sia colpito da scomunica o altra censura latae sententiae non dichiarata. Non è l’ipotesi che consideriamo e non mi sembra possibile un’estensione per analogia, poiché i canoni sulla supplenza sono già eccezionali e, comunque, la regola è il principio Papa dubius, Papa nullus.

[44]  Per la verità, sembra che il problema non abbia attirato molta attenzione in dottrina: V. de Paolis, Il libro primo…, cit., pag. 450 nt. 11, non prende posizione; M. Calvi, Commento a un canone. La supplenza della potestà (can. 144), in Quaderni di diritto ecclesiale 10 (1997), pag. 436, ritiene che la iurisdictio del CIC 17 equivalga in pratica all’attuale potestas executiva. Per contro, F.J. Urrutia, Les normes générales, Parigi 1994, pag. 228, n. 788, pensa ad una vera restrizione e H. Mercury, La suppléance à la source d’una ecclesiologie de l’exception, Strasburgo 2014 (tesi di dottorato in Teologia e Scienze Religiose, relatore Prof. M. Deneken), pag. 32, la spiega in questi termini: «c’est l’exclure des deux fonctions du pouvoir, législative et judiciaire, qui établissent proprement la structure ecclésiale dans sa stabilité et sa pérennité.».

 

articolo pubblicato sul sito Lo Straniero