Altri quattro anni per Obama

Washington, 7. Altri quattro anni a guida Obama: gli Stati Uniti hanno scelto di dare fiducia al presidente in carica, garantendogli un secondo mandato. E la vittoria sul candidato repubblicano, Mitt Romney, alla fine si è rivelata più ampia  del previsto. Secondo le ultime proiezioni, Obama avrebbe infatti conquistato 303 grandi elettori — ben  oltre i 270 necessari  per accedere alla Casa Bianca — vincendo praticamente  in tutti gli swing States, dall’Ohio, al Nevada, fino alla Virginia.

E se dovesse aggiudicarsi anche la Florida, dove è in lieve vantaggio, Obama potrebbe raggiungere i 332 grandi elettori.

Il successo del candidato democratico non è tuttavia riuscito a fare da traino al suo partito che, pur mantenendo la maggioranza  al Senato, deve ancora una volta cedere ai repubblicani  il controllo della Camera dei rappresentanti. Da questo martedì elettorale emerge quindi un Paese diviso, come è dimostrato anche dal voto popolare: 50 per cento Obama, 49 per cento Romney.

Non sarà facile quindi per il  quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti affrontare le molteplici sfide che lo attendono, sia in campo politico che economico. Perché, oltre alla retorica dei discorsi pronunciati sull’onda del successo,  le questioni  da affrontare nei prossimi quattro anni non sembrano davvero agevoli da superare. A cominciare dall’enorme debito pubblico — che l’amministrazione deve riuscire ad arginare senza però  avviare una dinamica di recessione  —   fino a delicati rapporti, non solo economici, con la Cina che, vale la pena ricordare, detiene un’enorme quantità di titoli di Stato a stelle e strisce.

Il presidente ha promesso una gestione bipartisan, coinvolgendo nelle scelte principali Romney e repubblicani. Ma se Obama vorrà davvero essere il presidente di tutti gli statunitensi, dovrà finalmente recepire le istanze che con forza salgono dalle comunità religiose — Chiesa cattolica in testa — in favore della famiglia naturale, della vita e, infine, della stessa libertà religiosa.

Fonte: L’Osservatore Romano