Antipolitica: sotto accusa non i movimenti ma il sistema Europa dominato dalla finanza

Mentre i “grandi” della terra individuano strategie per far fronte alla crisi economica globale, dopo i recenti risultati elettorali in Europa – titolano i giornali – spira il vento dell’antipolitica: dai pirati in Germania, ai grillini in Italia, ai movimenti della sinistra radicale in Grecia, alla popolarità dell’ultra destra di Marine Le Pen in Francia.

Cosa si cela dietro i successi elettorali di questi nuovi soggetti? Roberta Gisotti lo ha chiesto al prof. Loris Caruso, sociologo, esperto di movimenti sociali e comunicazione politica:

R. – La prima cosa che direi è che è sbagliato mettere insieme tutte queste realtà, perché sono molto diverse tra di loro: la sinistra greca non c’entra niente con Grillo, non c’entra niente con Le Pen, così come Grillo non c’entra niente con Le Pen… Insomma mettere sotto il ‘calderone antipolitica’ una serie di realtà diverse è sbagliato.

La seconda obiezione è che io solo in pochi casi userei il termine ‘antipolitica’, perché Le Pen è un soggetto politico a tutti gli effetti, la sinistra greca è un soggetto politico, Grillo è in gran parte un soggetto politico: è fare politica con altri mezzi che non significa non fare politica! Quindi distinguerei.

Prendendo Grillo direi che c’è una forte connotazione antipartitica, più che antipolitica, e sottolineerei il fatto che questa grande stampa italiana ed europea che adesso grida all’allarme per l’emergere di movimenti cosiddetti ‘antipolitici’, in realtà è uno dei primi soggetti che favorisce l’antipolitica, perché lo scagliarsi quotidianamente contro il partito politico come il principale strumento del declino e il principale responsabile della situazione in cui ci troviamo è un’operazione che la grande stampa fa quotidianamente.

Quindi la grande stampa fa entrambe le cose perché dice che i partiti sono tutti uguali e fondamentalmente sono quasi tutti corrotti e dediti ad accrescere interessi personali o di piccole fazioni; dopodiché, quando emergono i movimenti di protesta, dice: ecco, però, non era questo l’esito che volevamo, perché invece l’esito che ci piace, è che ci siano governi tecnici e che la democrazia sia ridotta.

 

D. – Questi nuovi soggetti si coagulano, in genere, intorno ad un leader carismatico: è la prova del nove che le ideologie sono finite?

R. – No, io non direi. Anche qua perché si coagulano attorno a leader carismatici? A parte il fatto che spesso succede che sotto al leader carismatico ci sia un processo di vera partecipazione: lo stesso movimento di Grillo, al di sotto del leader, ha anche processi di partecipazione dal basso.

Non parliamo della sinistra greca – che è uno degli esempi citati – in cui il leaderismo non c’è. Ma da quanti anni, e perfino decenni, chi ha il potere di decidere dice che la democrazia deve diventare più leaderistica? Che non conta tanto l’insediamento sociale dei partiti politici o la loro capacità di aggregare i bisogni sociali, le domande sociali, ma conta il fatto che la democrazia diventi più decisionista?

Questo, per esempio, in Italia lo fanno da vent’anni tanto il centrodestra quanto l’attuale Partito Democratico e prima i democratici di sinistra. Per esempio, Veltroni è stato un politico molto leaderistico: il partito democratico nasce come partito leaderistico. Gridare adesso al fatto che vengono fuori dei leader, quando una serie di processi politici, sociali e comunicativi ha favorito il leaderismo, mi sembra un po’ il pianto del coccodrillo… Sicuramente il leaderismo è una scorciatoia per ridurre in maniera simulata la distanza tra popolo e potere.

 Ma chi ha prodotto questa distanza? Non l’hanno prodotta né Grillo, né Le Pen, né la sinistra greca: l’hanno prodotta le persone che hanno detenuto in questi ultimi decenni il potere economico, il potere informativo, il potere politico.

 

D. – Prof. Caruso, lei non vede quindi rischi di anarchia o di incapacità di organizzare il consenso in progettualità politica e governabilità?

R. – Se si lascia che la democrazia sviluppi davvero i suoi processi, no. Non si può adesso gridare l’allarme che le persone vadano a votare ed esprimano un consenso forte antisistema. Probabilmente il problema e il rischio di anarchia e di caos più che in chi in va a votare è in chi organizza questo sistema.

 A livello europeo, ad esempio, il responsabile dell’anarchia e del caos è chi ha organizzato l’Unione Europea nel modo in cui è stata organizzata: con questo dominio assoluto della finanza e delle grandi imprese multinazionali.

E’ ovvio che in questa situazione, quando un Paese viene trattato dall’Europa e dal Fondo monetario internazionale come viene trattata la Grecia, quando si va a votare, le forze radicali – a sinistra e a destra – crescono: questo è assolutamente scontato, ma la responsabilità di tale crescita è di chi ha gestito le cose in questo modo.

Non si può colpevolizzare il ‘popolo’ di votare forze che si oppongono a chi ha messo in ginocchio un Paese, come lo è in questo momento. Io non direi che, per esempio, la grande crescita della sinistra greca sia un pericolo di anarchia e di caos: c’è un’idea alternativa di Europa, che viene fuori a sinistra in un certo modo e a destra in modo radicalmente diverso e questo credo sì pericoloso nel caso greco e nel caso francese, però il rischio di anarchia non dipende dal fatto che si esercita la democrazia; dipende, invece, da quando non la si è esercitata e la costruzione dell’Europa è stata scarsamente democratica. Quindi la responsabilità è lì!

 

D. – Quale ruolo gioca la Rete in questa affermazione – possiamo dire – di rinnovata sovranità popolare?

R. – Penso sinceramente secondario: questo ruolo della Rete molto sottolineato, non penso che sia così importante, anche se sicuramente è uno strumento, ma è un effetto secondario, è un mezzo e non è la causa della forza di questi fenomeni.

Se prendiamo il caso di Grillo, io credo che il suo carisma derivi molto di più dal fatto che per 25 anni sia stato un personaggio televisivo, che non dal fatto che abbia un blog: il blog ce l’hanno in tanti, ma non è sufficiente avere solo un blog… La Rete, secondo me, è uno strumento e funziona soltanto quando dietro a movimenti e forze politiche ci sono dei veri processi politici, dei veri processi democratici e la capacità di cogliere – davvero – quello che si sta muovendo nella società.

Il fatto che la critica di un movimento come quello di Grillo si concentri sui partiti deriva proprio dallo spostamento mediatico che viene fatto dagli effetti della crisi e dal piano economico e sociale al piano dei partiti. Quindi io penso che lì ci sia una deviazione e credo che questa sia una responsabilità anche di Grillo: la crisi non viene affrontata per quello che è, ma viene addossata completamente sulle spalle dei partiti.

 

D. – Quindi dobbiamo guardare al nuovo non dico con soddisfazione, ma come ad un qualcosa che porterà a nuovi frutti?

R. – Siamo davanti a un bivio, nel senso che le situazioni come quella di adesso aprono due possibilità: da una parte aprono la possibilità di una chiusura autoritaria dei processi che ci sono, ma io penso che la chiusura autoritaria moderna, di oggi, sia nella tecnocrazia ancor di più che nel populismo; dall’altra parte c’è invece la possibilità che grandi movimenti democratici, una grande voglia di partecipazione che c’è e soprattutto nuove lotte per lo stato sociale riaprano la democrazia ad un modello più solido, più partecipato e più capace di garantire i diritti delle fasce sociali più deboli.

Quindi i due bivi ci sono e sono possibili entrambe le cose, dipende quale delle due avrà più forza e soprattutto se emergeranno veri movimenti democratici in difesa dei diritti del lavoro, e bisognerà vedere se li si lascia passare, perché io ho l’impressione che la grande stampa e i poteri strutturati supportino di più le destre radicali e xenofobe che non per esempio i movimenti dei lavoratori.

Fonte: Radio Vaticana