Bagnasco: «Non si mandino in malora tutti i sacrifici fatti dai cittadini italiani»

«Non si può mandare alla malora i sacrifici di un anno». Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, è preoccupato e certo non lo nasconde. L’arcivescovo di Genova è appena tornato da un battesimo. Nella lettera di Natale ai bambini della sua diocesi ha scritto: «La vita vera si realizza quando si ama molto». Più che mai di questi tempi, si tratta anche di «amare il nostro Paese», ha ripetuto più volte.

 

Eminenza, tra crisi economica e politica il Paese vive ore drammatiche. Qual è in questo momento la preoccupazione più grande della Chiesa italiana?

«La preoccupazione più grande è la tenuta del nostro Paese e quindi la coesione sociale. Fino a quando ce la farà l’Italia? Un anno fa il problema era di metterla in sicurezza dentro una crisi di sistema che era stata sottovalutata per troppo tempo e di fronte a una classe politica incapace di riforme effettive, spesso solo annunciate. Nel frattempo il governo tecnico ha messo al riparo da capitolazioni umilianti e altamente rischiose. Non si può mandare in malora i sacrifici di un anno, che sono ricaduti spesso sulle fasce più fragili. Ciò che lascia sbigottiti è l’irresponsabilità di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando. E si conferma la radice di una crisi che non è solo economica e sociale, ma culturale e morale. Per troppo tempo i partiti sono stati incapaci di pervenire a decisioni difficili e a parlare il linguaggio della franchezza e non quello della facile demagogia».

 

Come valuta la scelta del premier Mario Monti di lasciare dopo l’approvazione della legge di Stabilità?

 «La chiusura anticipata della legislatura è sempre un segnale negativo per la politica e per un Paese. Nello specifico, piuttosto che galleggiare è meglio un atto coraggioso. Era una decisione, forse, inevitabile. Ma i grandi sacrifici che sono stati richiesti hanno il diritto di vedere frutti concreti, oltre ad avere permesso di non cadere nel baratro del fallimento del sistema-Paese. Inoltre è saggio tenere in seria considerazione l’autorevolezza che l’Italia ha acquisito in campo europeo e internazionale».

 

«Ora sono più libero», ha detto Monti. Crede che possa giocare ancora un ruolo di servizio al Paese?

«Il governo Monti è stato fin qui sostenuto da forze trasversali a motivo della gravità eccezionale dell’ora. Il momento presente richiede di continuare a concentrarsi sui problemi prioritari dell’economia, sul modo di affrontare la drammatica questione del lavoro e sulla lotta alla corruzione. Da questo punto di vista, sarebbe un errore in futuro non avvalersi di chi ha contribuito in modo rigoroso e competente alla credibilità del nostro Paese in campo europeo e internazionale evitando di scivolare verso situazioni irreparabili».

 

Ma, per ridare sviluppo al Paese, quali sono le prospettive da privilegiare?

«A mio parere, c’è una condizione di partenza di cui tener conto per non vivere fuori dalla storia. Mi riferisco all’Europa. Pur condividendo l’impressione che sia stata data per scontata la sua identità, tralasciando di valorizzarne le sue coordinate culturali e spirituali, resta vero che non è pensabile di tirarsi fuori dall’area di riferimento economica e finanziaria del nostro Paese, pena un isolamento autolesionistico. Occorre mettere in conto di interagire con il Continente che il nostro Paese ha contribuito a consolidare».

 

E quindi?

«Fatta questa doverosa premessa geopolitica, penso che giovani e famiglia siano due prospettive da assecondare con maggiore convinzione. Sono profondamente persuaso che i giovani siano in grado di dare una spinta decisiva al cambio di passo richiesto in questa fase. La famiglia poi è decisiva come sempre. Nella difficile congiuntura l’unico ammortizzatore umano e sociale garantito pressoché a tutti si è rivelata la famiglia. E così ha trovato conferma il rilievo strategico di un’esperienza che non sopporta riduzioni o travisamenti e che in una società liquida e sfilacciata riesce a imporsi come una garanzia di solidarietà e di responsabilità».

 

Durante il pellegrinaggio alla Madonna della Guardia, a fine agosto, lei disse: «È necessario stringere i ranghi dell’amore al Paese». E ha insistito più volte sulla necessità di «rinnovare i partiti, tutti i partiti». Nel frattempo ci sono state le primarie del centrosinistra con la vittoria di Bersani e Berlusconi ha deciso di ricandidarsi. A che punto siamo, quattro mesi dopo?

«Il vento gelido dell’antipolitica, comunque si esprima, non va sottovalutato. Non si tratta di un atteggiamento momentaneo e solo umorale che si supera in virtù di formule ad effetto, grazie a cosmesi solo esterne. La richiesta corale di riforma della politica, pur essendo un processo complesso, richiede inevitabilmente anche la riforma dei partiti e del personale politico. Ma anche di riformare la macchinosità dello Stato. Partecipare alla vita politica del Paese esige una dignità reale e la capacità di decidere con lungimiranza quale è il vero bene di tutti, a cominciare dai più deboli. Non si tratta di trascurare delle categorie ma di garantire e promuovere le diverse articolazioni della società in un circolo virtuoso per cui tutti possano crescere. Naturalmente partecipare significa anche poter scegliere i propri rappresentanti».

 

Quanto possono sentirsi rappresentati, i cattolici, in questo quadro? C’è un vuoto di rappresentanza dei moderati?

«Il fermento nelle file del laicato cattolico per un impegno a favore di una buona politica ha registrato in questi ultimi mesi una significativa accelerazione. D’altra parte pensare alla transizione del nostro Paese a prescindere dalle sue radici cristiane appare un’operazione antistorica, puntualmente contraddetta dall’esperienza di tanti che sperimentano la prossimità dei servizi sociali della Chiesa, sparsi capillarmente ovunque. Il cristianesimo sa di essere esperienza non di regresso, ma propulsiva, una forza di moderazione e di continuo rinnovamento, capace di proporre modelli di vita in cui l’esasperazione del consumismo e del liberalismo è superata in vista di uno sviluppo più solidale ed equilibrato. Ne consegue una visione più rispettosa della dignità della persona, in tutti i suoi valori fondamentali che costituiscono il patrimonio del nostro Paese. Sono convinto che, come in una famiglia, le difficoltà possano sprigionare energie nuove così da superare prove ed errori e aprire una stagione migliore per l’Italia».

 

Gian Guido Vecchi

 

Fonte: Corriere della sera