Così si progetta il superuomo “migliorato” dalla tecnologia. E Internet come mezzo di controllo del mondo

Per gli adepti del transumanesimo la cattiva notizia è che per abolire l’uomo  e rimpiazzarlo con una sua versione tecnologicamente avanzata serve ancora  tempo; la buona notizia è che è soltanto questione di tempo. I futurizzanti  sostenitori di un’apoteosi che cambierà qualitativamente l’uomo non concordano  sulla data esatta in cui questo nuovo essere partorito dall’unione con la  macchina comparirà sulla terra, ma sono sostanzialmente d’accordo sul fatto che  avrà accesso a una conoscenza perfetta e sconfiggerà la morte.

 

L’uomo e la  tecnologia da lui prodotta non saranno più entità separabili, ma un sinolo che  renderà superflue tanto le leggi della robotica fissate da Isaac Asimov, secondo  le quali un robot non può mettere a repentaglio la vita di un uomo, quanto le  visioni fantascientifiche à la Matrix, in cui le macchine si ribellano ai loro  creatori e li asserviscono. La specie umana esisterà ancora, ma sarà  radicalmente diversa da come la conosciamo.

È questa la sintesi del concetto di “singolarità” esposto dallo scrittore  Vernon Vinge e messo a sistema da Ray Kurzweil, geniale scienziato e  imprenditore miliardario che ha dedicato la vita all’accelerazione della corsa  tecnologica verso un futuro transumano. Nel suo libro La singolarità è  vicina, Kurzweil scrive: «Cos’è, allora, la singolarità? È un periodo  futuro durante il quale il ritmo del cambiamento tecnologico sarà così rapido, e  il suo impatto così profondo, che la vita umana sarà trasformata in modo  irreversibile.

Né utopica, né distopica, questa epoca trasformerà i concetti su  sui ci basiamo per dare un senso alle nostre vite, dai nostri modelli di  business al ciclo della vita umana, compresa la morte stessa. Capire la  singolarità altererà la nostra prospettiva sul significato del nostro passato e  le conseguenze per il nostro futuro. Comprenderla veramente nella sua interezza  cambierà la visione della vita in generale e della propria vita. Considero chi  ha veramente compreso la singolarità e che ha riflettuto sulle sue implicazioni  per la sua vita come un “singolaritiano”». Venerdì il futurizzante inventore e  ideologo è stato nominato direttore della sezione ingegneristica di Google, il  cuore pulsante del colosso californiano.

Si occuperà della supervisione dei  progetti più innovativi dell’azienda, dall’implementazione dell’apprendimento  delle macchine al miglioramento dei riconoscitori vocali. In una nota Kurzweil  ha spiegato che «Google ha progettato le automobili che si guidano sole, la  gente fa domande al proprio smartphone. È facile scrollare le nostre spalle  collettive come se queste tecnologie esistessero da sempre, ma siamo di fronte a  una notevole accelerazione tecnologica, e Google è l’apripista dello sviluppo».

Lo scorso anno il settimanale Time ha dedicato la copertina a Kurzweil e a una  delle sue tante profezie tecnologiche, quella che in qualche modo le riassume  tutte: il passaggio dall’uomo al post-uomo avverrà precisamente nel 2045.  Mettendo sulla cover un uomo con uno spinotto piantato nella nuca, il magazine  ha dimostrato però di non essersi immerso abbastanza nella mentalità evolutiva  dei singolaritani. Se proprio bisogna costruire l’uomo nuovo, che almeno sia  wireless.

 

Non è un circolo per sciroccati

L’errore più banale che  si può commettere è relegare la visione dell’autore di L’età delle macchine  spirituali e dei Nove passi per vivere bene per sempre nel ripostiglio della  fantascienza. Il singolaritanismo non è un circolo per sciroccati  dell’intelligenza artificiale e delle guerre interplanetarie, gente che ha preso  troppo sul serio la letteratura di genere. È un impianto filosofico costruito  sull’osservazione che l’innovazione tecnologica procede in modo esponenziale,  non lineare, e la giustapposizione di miglioramenti quantitativi finisce per  indurre un cambiamento qualitativo, una reminiscenza di Friedrich Engels.

Il  passaggio dall’uomo al post-uomo non è altro che il confine fra la quantità e la  qualità, che invera il definitivo cambiamento del paradigma scientifico così  come l’aveva teorizzato l’epistemologo americano Thomas Kuhn: il pensiero  singolaritiano non è riducibile a una bizzarria senza antecedenti Nel 1965 il  fondatore di Intel, Gordon Moore, ha cercato di dedurre dall’osservazione dei  circuiti integrati la legge del loro sviluppo. Ogni anno, scriveva Moore, il  numero dei componenti di un circuito raddoppia e quella che è diventata la “legge di Moore” è oggi una nozione fondamentale per tutti i produttori di  tecnologia e una leva per i futurologi di ogni specie.

 

C’è anche un’università

 

Nello stesso  anno il diciassettenne Kurzweil veniva ricevuto alla Casa Bianca da Lyndon  Johnson. Il presidente voleva congratularsi per un’esibizione televisiva in cui  il ragazzo aveva composto e riprodotto una musica scritta da un computer (a sua  volta costruito da lui).

Oggi l’idea di appaltare a una macchina un lavoro  creativo non dà nessun brivido, ma allora conteneva un aspetto rivoluzionario  meritevole di esibizione televisiva e complimenti presidenziali. Quella macchina  che a livello elementare riproduceva un’azione peculiare della creatività umana  conteneva l’idea della singolarità, un termine che in astrofisica descrive il  fenomeno che si registra nelle profondità dei buchi neri, dove le leggi della  fisica non valgono più. I singolaritiani applicano un principio analogo  all’evoluzione umana, capace di raggiungere un punto in cui le leggi che hanno  dominato l’esperienza umana svaniscono.

Non si sa esattamente se questa trasfigurazione avverrà per mezzo di  microchip impiantati nel cervello, di hard disk sui quali trasferire la  coscienza, se le stampanti 3D potranno produrre organi artificiali che non si  deteriorano o se sarà l’eugenetica a partorire un uomo che non invecchia e non  si ammala. Conoscere a priori la forma del post-uomo sarebbe in contraddizione  con il principio fondamentale dell’evoluzione tecnologica. La ricerca sui mezzi  è ciò che assorbe l’impegno del singolaritiano serio, ma il motore filosofico  che muove questo piccolo e influente mondo è che prima o poi la fase umana sarà  superata.

Al fondo c’è uno strano misto di disprezzo e fiducia nei confronti  dell’uomo: disprezzo per la sua condizione attuale, debole e limitata; fiducia  nella sua capacità di oltrepassare i limiti e perfezionare se stesso. O  piuttosto di trascendersi con le proprie forze. Non sono dogmi che richiedono il  salto della fede per essere abbracciati, dicono, ma oggettività scientifiche  ricavate dai dati.

Che un giorno si arriverà alla fase post-umana è scritto nei  calcoli, mentre il modo in cui ci si arriverà è oggetto di infinite discussioni,  tanto che la grande chiesa transumanista è divisa in parrocchie e decanati  spesso in conflitto fra loro. Ci sono gli estropianisti e gli abolizionisti, i  tecnologianisti e i postgenderisti, oltre ai futurologi comuni venuti fuori  dalla New School di New York, l’arena intellettuale di Fereidoun M. Esfandiary,  lo scienziato che per disprezzo della convenzione dei nomi si faceva chiamare  soltanto FM-2030.

Secondo lo scienziato-ideologo Eliezer Yudkowsky la peculiarità dei  singolaritiani è quella di “lavorare realmente” per favorire la singolarità. Non  basta credere in un orizzonte transumano ideale, bisogna applicarsi per  propiziare questo «processo completamente secolare e non mistico», possibilmente  in fretta.

Per trovare qualche transumanista non serve andare lontano, basta dare  un’occhiata al parlamento italiano, dove siede fra i banchi dell’Italia dei  Valori Giuseppe Vatinno, fisico e scrittore transumanista; la filosofia  tecno-populista di Gianroberto Casaleggio evoca concetti al confine con il  transumanesimo. Ma per vedere la singolarità espressa in tutta la sua  inquietante pervasività, filosofica ed economica, bisogna andare nella Silicon  Valley, dove gente come Kurzweil, i filosofi Nick Bostrom e Max More, oppure il  geriatra-profeta Aubrey de Grey, dominano la scena.

Dalle loro suggestioni  futurizzanti sono nati il Singularity Institute, la Singularity University e il  Singularity Summit, la conferenza annuale dei singolaritiani. L’istituto è il  grande laboratorio dove schiere di matematici, ingegneri, fisici,  neuropsichiatri e quant’altro lavorano all’“intelligenza artificiale  amichevole”, altro elemento ricorrente nel brodo transumano. La Singularity  University è nata nel 2008 dalla collaborazione con Google e la Nasa, finanziata  generosamente da aziende come Nokia e LinkedIn e sostenuta da una serie  lunghissima di celebrità del mercato tecnologico, su tutti Peter Thiel, il  fondatore di PayPal. Lo scopo dell’istituzione non è meno ambizioso della  filosofia che lo ispira: «Preparare l’umanità all’accelerazione dei cambiamenti  tecnologici». La singolarità è vicina, bisogna sapere almeno come vestirsi.

Ogni anno l’università seleziona 80 studenti (su circa 2.000 che fanno  domanda) che vengono formati con un misto di “future studies”, nanotecnologie,  biotecnologie e neuroscienza per diventare tedofori del pensiero singolaritiano  e top player nel mercato della Silicon Valley. Dopo essere partita come  associazione no profit, l’università futurizzante sta meditando una metamorfosi  in senso aziendale, l’unico modo per monetizzare le start-up che gli studenti  producono una volta laureati.

 

Il peso nel settore hi-tech

Michael Anissimov, portavoce  del Singularity Institute, spiega a Tempi che «gli aderenti alle idee  singolaritiane sono poche migliaia, ma l’influenza nel settore è aumentata  esponenzialmente negli ultimi dieci anni». Perché se è vero che un’adesione  completa a questo millenarismo su base computazionale è appannaggio di un numero  limitato di iniziati, l’impostazione antropologica generata in questo  laboratorio transumano è rintracciabile nei gangli fondamentali delle aziende  del settore.

Ai piani alti la singolarità è un movimento con tanto di impianto  filosofico, gerarchia e accenni liturgici, ma in basso, fra la massa di nerd e  geek che popola la Bay Area, quello che rimane è un orientamento, una mentalità  diffusa e irriflessa che anima il modo di produrre tecnologia. La filosofia  aziendale di Google promana dalla concezione evolutiva che porterà l’uomo al  superamento di se stesso. E solo una porzione dell’umanità in rapida diminuzione  può dire di non avere a che fare con l’azienda di Mountain View.

Gli ingegneri  di Google Brain lavorano per ricreare un modello computazionale che funziona  come la mente umana. Quelli di Google X hanno prodotto gli occhiali interattivi  e stanno lavorando alle automobili che si guidano da sole. La filosofia è sempre  la stessa: quello che non siamo in grado realizzare oggi sarà realizzato domani,  è solo questione di tempo.

È per un ragionamento simile che l’Alcor Life Extension Foundation  dell’Arizona aumenta costantemente il proprio giro d’affari. Il centro di  criogenesi più famoso del mondo conserva a bassissime temperature i corpi,  morti, di chi confida che prima o poi la scienza sarà in grado di scongelarli e  riportarli alla vita. I singolaritiani considerano il tempo un nemico mortale e  il più prezioso degli alleati. Kurzweil ingerisce 150 pasticche al giorno e  segue una dieta maniacale nel tentativo di allungarsi la vita il più possibile,  ma il suo è un progetto a lungo termine.

John Maynard Keynes ricordava che «nel  lungo termine siamo tutti morti», la transumana combinazione di singolarità e  criogenesi cerca di smentirlo. «Non tutti all’istituto la vedono allo stesso  modo – continua Anissimov – ma l’idea che unisce tutti è quella di creare una  superintelligenza. Qual è il modo migliore per raggiungere l’obiettivo o la  tempistica con cui la realizzeremo sono oggetto di dibattito. Al momento stiamo  lavorando molto sull’estensione della vita e abbiamo impostato un grande lavoro  teoretico sui modelli matematici per poter sviluppare l’intelligenza artificiale  a livello dei codici computazionali».

 

Quanti dollari investiti

Un neuropsichiatra che lavora in  una grande azienda tecnologica, e che per via della sua visione critica chiede  di non essere citato per nome, dice a Tempi che «il grande problema di  riprodurre l’intelligenza umana è che il cervello non è riducibile alle  descrizioni che possiamo farne. Negli ultimi decenni la nostra conoscenza della  mente è aumentata in modo impressionante, ma siamo ancora nel regno della  semplificazione, e peraltro non basterebbe nemmeno conoscere l’organo neurone  per neurone. Lo studio quantitativo non basta.

La comunità scientifica è  largamente scettica verso i postulati dei singolaritiani, ma quella tecnologica  è totalmente dominata dalla loro mentalità. Anche se uno non si ritiene  singolaritiano, in realtà lo è, perché ragiona con le stesse categorie e accetta  una concezione antropologica simile. Prendiamo ad esempio gli occhiali di  Google: chiaramente sono uno strumento che va nella direzione dell’integrazione  fra il corpo umano e lo strumento tecnologico. Forse non si arriverà mai a  impiantare un processore nel cervello, ma se un modo esiste quella è la  direzione da seguire».

Si può bollare la singolarità come culto stravagante e inquietante, dunque,  soltanto se si oblitera la forza pervasiva che questo orientamento esprime  nell’ambiente tecnologico. I sostenitori più convinti sono impermeabili alle  accuse e anzi usano verso i critici la sprezzatura di chi sa di avere in tasca  una verità ricavata da dati inoppugnabili.

I critici più arguti di questa forma  di transumanesimo rifiutano di ridicolizzarla, per non cadere nella  provocazione. In un famoso articolo apparso sulla rivista Foreign Policy il  politologo Francis Fukuyama ha colto uno dei punti fondamentali: «Nonostante il  rapido sviluppo delle biotecnologie susciti una certa inquietudine, la minaccia  intellettuale e morale che questo rappresenta non è sempre facile da  identificare».

I concreti sviluppi del transumanesimo sono spesso iperbolici e palesemente  inaccettabili, ma la mentalità da cui scaturiscono si muove al di sotto della  portata dei radar, lavora nell’ombra e logora ogni resistenza a suon di proclami  sussurrati e miliardi investiti in una valle californiana che frequentiamo ogni  volta che mettiamo gli occhi su uno schermo.

Un altro critico di questa  ingegneria umana ha scritto nel 1995 una lunghissima e spaventosa requisitoria  contro gli eccessi della tecnologia. Nello scenario distopico dipinto  dall’autore si ipotizza che nella sfida fra l’uomo e la macchina la specie umana  non soccomba di fronte alle sue creature. Ogni uomo a quel punto controllerebbe  alcune macchine a scopo personale – l’automobile, il telefono eccetera – ma “i  grandi sistemi di macchine” (internet, per esempio) sarebbero invece nelle mani  di un’élite che è in grado di gestirle e programmarle.

 

Ridotti allo stato di animali

A un certo punto l’élite si  renderebbe conto facilmente di non avere più alcun bisogno dei non iniziati, ché  le “grandi macchine” sono in grado di svolgere il lavoro necessario alla  sopravvivenza della specie: «Se l’élite sarà fatta di liberal dal cuore tenero,  potrebbe decidere di fare la parte del buon pastore della razza umana. Farà in  modo che i bisogni fisici di ciascuno siano soddisfatti, che tutti i bambini  crescano in condizioni psicologiche igieniche, che tutti abbiano un hobby che li  tenga impegnati e che chiunque non sia soddisfatto sia sottoposto a “trattamenti” per curare i propri “problemi”.

Ovviamente la vita sarebbe così  insensata che le persone dovranno essere biologicamente o psicologicamente  programmate per rimuovere il proprio bisogno di potere o per indirizzarlo verso  qualche passatempo innocuo. Questi uomini programmati potrebbero essere felici  in una società del genere, ma certamente non saranno liberi. Saranno ridotti  allo stato di animali domestici».

L’autore di questo testo oggi ha 70 anni. Come  Kurzweil, è stato un bambino prodigio: a 16 anni è stato ammesso ad Harvard, a  25 è diventato professore di matematica a Berkeley. Rimarrà fino alla fine dei  suoi giorni nel carcere di massima sicurezza in cui è rinchiuso per avere ucciso  tre persone e averne ferite 23. Il suo nome è Ted Kaczynski, ma ha vissuto una  lunga fase di anonimato nella quale era conosciuto soltanto come Unabomber.

 

Fonte: Tempi.it