Don Bosco contro-rivoluzionario

don-boscoA chi studi la storia sforzandosi di cercare in essa i segni della divina Provvidenza può accadere di imbattersi in piacevoli sorprese. Una di queste è trovare personaggi totalmente estranei alla loro epoca: prendete, ad esempio, san Giovanni Bosco: vive nel secolo del treno a vapore e del socialismo scientifico, eppure la sua vita è intessuta di profezie, miracoli, sogni profetici, visioni, anatemi, senza farsi mancare una miracolosa moltiplicazione di castagne e l’intervento di un angelo custode nelle fattezze di un cane lupo.

La vita di don Bosco, insomma, sembra un’agiografia medievale abusivamente ambientata nel XIX secolo. C’è però un’altra epoca che meglio si attaglia al suo carattere: l’età del Concilio di Trento. Don Bosco dà alla sua congregazione il nome da san Francesco di Sales, fonda l’Oratorio come san Filippo Neri, è devoto a Maria Ausiliatrice come san Pio V, esalta la battaglia di Lepanto, scrive elogi dell’Inquisizione… in un certo senso, fu l’ultimo santo della Contro-Riforma.

 

Ovviamente so che non tutti condividerebbero queste parole: in una pubblicazione di quelli che si considerano gli eredi di don Bosco si può trovare, riferito con entusiasmo, il giudizio di un teologo contemporaneo cui piaceva ricordare «colui che ha precorso il Concilio di un secolo, don Bosco. Egli è già, profeticamente, un modello di santità per la sua opera che è rottura con un modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei».

 

Il Concilio che don Bosco avrebbe precorso è, ovviamente, il secondo Concilio vaticano. Il che, francamente, appare insostenibile, se il don Bosco in questione è lo stesso che preannunciava castighi ai sovrani secolarizzati, convertiva gli ebrei, confutava gli errori dei protestanti, ostacolava la massoneria. Ma forse sono proprio i massoni e i protestanti quei «contemporanei» rispetto ai quali san Giovanni Bosco fu una «rottura».

 

Alla vigilia dell’anno bicentenario della nascita del Santo sembra opportuno rivolgere un invito a chi è devoto a don Bosco: lasciate perdere gli sceneggiati televisivi di bassa qualità, le agiografie banalizzanti, le interviste sui giornali dei teologi à la page. Piuttosto, riprendete in mano gli scritti del Santo, in primo luogo le straordinarie Memorie dell’Oratorio di san Francesco di Sales. Scoprirete (o riscoprirete) che don Bosco non fu un mellifluo buontempone o un prete di strada in vena di istanze sociali, ma un fedele figlio della Chiesa, un energico difensore della verità, un ruvido polemista.

 

Scoprirete che non organizzava tavole rotonde per blaterare di ecumenismo, ma scriveva coraggiosi libelli contro le dottrine dei protestanti, i quali ricambiarono con ripetuti attentati. Scoprirete che don Bosco non rincorreva il dialogo a tutti i costi, ma ai governanti che ledevano i diritti della Chiesa preannunciava castighi divini, che puntualmente si verificavano: quando in Parlamento si discuteva la soppressione degli Ordini religiosi, don Bosco annunciò che ci sarebbero stati grandi funerali alla corte di Vittorio Emanuele II. La legge si fece, e anche i funerali.

 

I suoi Trattenimenti familiari, rimossi dalla memoria della maggior parte dei figli di Don Bosco, sono una grandiosa summa dell’apologetica cattolica e contengono pagine talmente dure contro gli errori (mai contro le persone) dei valdesi, dei luterani, dei calvinisti, degli ebrei, dei musulmani e degli orientali scismatici che a ragione meriterebbe di essere ripubblicato con il sottotitolo: Il libro che il priore di Bose non ti farebbe mai leggere.

 

Scoprirete, in conclusione, che don Bosco fu un Santo di grande levatura, un alfiere della Contro-Rivoluzione, un fiero avversario della modernità. Insomma, era più simile a un crociato che a Flavio Insinna.

 

articolo pubblicato su Campari & De Maistre