Duecento milioni di cristiani minacciati

Sempre più cristiani vivono sotto la minaccia di altri gruppi religiosi. Lo afferma il giornalista Rupert Shortt in un suo recente libro. Shortt, che è editorialista di temi religiosi sul Times Literay Supplement e autore di numerosi libri sulle medesime tematiche, ha recentemente pubblicato il suo ultimo saggio Christianophobia (Random House). Ben prima degli attacchi terroristici dell’11 settembre, molte comunità cristiane erano già vittime dell’intolleranza, afferma l’autore nell’introduzione, e nell’ultimo decennio il problema è drammaticamente degenerato.

“Questo team dovrebbe essere un argomento di politica estera di primo piano per parecchi governi del mondo”, scrive Shortt.

Lo studioso mette in luce le numerose difficoltà affrontate dai cristiani in vari paesi a maggioranza musulmana. Coloro che si convertono al Cristianesimo in tali paesi, vanno incontro a dure punizioni e c’è anche il serio rischio che le Chiese cristiane possano sparire dalle terre bibliche del Medio Oriente.

Shortt cita poi un indagine condotta nel 2008 da Freedom House, che dimostra che, se qualche paese musulmano libero esiste davvero, come ad esempio il Senegal, si tratta di eccezioni.

“C’è un problema con l’Islam o qualcosa di simile?”, si è domandato Shortt. Ci sono elementi dell’Islam che giustificano davvero la violenza, ma l’autore ha anche ritenuto che riportare citazioni selettive dal Corano non dimostra un granché.

È un dato di fatto, comunque, prosegue lo studioso, che il diritto di criticare la fede dominante è ben più limitato che nei paesi cristiani. Al tempo stesso l’Islam non ha sviluppato, a differenza del Cristianesimo, un atteggiamento più autocritico o tollerante.

Shortt specifica che il suo libro non è basato sul presupposto di uno scontro di civiltà, né manca di autocritica sulle mancanze del Cristianesimo in passato.

La fede, aggiunge l’autore, ha mobilitato milioni di persone nella lotta per la democrazia e per il sostegno ai diritti umani, così come per il sollievo dell’umana sofferenza. Ha anche giocato, tuttavia, un ruolo nelle guerre e nei conflitti.

La Primavera Araba

L’Egitto è uno dei paesi presi in esame da Shortt: qui la caduta dell’ex presidente Hosni Mubarak non ha portato alcun sollievo alle difficoltà dei cristiani locali.

Dopo aver documentato un ampio numero di casi di persecuzione negli anni precedenti alla Primavera Araba, Shortt descrive vari episodi di anti-cristianesimo, seguiti dal rovesciamento del governo in Egitto.

In un altro capitolo Shortt analizza la situazione in Iraq, affermando che poche popolazioni cristiane hanno sofferto quanto quelle irakene degli ultimi anni. Le tribolazioni hanno portato a un esodo di cristiani, il cui numero in Iraq è passato da 1,2 milioni a meno di 200mila.

Sarebbe sbagliato pensare che il regime di Saddam Hussein proteggesse i Cristiani, ha precisato l’autore, dal momento in cui i Cristiani hanno sofferto discriminazioni e costrizioni alla fuga negli ultimi decenni. La situazione, comunque, è peggiorata drammaticamente dopo l’invasione americana del 2003, con il clero e i fedeli cristiani laici nel mirino dei terroristi.

All’inizio del 2011 non meno di 63 chiese sono state bombardate o invase dal 2003.

In Occidente c’è molta ignoranza sulla ricca storia cristiana della regione, ha commentato Shortt. Per molti secoli l’Iraq ha avuto una comunità cristiana con una ricca vita culturale e un ampio numero di chiese e monasteri ma le prospettive sono ora molto tristi per i Cristiani.


Autorità

La Turchia, il Pakistan, la Nigeria e l’Indonesia sono gli altri paesi presi in esame nel libro, ma Shortt dà anche uno sguardo a nazioni non a maggioranza musulmana. Elenca, ad esempio, i molti atti di persecuzione patiti dai cristiani in India e le restrizioni da parte del duro governo cinese.

Shortt, inoltre, esamina brevemente ulteriori paesi come Cuba e Venezuela. In relazione a Cuba, nota che una somiglianza tra i governi musulmani e il comunismo è la negazione di fonti di autorità alternative.

La situazione dei Cristiani è migliorata negli ultimi anni, ma Cuba non può ancora essere classificata come una società aperta.

Nelle sue conclusioni Shortt aggiunge che le ingiustizie commesse contro i Cristiani sono scarsamente riportate dalla stampa. Ciò è dovuto in parte al pensiero dominante che considera la religione come una grande causa di conflitto, più che ad altri fattori.

Poiché molti ritengono la religione sia una causa di simpatia irrazionale per i comportamenti violenti, poiché la difficile situazione dei credenti è ignorata. Shortt afferma anche che in alcune ex colonie occidentali, il Cristianesimo è visto da alcuni come un derivato del potere imperiale e che in paesi come il Pakistan i Cristiani sono visti come una sorta di anomalia.

Shortt conclude nel segno di un cauto ottimismo, esprimendo la speranza che, così come il Cristianesimo si è evoluto, lo stesso potrà avvenire per l’Islam. In che misura ciò avverrà è difficile dirlo, ammette l’autore, concludendo però con l’affermazione della virtù della speranza. Essa è una virtù di cui molti cristiani avranno bisogno in dosi sempre più ampie, viste le circostanze sempre più difficili.

[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio]


Fonte:
Zenit