Ecco come il Curato d’Ars ci ammonirebbe sulla strage di Corinaldo.

Sembrerebbe avventato far dire ancora una volta a un Santo, com’è ormai cattiva abitudine, parole che non ha mai pronunciato e di cui solo possiamo immaginare, forse, il contenuto. Invece in questo caso abbiamo i testi autentici delle omelie e degli ammonimenti che egli dispensò ai suoi parrocchiani in materia di feste, balli e divertimenti. E’ infatti possibile sapere con certezza come predicherebbe riguardo alla strage di Corinaldo per due ragioni. La prima è che egli fu canonizzato a pochi anni di distanza dalla sua morte, quando erano ancora in vita coloro che lo conobbero e che furono fonti certe e precise in qualità di testimoni nei processi  canonici appositamente istruiti per verificarne la vita eroica.

La seconda ragione, che dà certezza del suo pensiero, risiede nella richiesta rivolta dal vescovo di Belley allo storico e teologo Abate François Trochu di scrivere una biografia esaustiva di S. Giovanni Maria Vianney, biografia che fu realizzata attingendo alle numerosissime testimonianze, contenute anche negli scritti privati, così che nulla è stato trascurato della sua vita e della sua predicazione.

Vi è da premettere che quando nel 1818 il Curato, poco più che trentenne, giunse ad Ars questo era un paese di soli 230 abitanti, i cui uomini ogni sera sperperavano nelle ben quattro osterie esistenti i magri guadagni settimanali, frutto del lavoro in campagna, mentre le donne attendevano con ansia le “veglie” delle feste patronali per darsi al ballo.

In quel misero paesino l’ubriachezza era tollerata come inevitabile abitudine dei maschi e il ballo era considerato un divertimento innocente per interrompere la noia dei giorni tutti uguali.

Ascoltiamo le parole di don Vianney dalla biografia di François Trochu, come se parlasse a noi: “Non c’è comandamento di Dio che non venga fatto trasgredire dal ballo…  Le madri hanno un bel dire «Io sorveglio le mie figlie». Voi potete sorvegliare il loro vestito ma non potete sorvegliare il loro cuore.

Padri e madri riprovati, andate, andate all’Inferno, dove il furore di Dio vi aspetta, voi e le belle azioni che avete fatto, lasciando correre nei riguardi dei vostri figli; andate, essi non tarderanno a raggiungervi, perché voi avete insegnato loro molto bene la strada…

Mio Dio, come è possibile avere gli occhi accecati fino a questo punto, fino a credere che nel ballo non c’è niente di male, mentre esso è la corda con cui il demonio trascina all’Inferno tante anime? … Il ballo è circondato dal demonio come un giardino è circondato da un muro…”

E ancora: “Le persone che entrano in una sala da ballo lasciano il loro Angelo custode alla porta e un demonio lo sostituisce, per cui, presto, nella sala ci sono tanti demoni quanti ballerini.”

Ma anche riguardo all’ubriachezza aveva parole durissime: “L’osteria è la bottega del demonio, la scuola dove l’Inferno recita e insegna la sua dottrina, il luogo in cui si vendono le anime…”

Impiegò molti anni per sradicare tutte le cattive abitudini dei suoi parrocchiani, trasformando Ars nel paese gradito a Dio che lo Spirito Santo gli aveva ispirato quando, arrivando per la prima volta, aveva visto da lontano la piccolissima chiesa e le casupole sparse nella campagna. Ma gli costò la salute a furia di preghiere, lacrime e durissime penitenze offerte per la loro salvezza.

Peraltro già il Siracide, al capitolo 30, dava insegnamenti di sapienza su come educare un figlio: Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta, per gioire di lui alla fine. Coccola il figlio ed egli ti incuterà spavento, scherza con lui, ti procurerà dispiaceri. Non ridere con lui per non doverti con lui rattristare, che non debba digrignare i denti alla fine. Non concedergli libertà in gioventù, non prendere alla leggera i suoi difetti.

Ma che omelie terrebbe oggi S. Giovanni Maria Vianney di fronte ad avvenimenti di cui cogliamo solo il lato drammatico d’impatto senza soffermarci a valutarne l’aspetto spirituale?

Le sue prediche suonano anacronistiche, impensabili a tal punto che non si è alzata nemmeno una voce autorevole da parte della gerarchia ecclesiastica per deplorare la miseria spirituale di questa complessa faccenda.

Quali curati stanno offrendo lacrime, preghiere e penitenze per salvare i propri parrocchiani dalle sgrinfie del demonio? E quali ulteriori banalità ci toccherà ascoltare durante i prossimi funerali?

E c’è da domandarsi ancora: che indicazioni educative sono emerse dal recente Sinodo dei giovani? Quali suggerimenti sono stati forniti ai ragazzi per affrontare la deriva nichilista della nostra società?

E, dopo il precedente Sinodo, quali percorsi sono stati suggeriti alle famiglie per la crescita spirituale dei genitori e una sana formazione della prole? Rileggendo Amoris laetitia alla luce dei fatti attuali si rileva la pochezza spirituale del testo, che è ascrivibile più ad un saggio psico-sociologico che ad uno strumento di indirizzo cattolico.

Infatti un solo paragrafetto è dedicato a quello che dovrebbe essere il fondamento spirituale della vita cristiana, cioè il momento quotidiano della preghiera in famiglia con la lettura delle Sacre scritture. L’esperienza di generazioni che hanno arricchito la Chiesa e la società di santità personale, di vocazioni e di ordine etico è stata completamente sfrattata a favore dell’ascolto compiaciuto e dell’accondiscendenza verso se stessi e i propri figli.

La porta stretta, la croce da portare con amore per i propri fratelli, la scelta del bello e del giusto, il giogo soave e il peso leggero da accettare con l’aiuto di Cristo per essere degni del Regno di Dio sono parole di vita eterna lasciate chiuse nelle pagine dei Vangeli. E oggi non ci resta che piangere i morti.

 

Paola de Lillo