Elezioni in Israele: ascesa dei centristi. Mons. Shomali: ci aspettiamo un vero cambiamento

All’indomani delle legislative in Israele il risultato fa segnare un pareggio nella distribuzione dei seggi alla Knesset tra la destra che sostiene il premier Nethanyau e il centro sinistra. Da un punto di vista numerico comunque il Likud resta, insieme al partito di estrema destra di Lieberman, il primo partito con 31 seggi.

La vera sorpresa del voto è la neonata formazione di centro “Yesh Atid” di Yair Lapid che ha ottenuto 19 seggi e che esclude di formare una coalizione anti – Nethanyau. La Casa Bianca rinnova l’appello perche’ siano ripresi i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, sulla base della soluzione dei due Stati.

L’Anp fa sapere che negozierà con qualsiasi governo israeliano sarà formato a patto che rispetti la risoluzione dell’Assemblea Generale Onu che riconosce lo Stato palestinese entro i confini precedenti al 1967. Salvatore Sabatino ha chiesto di commentare il risultato elettorale a mons. William Hanna Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme:

R. – C’è un vero cambiamento nell’elettorato israeliano: si sta muovendo verso il centro. I risultati di stamattina ci hanno sorpreso: 60 seggi per la sinistra e 60 per la destra. Con la sinistra ci sono anche i partiti arabi. Questo rende più difficile formare un governo e anche se Nethanyau ha avuto 31 seggi in Parlamento, nella Knesset, avrà difficoltà a fare una larga coalizione con altri partiti, specialmente quelli di centro-sinistra, perché deve essere pronto a cambiare qualcosa della sua politica. Non può continuare come quando si coalizzava con partiti solo di destra. Ora ci aspettiamo un vero cambiamento.

D. – Possiamo dire che è definitivamente messa da parte la linea dura di Lieberman, a questo punto?

R. – Senz’altro. Lieberman esce se Yair Lapid entra al suo posto. Yair è meno fondamentalista, meno estremista, più moderato, ed è per questo che i giovani lo hanno eletto: per le sue idee su come migliorare l’economia, come obbligare gli ortodossi ad entrare nell’esercito, a fare il servizio militare, come agevolare il processo di pace. Le idee, dunque, di Lapid saranno veramente moderate, se entra nella coalizione. Sappiamo già che la prima telefonata che Nethanyau ha fatto stamani è stata per lui; per fargli gli auguri ed invitarlo ad entrare con lui in una larga coalizione. Questo è promettente.

D. – Quindi, questa vittoria dei centristi, secondo lei, può aiutare concretamente a riprendere il processo di pace, dopo che per anni abbiamo vissuto una vera e propria stasi?

R. – La spinta al riavvio del processo di pace non giunge solo da parte dei vari componenti del governo israeliano. Tutto dipende anche dalla pressione esercitata dagli Stati Uniti sul nuovo esecutivo. Washington ha detto che non cambierà politica, che vuole la soluzione di due Stati, e che gli insediamenti impediscono la soluzione di questi due Stati. Per questo una pressione americana aiuterebbe tanto anche i partiti moderati in Israele.

D. – Tra l’altro, Obama nel suo discorso, dopo il giuramento del secondo mandato, ha detto: “E’ finita un’era di guerra e ci impegneremo per la pace in Africa e soprattutto in Medio Oriente”. Questo è un segnale, ovviamente, importante per voi…

R. – Per me sì. Molti, comunque, fanno pressione su Obama per dare una priorità al conflitto israelo-arabo, perché questo conflitto continua a far perdere tante energie e anche ad avvelenare l’atmosfera del Medio Oriente. Allora vuole – e penso sia sincero – contribuire ad una pace in Terra Santa. C’è bisogno di una bella collaborazione fra lui e il governo israeliano. Noi possiamo solo pregare per una bella intesa fra di loro per il futuro della pace.

D. – Questo voto uscito dalle urne, com’è stato commentato dai palestinesi?

R. – Io ho sentito solo Saeb Erekat, grande negoziatore dei palestinesi, che ha detto: “Questo è un affare interno agli israeliani; rispettiamo la loro decisione e vogliamo continuare a lavorare per la pace, ma vogliamo che si fermi la costruzione degli insediamenti, perché sono un vero ostacolo a riprendere i negoziati”. E questa è la prima reazione venuta da una persona autorevole.

Fonte: Radio Vaticana