Gaza tra Sansone e i santi monaci

Prigione a cielo aperto, formicaio umano, angolo dimenticato dal mondo finché le fiammate di violenza non lo portano di nuovo all’attenzione delle cronache. Non gode certo di una gran bella fama Gaza, ancora una volta epicentro delle violenze del Medio Oriente. Tra i tanti sfregi subiti da questa Striscia di terra al confine tra Israele e l’Egitto, c’è anche quello di essere stata trasformata ingiustamente in una città senza storia: nell’immaginario collettivo Gaza non è altro che l’immenso campo profughi dove nel 1948 sono fuggiti decine di migliaia di arabi che abitavano a Jaffa e nel Sud di quello che stava diventando lo Stato di Israele.
Così però si dimentica che Gaza – in realtà – è una città antichissima, snodo cruciale sulla Via Maris, l’antica via che congiungeva l’Egitto alla Siria. Non a caso da qui sono passati personaggi del calibro di Alessandro Magno e Napoleone. Ma ciò che a noi qui maggiormente interessa segnalare è che anche per i cristiani – pur non essendo mai stata una vera e propria meta di pellegrinaggi – Gaza è Terra Santa.
Intanto vale la pena di ricordare che è nominata per ben ventidue volte nell’Antico Testamento: il brano più famoso è legato alla figura di Sansone, il figlio donato alla donna sterile e consacrato a Dio per essere condottiero di Israele, la cui vicenda conoscerà un epilogo tragico proprio a Gaza, dopo che con l’inganno Dalila gli farà tagliare i capelli sorgente della sua forza. Proprio nel tempio dei filistei – i nemici di Israele – secondo il racconto del libro dei Giudici, Sansone pronuncerà la celebre frase «che io muoia con tutti i filistei», quasi una profezia del dolore senza fine della Gaza di oggi.
Il suo nome non ricorre mai nei Vangeli, anche se una tradizione locale celebra qui una sosta di Giuseppe e Maria con il bambino Gesù di ritorno dall’Egitto (e proprio per questo la parrocchia di rito latino è intitolata alla Sacra Famiglia). Ma a questa città palestinese è comunque riservata una citazione importante nel Nuovo Testamento: nel capitolo ottavo degli Atti degli Apostoli è proprio sulla strada che da Gerusalemme scende fino a Gaza che Filippo – inviato da un angelo – incontra il funzionario eunuco di Candace, la regina d’Etiopia; e dopo un dialogo a partire dalla Scrittura che lo straniero sta leggendo questi riceve dall’apostolo il Battesimo.
La storia sacra di Gaza non si ferma comunque alle Sacre Scritture: oggi può suonare strano vista la sua densità abitativa (tra le più alte al mondo) ma nella storia del cristianesimo la sua memoria è legata alla figura di un grande eremita chiamato Ilarione. Nato intorno all’anno 291 d.C. a Thabatha – una località a qualche chilometro a Sud dell’antica Gaza – Ilarione si convertì al cristianesimo durante gli studi di retorica ad Alessandria d’Egitto.
E lì sentì parlare di Antonio, il santo del deserto, il primo grande monaco del cristianesimo: visse con lui due mesi per poi tornare a Gaza e vivere per vent’anni da eremita nell’area a sud-ovest di Maioma, il porto della città. Come già accaduto ad Antonio, anche Ilarione cominciò a compiere prodigi e la sua fama si diffuse per tutta la regione. A lui si unirono dei seguaci dando vita al monastero di Umm el-’Amr, le cui rovine sono tuttora ben visibili a Gaza, anche se in pessimo stato di conservazione.
Il sito – che ricorda appunto la figura di sant’Ilarione – era stato anche inserito dalla Palestina nel primo elenco di monumenti proposti all’Unesco per lo status di Patrimonio dell’umanità. Ma evidentemente il fatto di non trovarsi sotto la giurisdizione dell’Autorità nazionale palestinese rende la cosa assai problematica.
Ilarione è una santo venerato tanto dalla Chiesa cattolica quanto dai copti e dalle Chiese orientali. La sua fama nel IV secolo era talmente grande che san Gerolamo – l’autore della Vulgata, la prima traduzione della Bibbia in latino – scrisse una Vita di sant’Ilarione. Altro grande monaco di Gaza fu poi Barsanofio, vissuto tra la fine del V secolo e la prima metà del VI secolo. Anacoreta che trascorreva le sue giornate in assoluta solitudine, ha lasciato un corpus di circa 800 lettere che sono uno dei grandi punti di riferimento spirituali del monachesimo orientale.
Sempre dal mondo monastico proveniva infine anche san Porfirio, che fu vescovo di Gaza per venticinque anni tra la fine del IV secolo e l’inizio del V. Il suo fu un episcopato non facile: i gazawi – sempre restii a sottomettersi a un’autorità esterna – non volevano saperne di abbandonare Marnas, la propria divinità, alla quale avevano innalzato anche un grandioso tempio, il Marneion, che doveva essere l’erede di quello dei filistei. Fu Porfirio a ottenere dall’imperatore di Costantinopoli l’autorizzazione alla sua distruzione per costruirvi sopra una basilica cristiana. Due secoli dopo sarebbero poi arrivati gli arabi che l’avrebbero trasformata in quella che oggi è la Grande Moschea di Gaza. La memoria di san Porfirio è comunque rimasta grazie all’omonima chiesa greco-ortodossa che si trova tuttora nel quartiere di Zaytun, nella parte vecchia della città.
Giorgio Bernardelli
Fonte: Avvenire