Giulio Andreotti e la Legge 194 del 1978

Martedì 7 maggio il Presidente del Comitato Verità e vita ha scritto la seguente lettera al direttore del quotidiano Avvenire, Marco Tarquinio:  “Caro direttore, quando una persona muore, è bello e giusto che di lei si dica ogni bene possibile. Parce sepulto, sempre. Però ho trovato davvero singolare che Avvenire abbia completamente taciuto il fatto che nel 1978 Giulio Andreotti firmò, insieme a ministri tutti democristiani, e a un presidente pure democristiano, la legge 194.

Quella legge gravemente ingiusta che in 35 anni ha permesso l’uccisione di circa 6 milioni di italiani con l’aborto di stato. Il governo Andreotti mandò perfino l’avvocatura dello Stato a difendere la legge 194 davanti alla Corte costituzionale.  Può essere di cattivo gusto ricordarlo all’indomani della morte di Andreotti; ma il suo quotidiano ha  dedicato un’intera pagina ai processi per mafia che lo coinvolsero.

Eppure, sul piano del diritto naturale, la pagina politica più nera di quella importante vita pubblica rimane la firma di una legge di morte. Firma cui Andreotti avrebbe potuto sottrarsi, dimettendosi.  Tommaso Moro, o Re Baldovino del Belgio, ci hanno lasciato ben altro esempio. Se non leggiamo questo giudizio  sulle pagine di un giornale cattolico, dove potremo mai leggerle?”

Mario Palmaro – Presidente Nazionale del Comitato Verità e Vita

 

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Per completamento di informazione riportiamo un editoriale della rivista Il Timone , pubblicato nella rubrica Non tutti sanno che del luglio-agosto 2001, N. 14, Anno III, pag. 21:

 

Aborto. La legge 194, approvata nel 1978, la quale consente che in Italia si possa abortire legalmente fino alla 12ma settimana di vita del bambino nel grembo materno, reca la firma di sei uomini politici che appartenevano tutti alla Democrazia Cristiana. Uno di loro, Giulio Andreotti, allora Presidente del Consiglio, intervistato tempo dopo da Vittorio Messori (Inchiesta sul Cristianesimo, p. 210) giustificò quella firma adducendo, in caso di rifiuto, il pericolo di una crisi di governo. Così, l’uomo politico ritenne più opportuno firmare; ma, nonostante ciò, il suo governo cadde pochi mesi dopo. Anche il Presidente della Repubblica di quel tempo, Giovanni Leone, democristiano, fu tra i firmatari della legge. Dopo pochi giorni dovette lasciare il Quirinale in modo disonorante. Commentava a Messori il sacerdote don Divo Barsotti: “Dicono che, se non firmavano, il governo cadeva? Ma che deve importare a un cristiano un governo così?”.