I misteri di Santa Cristina

Dalle testimonianze si racconta che Cristina, figlia di Urbano, prefetto dell’attuale Bolsena, e di una nobildonna di casato romano, fu iniziata alla fede cristiana da una serva. Scoperta dal padre fu rinchiusa in un’ala del palazzo assieme a dodici ancelle e costretta ad adorare gli idoli pagani.

Una sera la giovane fanciulla, appena undicenne ma ardente di fede, distrusse i simulacri d’oro e, calandosi dalla finestra della torre, distribuì i pezzi ai poveri.

Il padre, allora, furioso, la fece percuotere da dodici uomini (si racconta che caddero a terra stremati, talmente grande era la resistenza della santa), dopodiché la rinchiuse in carcere.

Il frammento egizio riporta che, nel corso dell’interrogatorio, Cristina redarguì il padre con le seguenti parole “non sai che il figlio di Dio vivo, luce di verità e salvatore del mondo, discese dal cielo per redimere ogni malvagità e per salvarci, ed ora nel nome di quel Cristo che salva ti affronto, per vincere la tua ira e darti la morte”.

Venne dunque flagellata e poi legata alla ruota, sotto la quale venne appiccato il fuoco ed infine gettata in mezzo ad un lago con un sasso legato al collo, ma la santa galleggiò miracolosamente “come un fiore di ninfea”. Alla vista dell’ennesimo prodigio Urbano, preso dalla disperazione, morì imprecando gli dei.

Ad Urbano succedette un certo Dione, il quale le inflisse pene sempre più inumane e terribili, come l’immersione nella caldaia di pece, resina ed olio bollenti; le fece poi tagliare i capelli e, trascinata nuda per la città, la condusse al tempio di Apollo, costringendola ad adorare la statua del dio pagano, che venne ridotta in polvere al suo solo sguardo; una scheggia colpì Dione e lo uccise. Si racconta che alla vista di tutto ciò migliaia di pagani si convertirono al cristianesimo.

A Dione succedette Giuliano, che la fece murare per cinque giorni in una fornace (i cui resti si trovano a circa 2 km a sud di Bolsena); le furono poi applicati due aspidi e due serpenti e aizzate contro due vipere.

La giovane affrontò qualsiasi tipo di supplizio rimanendo salda nella fede, chiedendo a Dio solamente di non essere abbandonata nella “lotta” e da tutte queste torture ne uscì sempre miracolosamente incolume.

Dopo le numerose sconfitte, si racconta che Giuliano le fece tagliare le mammelle e poiché continuava a cantare lodi al Signore le fu mozzata la lingua, che la fanciulla raccolse e scagliò contro Giuliano accecandolo in un occhio.

Legata dunque ad un palo fu trafitta da decine di frecce, due delle quali le colpirono il cuore e il fianco procurandole la morte. Era l’alba del 24 luglio.

Le sue reliquie, ritrovate nel 1880 nel sarcofago dentro le catacombe poste sotto la basilica dei Santi Giorgio e Cristina, ebbero anche loro un destino travagliato. Le cronache narrano che nel 1098 due pellegrini diretti in Terrasanta sostarono a Bolsena e trafugarono il suo corpo.

Arrivati poi nella città di Sepino, gli abitanti del paese scoprirono le sacre spoglie e da quel giorno rimasero nella città molisana, dove tuttora viene festeggiata per ben quattro volte l’anno.

Altre reliquie si trovano a Palermo, città della quale è compatrona, e a Toffia. Attualmente, però, l’unica reliquia considerata autentica è l’osso dell’avambraccio conservato a Sepino.

Nella Chiesa di Santa Cristina a Bolsena si trova invece la pietra del supplizio, che compone l’altare maggiore, sulla quale sono impresse le impronte dei suoi piedi.


Fonte
: Zenit