I papi e i gesuiti: quanti cartellini gialli – di Francesco Agnoli

MontiniC’è davvero tanta confusione, nella Chiesa, ma qualcuno in alto loco, nientemento che il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, ha avuto il coraggio di dire che ora, forse, occorre il “dialogo”, perchè la Chiesa non è una caserma nè una teocrazia, ma una monarchia costituzionale, e, addirittura, elettiva. Non bisognerebbe scordare infatti che il papa stesso è sì un monarca, ma eletto dai confratelli cardinali, e che il Vangelo è la Costituzione che nessuno può violare.

Ma perchè siamo finiti in questa situazione? I fatti storici possono aiutarci a comprendere che la confusione viene da lontano. Le opinioni eterodosse di padre Antonio Spadaro o di padre James Martin, come le tesi di altri gesuiti quali Carlo Casalone e Alain Thomasset (entrambi membri della nuova Pontificia Accademia per la Vita diretta dal filo pannelliano Vincenzo Paglia), non sono certo nuove, venendo diffuse in vario modo da almeno quarant’anni. Quello che è nuovo, però, è il fatto che, pur essendo eterodosse sino a ieri, siano quasi la voce ufficiale della Chiesa oggi.

Per capire quanto sta accadendo bisogna tener presente che stiamo assistendo ad una sorta di rivincita di chi, per tanti anni, aveva visto respigere, almeno in parte, i suoi assalti ai fondamenti teologici e morali della fede cattolica.

Se guardiamo la storia, sono ben 4, tutti e 4 gli ultimi papi, ad aver ripreso la Compagnia di Gesù per i medesimi motivi: rifiuto della sana dottrina con conseguenti “ambiguità dottrinali”, secolarizzazione, confusione tra fede e politica ecc.

Il primo ad intervenire è Paolo VI, il 2 dicembre 1974, allorchè riceve in Vaticano la XXXII congregazione generale dei Gesuiti. Dopo i rituali saluti, il papa, rifacendosi implicitamente ad una lettera inviata a padre Arrupe, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, nel settembre dell’anno precedente, riferisce che molti vescovi gli hanno espresso lamentele nei loro confronti, a causa di “fatti dolorosi che esercitano una triste influenza sul clero, negli altri religiosi e nel laicato cattolico“. Il papa invita i Gesuiti ad impedire che la loro “disponibilità al servizio” degeneri “in relativismo, in conversione al mondo e alla sua mentalità immanentistica, in assimilazione col mondo che si voleva salvare, in secolarismo, in fusione con il profano” (William B. Bangert, gesuita, in Storia della compagnia di Gesù, Marietti, 2009).

Pochi mesi dopo Paolo VI deve scontrarsi di nuovo con i Gesuiti, perchè la Compagnia ha agito “contro le chiare direttive che egli aveva fornito a voce e per iscritto“. Intanto i membri della Compagnia diminuiscono gradualmente: nel 1971 sono 31 mila, nel 1975 scendono a 28 mila, nel 1984 sono solo 25 mila…

Dopo Paolo VI, il 26 agosto 1978 diventa papa Giovanni Paolo I, che in un discorso scritto, che avrebbe dovuto essere pronunciato il 30 settembre 1978, cioè due giorni dopo la sua morte, rinnova stima e soprattutto preoccupazione nei confronti della Compagnia: incitando i Gesuiti “ad affrontare onestamente i difetti, le omissioni e le ambiguità della Compagnia, egli ricordava l’obbligo di mantenere il suo carattere sacerdotale anche affrontando i moderni problemi economici e sociali, e di attenersi alla “solida e sicura dottrina” confermata dal magistero della Chiesa, di opporsi alle tendenze di secolarizzazione, di ripudiare gli usi e i costumi del mondo“.

Giovanni Paolo II diventa papa il 22 ottobre 1978, e già il 21 settembre 1979, certamente preoccupato per le derive pauperistiche e comuniste di molti gesuiti, parla con un gruppo che Arrupe ha riunito a Roma, ammonendoli circa i rischi corsi dalla Compagnia.

Nel discorso ufficiale invita a perseguire per i novizi“formazione dottrinale con solidi studi filosofici e teologici secondo le direttive della Chiesa, e formazione apostolica indirizzata a quelle forme di apostolato che sono proprie della Compagnia, aperte sì alle nuove esigenze dei tempi, ma fedeli a quei valori tradizionali che hanno perenne efficacia“.

Come si vede, Giovanni Paolo II si colloca sulla linea dei suoi predecessori: l’invito è ad evitare che l’adeguamento ai tempi, “alle nuove esigenze dei tempi”, diventi “secolarizzazione” e abbandono della “solida e sicura dottrina”, dei “valori tradizionali che hanno perenne efficacia”.

In altre parole: i Gesuiti vogliono cambiare dottrina e morale, ma ciò non è possibile, perchè la Verità è eterna e per questo, trascendendoli, è sempre adeguata ai tempi, ad ogni situazione e ad ogni circostanza.

Padre Arrupe, che ha ben compreso come dietro il discorso ufficiale di Giovanni Paolo II vi sia l’ennesimo ammonimento dei papi alla sua Compagnia, indirizza una lettera ai principali superiori della Compagnia in cui si legge che “un richiamo da parte di tre papi lascia poco spazio a dubbi sul fatto che Dio stesso, sicuramente con amore ma con insistenza, si aspetta qualcosa di meglio da noi“.

Infine, dopo Giovanni Paolo II, è la volta di Benedetto XVI, che da molti Gesuiti fu spesso avversato come il suo predecessore. Alla fine del 2007, in vista dell’elezione del nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, Benedetto XVI scrive al generale uscente, Peter-Hans Kolvenbach, e piuttosto clamorosamente invita i Gesuiti a rinnovare, ad affermare di nuovo la propria fede cattolica, evidentemente molto vacillante.

Scrive Benedetto: “Per offrire all’intera Compagnia di Gesù un chiaro orientamento che sia sostegno per una generosa e fedele dedizione apostolica, potrebbe risultare quanto mai utile che la Congregazione Generale riaffermi, nello spirito di sant’Ignazio, la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della Teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l’indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali”.

Anche in questo caso ci sono alcune parole o espressioni chiave, da sottolineare: dottrina, morale sessuale, indissolubilità della chiesa, e pastorale.

E’ innegabile che da alcuni anni a questa parte il dibattito interno alla chiesa verta proprio su questi temi. Chi ama la Chiesa se ne accorge, e chiede di capire, invoca il dialogo, anche alla luce di quanto i 4 pontefici citati gli hanno insegnato; chi finge di non accorgersene si lancia in campagne inquisitorie (ben poco credibili, per di più, se chi le conduce ha lo stesso pedigree di acrobata di un Andrea Tornielli, o è al centro di numerosi scandali e processi, come monsignor Vincenzo Paglia), che però serviranno solo ad inasprire il dibattito, trasformandolo sempre più in conflitto aperto.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana