Il caso Medjugorje. Davvero la Chiesa considera le rivelazioni private non necessarie alla fede? Ecco la verità.

LateranoIl resoconto fatto da Papa Francesco sui risultati a cui è pervenuta la  Commissione d’indagine nominata da Benedetto XVI riguardo alle apparizioni di Medjugorje, con aggiunta delle proprie opinioni personali, ha suscitato smarrimento nei milioni di fedeli che si dichiarano certi della loro autenticità e compiacimento in coloro che le hanno sempre negate come vere, costringendo così anche i mezzi di comunicazione ad occuparsi dell’argomento.

Si sono perciò letti e uditi dovunque pareri e giudizi diversi e opposti non solo sul caso specifico, ma in generale sulla considerazione in cui la Chiesa terrebbe le cosiddette rivelazioni private, destando così sconcerto e dubbi anche sulla loro effettiva utilità in ordine alla fede e alla valenza che ad esse attribuirebbe la religione cattolica.

Ascoltando certi incauti che si sono espressi con assoluta sicurezza si deduce che se fossimo dei buoni cristiani le vicende di Medjugorje non dovrebbero minimamente interessarci. E lo stesso dovrebbe valere per le apparizioni già concluse e riconosciute come autentiche dalle autorità ecclesiastiche, nonostante alcune di esse abbiano rivelato profezie poi avveratesi ed altre sono tuttora messaggere di avvertimenti per il futuro dell’umanità.

Infatti, assodato che il centro della nostra fede è Cristo e che la Rivelazione si è conclusa con la morte dell’ultimo Apostolo – affermazioni assolutamente indiscutibili – la conseguenza sarebbe che qualsiasi successiva manifestazione del soprannaturale, non potendo apportare aggiunte o modifiche alla Parola di Gesù, non può possedere alcuna rilevanza significativa.

Altra criticità è emersa in ordine alle tempistiche di pronunciamento della Chiesa sulla veridicità o meno delle apparizioni. Da più parti infatti si è dichiarato che le autorità ecclesiastiche non possono pronunciarsi prima del termine delle apparizioni e che tale regola troverebbe la sua fonte certa addirittura nel Diritto Canonico.

Sembra quindi doveroso smentire questi e gli altri, assolutamente infondati, luoghi comuni che stanno ormai prendendo il posto delle vere Norme per procedere nel discernimento delle presunte apparizioni e rivelazioni, che la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ha approvato con delibera del 25 febbraio 1978 e che restano tuttora in vigore.

Tali norme, provvidenzialmente predisposte nei mesi precedenti all’elezione di S. Giovanni Paolo II, che nel corso del suo pontificato grande rilevanza ha attribuito agli avvenimenti di Fatima, erano state inizialmente elaborate ad esclusivo uso dell’episcopato, deputato ad esprimere il primo giudizio di discernimento su presunte apparizioni o rivelazioni.

Negli anni successivi, visto l’incontrollabile moltiplicarsi dei fenomeni di pseudo-misticismo, di asserite apparizioni, di visioni e messaggi attribuiti a origine soprannaturale e preso atto della pubblicazione non autorizzata delle Norme da parte di molteplici autori di opere di natura religiosa,  nel 2012 Benedetto XVI decise di renderle universalmente pubbliche facendole precedere da una Prefazione esplicativa e chiarificatrice della posizione della Chiesa in tale materia.

Dalla lettura dei documenti citati e, innanzitutto, dalla Prefazione alla Norme, contrariamente a quanto da più parte si afferma con assoluta certezza, emerge invece che se è vero che nessuno è obbligato a fare uso del portato di una rivelazione privata, come afferma lo stesso Benedetto XVI, “Quando questa è orientata a Cristo stesso è, invece, un aiuto per la fede, e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica. Inoltre può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche. Essa può avere un certo carattere profetico e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare.”

Per quanto riguarda invece l’asserzione, ormai divenuta verità incontestabile, che il pronunciamento sulla veridicità delle apparizioni possa avvenire solo quando esse sono ultimate, va sfatata un’altra leggenda, perlomeno nei termini in cui viene raccontata.

Nella Nota preliminare alle Norme si afferma che in presenza di presunte apparizioni, e delle rivelazioni spesso loro connesse, l’Autorità ecclesiastica è chiamata a pronunciarsi in merito senza ritardi.

Ciò non significa che debba emettere immediatamente un giudizio definitivo ma, come ben spiegato, deve effettuare una celere valutazione  sulla conformità o meno dei contenuti dei fenomeni straordinari a quelli della dottrina cattolica.

Si deve cioè verificare se la devozione suscitata tra i fedeli da fatti di questo genere possa manifestarsi nel rispetto della piena comunione con la Chiesa e portare frutti, dai quali la Chiesa stessa possa in seguito discernere la vera natura dei fatti.

E’ evidente che tale valutazione si rende indispensabile innanzitutto per la tutela dei fedeli, affinché non vengano tratti in inganno da culti o credenze devianti.

Se invece dall’esame dei fatti l’Autorità ecclesiastica giunge ad una conclusione favorevole, permette anche alcune manifestazioni pubbliche di culto o di devozione, proseguendo nel vigilare su di esse con grande prudenza.

La Nota preliminare chiarisce che ciò equivale alla formula «pro nunc nihil obstare» (per ora nulla si oppone), il che significa che, in mancanza di un divieto motivato, il culto o la devozione sono consentiti, ma si presterà però attenzione a che i fedeli non ritengano questo modo di agire come un’approvazione del carattere soprannaturale del fatto da parte della Chiesa.

In caso avverso, qualora la disamina dei fatti riveli la falsità delle apparizioni e delle conseguenti rivelazioni, l’Autorità competente può intervenire motu proprio; deve anzi farlo in circostanze gravi, per esempio per correggere o prevenire abusi nell’esercizio del culto e della devozione, per condannare dottrine erronee, per evitare pericoli di un misticismo falso o sconveniente, ecc..

L’Autorità ecclesiastica infine, alla luce del tempo trascorso – non quantificato peròe dell’esperienza, con speciale riguardo alla fecondità dei frutti spirituali generati dalla nuova devozione, può esprimere un giudizio ‘de veritate et supernaturalitate’, se il caso lo richiede.

Le Norme e la loro successiva Prefazione, stabiliscono quindi che in occasione di un presunto fatto soprannaturale, da cui nascono in modo quasi spontaneo tra i fedeli un culto o una qualche devozione, l’Autorità ecclesiastica competente ha il grave dovere di informarsi con tempestività e di procedere con cura ad un’indagine.

Non solo. La Sacra Congregazione può intervenire in qualsiasi momento, motu proprio, nei casi più gravi, in particolare quando il fatto coinvolge una consistente parte della Chiesa, sempre dopo aver consultato l’Ordinario e, se la situazione lo richiede, anche la Conferenza Episcopale.

Infine, la Sede Apostolica può intervenire anche direttamente in ragione della giurisdizione universale del Sommo Pontefice.

Venendo poi al caso specifico delle presunte apparizioni di Medjugorje, è indubbio che la Commissione nel formulare il proprio giudizio si sia attenuta alle norme che Benedetto XVI volle far pubblicare accompagnandole con un commento personale.

Valutando quindi tutti i pronunciamenti fin qui espressi e la loro tempistica, sembra fuori discussione che in ogni ordine e grado, sin dall’inizio delle apparizioni, l’autorità ecclesiastica abbia formalmente e fedelmente rispettato i dettati delle Norme, quali che siano poi le risultanze emerse nella sostanza.

 

Paola de Lillo