« Il naufragio di un governo » di Antonio Socci

Forse il poeta Cinquecentesco Francesco Berni prefigurava l’attuale esecutivo quando rappresentava umoristicamente quel cavaliere che, ricevuto un colpo che lo aveva diviso in due, non si era accorto di essere ormai deceduto e continuava ad agitare la spada: “Così colui, del colpo non accorto,/Andava combattendo ed era morto”.

Ad informare il governo ConteBis del suo trapasso, dopo il voto degli elettori umbri, ci hanno pensato varie voci significative. Anche considerando il disastro della legge di bilancio “tasse e manette” che ogni giorno viene stravolta e riscritta.

Rino Formica, famoso politico della prima repubblica, socialista e uomo di sinistra, in un’intervista di questi giorni, a proposito del fallimento del governo giallorosso, ha sentenziato: “Sono tutti rottamati o rottamabili. Qualsiasi cosa dovesse nascere da domani in poi nascerà senza e contro di loro. L’assenza di pensiero ha reso le classi dirigenti burocrati di nomenklature in estinzione”.

Poi, in un pessimismo cosmico, ha aggiunto: “Siamo in presenza di una decadenza e di un immiserimento della nostra classe dirigente da paura. Il problema non è se noi giochiamo un ruolo di secondo o di terzo piano sulla scena mondiale, il problema è: abbiamo un nostro pensiero sul futuro dell’Europa? Le nostre istituzioni, sfornite del pensiero politico, sono diventate sterili. Non pulsa il cuore, non funziona il cervello, come possono funzionare le gambe e le braccia?”

Formica, dopo aver approvato l’idea (attribuita al Quirinale) di sciogliere le Camere se cade questo governo, aggiunge una specie di appello a Mattarella, perché faccia “un quadro dello stato di salute del Paese davanti al Parlamento”, ma sarebbe più sensato dare la possibilità al Paese di pronunciarsi sullo stato di salute di questa classe politica.

Tanto allarmismo è motivato anche dal fatto che l’Unione europea, quella che ha voluto questo esecutivo (imponendolo di fatto agli italiani), è oggi piombata nel più totale caos perché sta crollando l’asse del potere incentrato sull’alleanza fra popolari, socialisti e liberali, quelli che volevano varare una “conventio ad excludendum” contro gli euroscettici di vario genere: lo dimostrano le elezioni (di diverso tipo) in Italia, Polonia, Ungheria e Germania.

Oggi sia il governo Merkel che la presidenza Macron, considerato da tanti “in caduta libera”, sono destabilizzati (in Francia anche dalla piazza e in Germania anche dai problemi economici).

Per non dire della nuova Commissione europea che è in alto mare, vittima delle clamorose bocciature dei Commissari (che riflettono il caos politico dilagante), tanto che non riuscirà ad insediarsi fino al 2020. In pratica l’Ue è paralizzata.

Tutto questo mentre la Gran Bretagna se ne sta andando da questo manicomio e Donald Trump, nei giorni scorsi, è intervenuto in favore della Brexit deplorando il fatto che Londra sia ancora “trattenuta dalla Ue”.

Nell’occasione – com’è noto – ha evocato a sorpresa l’Italia dicendo che “anche altri Paesi, l’Italia e altri, starebbero molto meglio senza l’Ue, francamente”, facendo balenare la possibilità di un rapporto forte con gli Stati Uniti.

Con ciò il famoso tweet su “Giuseppi” appare seppellito ed è un altro colpo al traballante esecutivo giallorosso senza la minima copertura internazionale (non avendo nemmeno quella nazionale, cioè il consenso degli italiani). A ciò si aggiunga la vicenda del Russiagate che è ancora tutta da chiarire e che comunque, a quanto pare, ha già scavato un fossato tra la Casa Bianca e Palazzo Chigi.

È evidente che in una simile tempesta perfetta, col mare grosso e minaccioso, Pd, M5S, Leu e Renzi appaiono come naufraghi disperati, senza bussola e senza aiuti, appesi a rottami di fortuna e in continua feroce lotta per la sopravvivenza fra loro (viveri e acqua stanno finendo).

Un briciolo di realismo e di cura per l’Italia, che non può essere abbandonata alle onde, dovrebbe indurre tutti – per ritrovare ordine e stabilità – a guardare con attenzione a quel centrodestra che ha dimostrato di essere maggioranza nel Paese (perfino nelle ex regioni rosse) e che continua a crescere nei sondaggi perché un’idea d’Italia ce l’ha.

È il saggio atteggiamento del card. Camillo Ruini, per tanti anni leader dei vescovi, stretto collaboratore di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

Ieri, in un’intervista al “Corriere della sera” che ha fatto molto clamore, ha dichiarato che la Chiesa deve dialogare con Salvini (“il dialogo con lui mi sembra doveroso”), cosa che ha scandalizzato tutti quei progressisti (e cattoprogressisti) che invece non si scandalizzano affatto quando papa Bergoglio “dialoga” con il regime comunista cinese, con il dittatore di Cuba o con il mondo islamico.

Ruini ha detto di Salvini: “penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé, e che però abbia bisogno di maturare sotto vari aspetti”. Considerazione, quest’ultima, che il leader del centrodestra dovrebbe accogliere come un prezioso e paterno consiglio: anche politico, oltreché umano.

Peraltro Ruini ha pure spezzato una lancia in favore di Salvini sul tema controverso del rosario, che aveva scatenato rancorose invettive clericoprogressiste: “Può essere (quella di Salvini) anche una reazione al ‘politicamente corretto’, e una maniera, pur poco felice, di affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico”.

Non si può certo dire che la grande apertura di credito di Ruini a Salvini rappresenti oggi l’orientamento della curia bergogliana, schieratissima a sinistra. Ma di certo Ruini rappresenta l’orientamento maggioritario del popolo cattolico. Lo ha fatto capire, sommessamente, il cardinale quando ha rilevato come “il cattolicesimo politico di sinistra, in Italia, abbia sempre meno rilevanza”.

Lo ha detto anche in riferimento al tracollo della Sinistra in Umbria dove pure era stata sostenuta fanaticamente dalle gerarchie clericali (mentre il popolo cattolico ha votato centrodestra).

Dunque Ruini rappresenta i sentimenti del popolo cattolico, non quelli dei vertici vaticani, ma anche dalla curia bergogliana pare arrivino segnali di scontento, per vari motivi, nei confronti del premier Conte e di questo governo.

Ciò non significa che Bergoglio e i suoi pasdaran accoglieranno l’invito di Ruini a dialogare con Salvini (in Vaticano prevale l’odio ideologico).

Tuttavia si può dire che un altro degli sponsor del governo giallorosso si è raffreddato e a questo punto non ne è rimasto più uno. Basta un piccolo raffreddore, come un incidente parlamentare, e l’esecutivo va a casa.

Infatti il ministro Dario Franceschini, capo delegazione del Pd, ha lanciato l’ennesimo altolà ai cosiddetti “alleati” di governo per spaventarli con la minaccia delle elezioni: “Repetita iuvant: il Governo Conte è l’ultimo di questa legislatura. Chi lo indebolisce con fibrillazioni, allusioni, retroscena di palazzo, fa il gioco della destra. Forse sarebbe ora di smetterla”.

Finora non si sapeva che fosse Franceschini ad avere il potere di sciogliere le Camere (nel Pd fanno una certa confusione fra partito e istituzioni). In ogni caso l’avvertimento (a Renzi e Di Maio) è pesante. Sono già alla resa del Conte.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 4 novembre 2019

 

Sito: “Lo Straniero”

Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale

Twitter: @Antonio Socci1