Il pellegrinaggio a Medugorje lascia il segno

Ne avevo sentite di tutte su Medugorje. Dal libro di Antonio Socci, alle trasmissioni Tv di Paolo Brosio, passando per lo scetticismo, per usare un eufemismo, di alcuni secondo i quali questi impostori bosniaci sono solo dei traditori dello spirito di Fatima al servizio – Consapevole? Inconsapevole? – di Satana. Ma è come quando siamo di fronte ad una tavola imbandita. Chiunque può raccontarti quanto siano buoni quei manicaretti o quanto male si mangi in quel ristorante: finché non assaggi, è difficile capire.

Personalmente sono ripartito da Medugorje con la pancia bella piena, dopo essermi messo a tavola, lo ammetto, con più di qualche dubbio. La mia via alla Fede, impervia, da ripercorrere ogni giorno, piena di ostacoli e inciampi, si è sempre nutrita di ingredienti razionali. Medugorje è stato un piatto di un sapore quasi ignoto, per me che ero stato a Lourdes quando ero un ragazzino; quel sapore di Soprannaturale che in una vita frenetica troppo spesso si è portati a trascurare. Un gusto fondato su alcuni ingredienti, se vogliamo anche semplici, che non possono che destare stupore.

Lo stupore di vedere quelle file ai confessionali, quelle migliaia di persone in adorazione di fronte al Santissimo Sacramento, quel popolo che assiste ogni giorno alla Santa Messa celebrata in più lingue.
La meraviglia delle vite dedicate al Signore – e quindi al prossimo – di persone consacrate, come suor Emmanuel e suor Cornelia, ma anche di uomini e donne laici, padri e madri, come i fondatori della Comunità Sollievo di Yahweh (http://www.missioniba.it/lacomunita), che vendono tutto quello che hanno e Lo seguono. Partono dall’Italia con due tende ed un Wc chimico e dopo due anni si ritrovano a guidare un centro di carità ai bisognosi riconosciuto a livello statale e capace di sfamare migliaia di persone. Mentre li ascolti raccontare la loro esperienza non puoi fare a meno di pensare che chi si aspetta “segni” – apparizioni, il Sole che gira, la statua che lacrima – dovrebbe riconoscere in questa umanità “trasfigurata” dall’Amore di Dio e per Dio le prime prove della presenza di Quello che cerca.

Molto gustosa si è rivelata anche la “fisicità” di certi gesti: recarsi a piedi alla collina delle apparizioni, laddove i veggenti videro per la prima volta e molte altre ancora la Madonna, raccogliersi in preghiera in ginocchio davanti alla statua che raffigura la nostra Madre; scalare il Krizevac, il monte dove nel 1933 i cittadini di Medugorje salirono per costruire la croce che ancor oggi è lì a ricordarci Chi e come ci ha salvato, arrivare lassù sudati e col fiatone e ancora ringraziare e offrire quella tua fatica per un’intenzione particolare. Sono gesti – questi descritti, come molti altri – che aiutano a riscoprire che anche il corpo chiede una disposizione particolare per la preghiera: la fatica, la ricerca del silenzio, il camminare verso, aiutano ad assumere il giusto atteggiamento spirituale.

Ultima, importante, corda pizzicata a Medugorje è quella della famiglia come fiamma che alimenta la Fede. A più riprese, diverse testimonianze ci hanno ricordato che la famiglia è la prima “comunità di preghiera”, dove far posto a Gesù e Sua Madre. Un’iniezione di coraggio e determinazione non da poco, per chi ogni giorno si trova a dover lottare con i ritmi serrati che lavoro, doveri matrimoniali e di genitore impongono. Dare il giusto peso, e quindi il giusto tempo e il giusto spazio, alle cose, è la strada verso un miglior rapporto con il Signore, Che esige attenzione.

Certo, in conclusione i più scettici e i maliziosi potrebbero chiedere: Medugorje ti ha cambiato la vita, sì o no? E aggiungere: molte delle cose che abbiamo sentito, le sappiamo trovare da soli, senza scomodarsi per andare in Bosnia. Ma se si crede che quanto elencato sia un buon distillato di vita cristiana, il fatto che a Medugorje si possa trovarlo rappresenta già uno di quei frutti da cui si può far discendere il giudizio sull’albero. E se dovessi rispondere alla prima domanda, potrei dire che il pellegrinaggio a Medugorje lascia il segno: si può continuare a cadere, ma aver vissuto quei giorni “diversi” è un buon ricordo e sostegno per ripartire.

Fonte: Libertà e Persona