Il picchio e la farfalla

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Autore: Maurizio Luigi BLONDET.

Domande imbarazzanti a cui il darwinismo non sa rispondere. Come può il picchio avere una lingua così lunga? E le farfalle le ali così belle? Bisogna ammettere l’esistenza di un progetto. E di un Creatore.

 Il picchio pone un problema imbarazzante agli evoluzionisti. Pochi sanno che questo minuscolo uccellino per catturare  gli insetti nascosti sotto la corteccia degli alberi, proietta una lingua di ben 15 centimetri. Ma come può, il piccolo volatile dei boschi, possedere una lingua lunga quanto il suo intero” corpo? Dove la tiene quando non la usa? ” La tiene arrotolata, come una fionda, attorno al collo. “Guardate il teschio di un picchio. Noterete due strani e sottilissimi ossicini, flessibili come molle. Sono le ossia ioidi, presenti in diversi animali per rafforzare la base della lingua, ma nel picchio sono straordinariamente modificate: due piccoli archi tesi per scoccare la lingua come una freccia.

Partono dalla destra del becco, girano attorno al cranio e si collegano alla sinistra del becco.
Può una simile stranezza essersi evoluta per “selezione naturale”? Sì Secondo la teoria evoluzionista, ogni passo evolutivo è causato dall’accumularsi di cambiamenti graduali, dovuti a casuali mutazioni, e poi conservati perché “utili” alla sopravvivenza dell’individuo.

Dunque, gli evoluzionisti ritengono che la strana lingua del picchio deve essersi “evoluta da un antenato che, come tutti gli altri uccelli, avrà avuto una lingua di misura normale. E qui, la prima difficoltà: la lingua del picchio parte dalla radice sinistra del becco e si protende non in avanti, come tutte le altre lingue, ma all’indietro, verso il cranio posteriore. Si ammetterà che una lingua rivolta all’indietro deve essere stata un grosso svantaggio per l’antenato presunto del picchio. Almeno fino a quando non sia divenuta tanto lunga da ricongiungersi al becco dopo un bel giro attorno al cranio, generazioni di uccelli devono aver digiunato.

 Questo se si ammette, come fanno i darwinisti di vecchia scuola, che sono stati necessari “piccoli graduali miglioramenti” per ottenere quello stupefacente apparato linguale: per migliaia d’anni, antenati del picchio si trovavano gravemente svantaggiati nell’alimentarsi. La difficoltà si può superare ammettendo, come fa il darwinismo di nuova scuola (Stephen J. Gould), che l’apparato linguale del picchio s’è sviluppato così in un colpo solo, in una gigantesca mega-mutazione. Ma allora, è necessario ammettere che è stato progettato così fin dall’inizio. Che è il frutto di un “progetto intelligente”: “intelligent design” è il nome della teoria antidarwinista che si va facendo strada nelle università-americane.

Ma ci sono casi ancora più comuni, che mettono in imbarazzo gli evoluzionisti. La farfalla, il noto lepidottero. Eccola svolazzare nel giardino. Fra poco deporrà le uova. Ma dalle uova, come sappiamo tutti, non esce una farfalla simile alla madre, bensì un bruco.

Due animali dotati dell’identico codice genetico, ma con due forme assolutamente diverse. L’elenco delle diversità morfologiche fa paura: il bruco striscia su sei paia di zampe, la farfalla ne ha tre. Il bruco dispone di una bocca che mastica foglie, la farfalla ha una proboscide con cui succhia nettare. Il bruco ha sei occhi semplici, la farfalla due occhi composti (come quelli delle mosche). Il bruco ha colori mimetici e, spesso il corpo coperto di setole che lo rendono disgustoso ai predatori. La farfalla che nascerà dal bruco, ha ali vistosissime (che attirano i predatori), un sistema nervoso, l’aerodinamica atta al volo, e organi sessuali, che al bruco mancano.

Quale vantaggio evolutivo hanno quelle ali sulla sopravvivenza della farfalla, perché la natura le abbia preferite al meraviglioso mimetismo del bruco?

La risposta è che le ali sono un richiamo sessuale. Ma in natura esistono miriadi di modi per attrarre sessualmente il partner, senza attirare anche i predatori.

Peggio: se, come ammettono i darwinisti, la forma originaria dei lepidotteri è il bruco (più “semplice”), e questo ha “imparato” a diventare la sofisticata farfalla per millenarie mutazioni, com’è che il bruco non ha apparato sessuale né riproduttivo? Come si sono riprodotti i presunti antenati e anelli di congiunzione?

Dovrebbero aver vissuto per milioni di anni senza sessualità. Oppure i primi bruchi avevano organi sessuali, e poi li hanno persi? Oppure la forma” originaria” è quella volante e più complessa, e ad essere derivato è invece il bruco, più semplificato? Oppure va ammesso, ed ecco dove il darwinismo cade, che l’intero DNA del lepidottero sia stato scritto fin dall’inizio così, e abbia previsto fin dall’inizio la meravigliosa metamorfosi.

 Di fatto, vediamo qui un progetto che – stiamo per dire volontariamente – ha separato due funzioni che negli altri animali sono congiunte. Il bruco non fa altro che nutrirsi. La farfalla, non altro che accoppiarsi. E’ un organo sessuale volante, una creatura destinata esclusivamente all’eros. Anzi, una metafora dell’amore-passione, Sarà per questo che la farfalla è bella, al punto di imitare i fiori, mentre il bruco non lo è? Che lei si nutre solo di nettare, cibo altamente simbolico degli amanti? E la vita della farfalla è breve come l’amore. Guidata da misteriosi segnali odorosi, la farfalla è capace di volare per decine di miglia al luogo dell’accoppiamento, cosa che il bruco ignora; e ci arriva volando su ali che sono attrattive vistose, ma anche pericolose per la sua sopravvivenza.

 E tutto questo sarebbe il risultato del cieco caso, della necessità?

Rispondetevi da soli, perché anche voi nella vita siete stati qualche volta farfalle, ossia innamorati.

E avete corso rischi pazzeschi per amore; non vivevate più per mangiare, ma v’inebriavate di nulla; e non vi importava di vivere o di morire, e vi guidava una bussola misteriosa verso il dolce convegno.

 Quel che il darwinimo non riesce a spiegare non è solo la lingua del picchio o la natura della farfalla, ma la fantasia che si mostra in tutto il vivente. Una fantasia non priva d’umorismo, sfarzosa inesauribile. Inoltre, fastosa, ossia “non funzionale”; un puro lusso: perché se come dicono i darwinisti la selezione ha dotato le lucciole di una lampada, in quanto sarebbe un vantaggio per la sopravvivenza, perché allora le zanzare (e infiniti altri insetti notturni) ne sarebbero privi?
Da non perdere

Si accresce costantemente il numero degli scienziati che, in base a risultati di nuovi studi e scoperte, denunciano il mito del darwinismo. Giovani paleontologi e matematici, genetisti e biologi molecolari, ormai apertamente critici del mito evoluzionista, contestano il concetto di selezione naturale e offrono all’attenzione di un pubblico sempre più vasto e attento alternative che vengono accolte anche nelle riviste scientifiche specializzate. Ciò accade soprattutto negli Stati Uniti. Purtroppo, questo straordinario dibattito, nel quale non mancano polemiche talvolta aspre, viene nascosto all’opinione pubblica italiana. Merito di Maurizio Blondet, con il suo “L’uccellosauro e altri animali. La catastrofe del darwinismo” è quello di avere raccolto i termini della questione e di informarci del fatto che le teorie di Darwin, mai verificate, sono decisamente superate da due nuove straordinarie concezioni: “progettazione intelligente” delle forme viventi e “complessità irriducibile” delle forme di vita ritenute “semplici” e “primitive” dal darwinismo. Si sta affermando con sempre maggior convinzione, in ambito strettamente scientifico, la consapevolezza che il mondo è frutto dell’azione creatrice di un essere intelligente e finalizzatore: Dio. Blondet se ne fa portavoce e per questa ragione il suo è un libro decisamente da non perdere.
Bibliografia
Maurizio Blondet, L’uccellosauro e altri animali. La catastrofe del darwinismo, Effedieffe, Milano 2002.

Mariano Artigas, Le frontiere dell’evoluzionismo, Ares, Milano 1993.

Pier Carlo Landucci, La verità sull’evoluzione e l’origine dell’uomo, Editrice “La Roccia”, Roma s.i.d.

IL TIMONE – Settembre/Ottobre 2002 (pag.48-49)