Il segno e la gioia – di Marco Tarquinio

Francesco. Ha un volto e un nome il nostro Papa. Jorge Mario Bergoglio, piemontese d’Argentina, pastore dolce e for­te nel continente più cattolico sulla faccia della Terra, nella realtà toccata nel profondo e da secoli dal Vangelo di Cristo e più ricca di contraddizioni e di spe­ranza. Papa Francesco. Venuto a Roma, «mi hanno preso» ha sus­surrato con il suo dolce accento – e in spagnolo preso significa an­che «portato in vincoli», carcera­to, proprio come Pietro – «dalla fine del mondo». Papa France­sco. Primo del suo nome, il no­me del santo più amato.

 

Primo non europeo. Primo tratto dalla famiglia religiosa dei gesuiti.

Primo a chiedere al suo popolo di pregare Dio per lui, prima di benedire da Vescovo e Padre il suo popolo. Primo a pregare e far pregare come atto inaugurale del pontificato per il suo predeces­sore che lo stava ascoltando: il «vescovo emerito di Roma» – co­me lo ha chiamato – Benedetto XVI.

 

Papa Francesco. Chiamato a Ro­ma, alla guida della Chiesa ma­dre e maestra, e a «presiedere nella carità» la Chiesa universa­le. Papa Francesco.

E quel nome l’abbiamo già sulle labbra e nel cuore. Con gioia, comprendendo il segno. Con la stessa felice consapevolezza con la quale tanti noi riuniti in piazza San Pietro, ieri sera, alle 19.06, mentre la fumata bianca riempiva il cielo sopra la Cappella Sistina, hanno anticipato nell’antica lingua di Roma e della Chiesa cattolica l’annuncio atteso: «Habemus Papam!».

 

L’attesa del Papa è stata breve, così come il distacco è stato lungo in questa rivoluzionaria e, infine, dolcissima successione sul soglio di Pietro. La scossa impressa alla Chiesa e al mondo (a questo nostro mondo che poco e nulla sembra ormai sapere del senso del limite) dalla scelta di Benedetto XVI ci ha ricordato con forza inaspettata che tutto è nelle mani del Signore e che chi lo ama di amore fedele è capace di tutto. Anche di una suprema e umile rinuncia. E della suprema e umile accettazione. In continuità semplice, comprensibile davvero a tutti, bellissima, rincuorante.

 

Questo tempo straordinario, con straordinarie voci di uomini di Dio e con le loro straordinarie scelte impreviste e imprevedibili per gli ‘esperti’, ci ha ricordato, e dimostrato che le categorie dominanti una certa modernità stentano davvero a narrare e a contenere un evento come quello cristiano, sempre sorprendente e in grado di rovesciare schemi e presunzioni.

 

Anche questa rapidissima elezione del «servo dei servi di Dio», del nuovo romano Pontefice, è stata veramente altro – e si è posta infinitamente più in alto – rispetto ai fatti delle cronache consuete e alle consuete cronache che le erano state dedicate e che debolezze e miserie di alcuni ‘servi infedeli’ avevano alimentato.

 

Lo scandalo della Chiesa è questo, è questa la sua scandalosa verità che rompe muri e apre speranze, della quale dobbiamo essere degni. Anche nello sguardo. Stretti, con fiducia e amore di figli, a Papa Francesco. ​

Marco Tarquinio

 

Fonte: Avvenire