Indignados o ignorantes?

14N è il nome dello sciopero generale europeo indetto per oggi (14 novembre, ndr) dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) e a cui, in Italia, ha aderito la CGIL. Saranno contentissimi quei milioni d’italiani che bivaccano su Facebook, tra i quali negli ultimi tempi si era diffusa la moda di condividere e diffondere in preda all’eccitazione le varie notizie di scontri di piazza, sommosse e occupazioni che avvengono in maniera più o meno spontanea all’estero, specialmente in quei Paesi europei particolarmente colpiti dalla crisi economica, come Grecia e Spagna.

Ad esempio, qualche settimana fa, in occasione degli scontri avvenuti a Madrid presso il Parlamento tra la folla e le forze dell’ordine, era tutto un esaltare gli indignati di turno, insultare gli “sbirri” e augurarsi eventi simili anche in Italia. Ogni tanto, si organizza anche qui qualche manifestazione, specialmente ora che è ricominciato l’anno scolastico e accademico, e gli studenti hanno voglia di qualche scampagnata per le strade della città.Scendono in piazza, inneggiano alla rivoluzione, e poi si lamentano per qualche manganellata, a riprova del fatto che la realtà dei fatti è differente rispetto ai loro ruggiti da tastiera.

Premettiamo però una cosa: le ragioni sociali, politiche ed economiche dietro a queste manifestazioni sono assolutamente valide. L’attuale crisi economica, diretta conseguenza degli eccessi di certo capitalismo, ha mostrato appieno che una costruzione istituzionale come l’Unione Europea, fondata su meccanismi meramente economici e burocratici, è instabile e fragile, oltre che espressione di un ceto dominante che non risponde agli interessi dei popoli del Continente.

La crisi ha messo in luce come, in nome di totem come la stabilità dei mercati o la competitività del lavoro, l’autonomia dei governi e la sovranità delle nazioni possano passare in secondo piano. Perciò i cittadini degli Stati più deboli devono affrontare sacrifici sociali immani, ad opera di giunte di tecnici neoliberisti, pur di rientrare nei parametri finanziari prestabiliti e garantire gli investimenti delle banche e aziende franco-tedesche. Si sta quindi progressivamente assistendo ad un’americanizzazione del tessuto sociale, diviso tra file di borghesi in coda per comprare il nuovo iPhone e file di proletari in coda alla mensa dei poveri. I principali partiti appoggiano questo statu quo, pur di mantenere i propri privilegi clientelistici. La situazione è indubbiamente tale da richiedere davvero una Rivoluzione.

Il problema che risalta subito però è la totale inadeguatezza di questi cosiddetti indignati di fronte alle opportunità, cui sono stati posti davanti. Non solo, infatti, sono figli legittimi di quello stesso moloch che vorrebbero abbattere, ma sono totalmente privi di strumenti atti a portare avanti questa lotta. Un qualsiasi confronto con i ribelli e i rivoluzionari degli ultimi due secoli –dai vandeani ai sandinisti, dai Freikorpsai pasdaran – è assolutamente impietoso. Manca la chiarezza d’idee, manca un progetto, manca una guida, soprattutto manca la determinazione.Vediamo ora sommariamente perché.

Innanzitutto, se parliamo di analisi, va detto che, se a destra gli intellettuali sono sempre stati poco ascoltati, a sinistra il metodo marxista, pur con tutti i suoi limiti, è stato abbandonato in favore del mito populista della Rete e dei social networks, su cui ognuno può dire la propria, e opinioni e analisi buone e cattive convivono e si accavallano in un caos anarcoide. Non ci sono più partiti politici, né quadri militanti, né assemblee di lavoratori e di cittadini, che discutano programmi, e facciano politica sul territorio.

Il risultato è una totale confusione nelle masse. Ai vari gruppi e circoli politici e culturali, eredi delle ideologie novecentesche, ormai un po’ troppo settari, ancorché non privi di buoni spunti e contributi, si vanno sostituendo movimenti di piazza fluidi e caotici. D’altra parte, se si analizza la composizione sociale di questi indignati, emerge chiaramente che molte di queste persone versano ancora in condizioni sociali e materiali discrete, quindi ben lungi dall’essere ridotte alla disperazione.

Con queste premesse, e quindi un’assoluta carenza di organizzazione e strategia, è evidente come da parte loro non ci si possano aspettare reali capacità di mettere in scacco l’attuale sistema politico-economico e di cambiare in meglio le cose. Anzi, le loro critiche sono spesso e volentieri deboli, inattendibili e incentrate su aspetti secondari. Le loro iniziative, non di rado portate avanti o sostenute da ONG finanziate da ricchi borghesi “filantropi” (es. Soros), si prestano particolarmente a farsi infiltrare, disinnescare o strumentalizzare dagli apparati repressivi dei vari Stati.

Già basterebbe questo, per negare loro ogni serietà, ma da cattolici dobbiamo muovere un’ulteriore critica, riguardante la relazione tra questi indignati e i principi non negoziabili. Come ci si poteva attendere, il loro individualismo e il loro populismo progressista li portano a misconoscere ogni superiore realtà spirituale e ogni idea di giustizia e di comunità. Per loro, la Chiesa Cattolica, ridotta a vaghe chiacchiere anticlericali sullo IOR, l’8xMille e gli anelli del Papa rappresenta solo uno dei tanti volti del “Potere”. Aborto, eutanasia, unioni omosessuali sono invece tutti “diritti” e “libertà” da conseguire e difendere.
Per completare il quadro generale, infine, a queste “idee” del tutto false e a queste azioni del tutto inefficaci, va aggiunta la prima cosa che balza all’occhio frequentando certe pagine o comunicati in rete: una forma espressiva, che è un misto di ignoranza, malafede, stupidità.

Andrea Virga

Fonte: Campari & De Maistre