Inferno o Paradiso? Siamo noi a decidere

Michelangelo,_Giudizio_UniversaleSempre di più si sta diffondendo fra i credenti l’errata convinzione che dopo la morte intervenga una benevola misericordia di Dio che abbuona i peccati commessi e assolve tutti senza distinzione, così che i Novissimi da quattro di fatto sono diventati due, Morte e Paradiso, parendo forse agli incauti che il Giudizio e l’Inferno non siano compatibili con la bontà di Dio.

In realtà le Sacre Scritture e le molte testimonianze di Santi e Dottori della Chiesa ci mostrano la drammatica verità della condizione miserevole dell’uomo di fronte ad un Dio, giudice della sua vita, pronto sì a perdonare, ma a certe condizioni ben precise.

Poiché qui si richiamano anche varie rivelazioni private, occorre premettere che se è vero che queste non possono aggiungere nulla alla Rivelazione di Cristo, che si è conclusa con la morte dell’ultimo Apostolo, tuttavia, come affermato dal card. Ratzinger nella premessa alla pubblicazione delle Norme per procedere al loro discernimento, “Una rivelazione privata può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non la si deve trascurare.”

Quando poi tali rivelazioni private sono riconducibili a mistici canonizzati dalla Chiesa e non contraddicono le Scritture possiamo accoglierle come provenienti veramente da Nostro Signore che con esse ha voluto farci chiarezza sulle verità della nostra fede.

Ciò posto, leggiamo nel Diario di Suor Faustina Kowalska quanto le riferì di se stesso Gesù: “Sono tre volte santo e il più piccolo peccato mi fa orrore … Non posso amare un’anima macchiata dal peccato, ma quando si pente, la Mia generosità non ha limiti verso di lei. Dì ai peccatori che nessuno sfuggirà alle Mie mani. Se fuggono davanti al Mio Cuore misericordioso, cadranno nelle mani della Mia giustizia.”

E’ però nel “Dialogo della Divina Provvidenza” di S. Caterina da Siena che scopriamo cosa avviene esattamente al momento della nostra morte. Infatti il Signore le fa conoscere che nel trapasso c’è un momento, pochi attimi prima che l’anima si stacchi dal corpo, in cui ognuno vede chiaramente il proprio stato e se una persona ha lasciato la vita di grazia per rotolarsi nei peccati, abbandonandosi alla sensualità e alla superbia fino a perdere completamente la coscienza della sua reale condizione spirituale, a quel punto subentra la disperazione della salvezza.

Se quell’anima avesse la capacità di pentirsi delle offese che ha arrecato al Creatore e invocasse la sua misericordia forse ancora potrebbe salvarsi, invece essa, rendendosi conto di meritare il castigo eterno, si dispera unicamente per la sua triste sorte ma, così facendo, offende maggiormente e ancora una volta Dio.

Infatti, anziché affliggersi per non aver corrisposto all’infinito amore di Nostro Signore e domandargli perdono e misericordia per le ingiustizie commesse nei suoi confronti, si addolora solamente per la punizione che comprende di meritare.

Tale superba disposizione dell’anima provoca la giustizia di Dio, che in quel momento la condanna alla dannazione eterna. Ma è pure essa stessa che, con il suo libero arbitrio “non aspetta nemmeno di essere giudicata bensì con disperazione e con odio si allontana da questa vita per raggiungere il luogo meritato, e ciò prima ancora che l’anima si stacchi dal corpo”

“Il disprezzo della misericordia divina è un peccato che non viene perdonato né in terra né in Cielo – spiega Dio a S. Caterina – cosicché lo reputo il più grave di tutti i peccati.” E continua affermando che per quanto riguardò Giuda tale peccato fu peggiore del suo tradimento.

Il motivo per cui un’anima, pur trovandosi in così grave pericolo, non è capace di affidarsi alla sua misericordia il Signore lo chiarisce a proposito dei sacerdoti infedeli, la cui fine è ugualmente drammatica perché, non essendo avvezzi a farvi ricorso, non sono capaci di invocarla, e solo quei pochi che vi riescono si salvano.

Nel trattato “Apparecchio alla morte” di S. Alfonso Maria de Liguori troviamo alcune considerazioni che avvalorano quanto riportato dalla Santa di Siena.

Si domanda egli infatti: “Ma i mondani, come mai vivendo tra’ peccati, tra’ piaceri terreni, e tra occasioni pericolose possono sperare una felice morte? Dio minaccia a’ peccatori che in morte lo cercheranno e non lo troveranno: «Quaeretis me, et non invenietis» (Is 55,6). Dice che allora sarà tempo non di misericordia, ma di vendetta. “Ego retribuam in tempore” (Dt 32,35).

E nel citare S. Giovanni, riguardo alle parole di Gesù Voi mi cercherete, e non mi troverete, ma morirete nel vostro peccato (Gv 8, 21-24), S. Alfonso commenta: “È vero che in qualunque ora si converte il peccatore Dio ha promesso di perdonarlo; ma non ha detto che il peccatore in morte si convertirà; anzi più volte si è protestato che chi vive in peccato, in peccato morirà. Ha detto che chi lo cercherà in morte, non lo troverà. Dunque bisogna cercare Dio, quando si può trovare: “Quaerite Dominum, dum inveniri potest” (Is 55,6).

Però, quasi a consolazione, aggiunge un pensiero di S. Geronimo: “Di centomila peccatori che si riducono sino alla morte a stare in peccato, appena uno in morte si salverà”

Non dà invece nessuna speranza S. Vincenzo Ferrerio il quale dichiara: “Sarebbe più miracolo che uno di questi tali si salvasse, che far risorgere un morto. Che dolore, che pentimento vuol concepirsi in morte da chi sino ad allora ha amato il peccato?”

Anche S. Paolo, nella lettera ai Galati, è dello stesso avviso: “Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna.”

Commenta S. Alfonso: “Sarebbe un burlare Dio vivere disprezzando le sue leggi, e poi raccoglierne premio e gloria eterna; ma Deus non irridetur”.

Sono molte e dettagliatamente esposte le terribili pene a cui vanno incontro i dannati, la prima delle quali è la privazione della vista del Signore, il cui volto nemmeno alla Resurrezione dei morti, quando Egli si presenterà in tutto il suo fulgore di Re e Giudice, potranno guardare se non in forma offuscata e tremenda, al contrario dei giusti, che a tale visione gloriosa esulteranno di gioia.

Altrettanto ben descritte sono le meraviglie che attendono in Cielo quelli che si salvano, come anche le gioie che vivono i beati in Paradiso, mentre coloro che sono arrivati dinnanzi a Dio in stato di grazia imperfetta otterranno la misericordia della purificazione in Purgatorio.

Conviene quindi star sempre pronti con le lampade accese per non imitare le vergini stolte (Mt 25, 1-12) affinché possiamo essere come quelli di cui nell’Apocalisse sta scritto “Beati i morti che muoiono nel Signore.” (Ap  14,13)

 

Paola de Lillo