L’Europa non vi piace? Andatevene

Il momento piagnisteo è arrivato. Lo stavamo aspettando ed eccolo qui, puntuale come le foglie che cadono in autunno. Apprendiamo da un paginone di Repubblica, che a sua volta riproduce un’inchiestona del New York Times, che le donne musulmane che vivono in Europa si sentono a disagio nel Vecchio Continente. Peggio, si sentono perseguitate, derise, insultate, rifiutate.

Dicono che vivere la quotidianità, da noi, sia una «lotta» molto faticosa. Beh certo, deve essere proprio terribile usufruire comodamente di tutte quelle libertà che in Iran, tanto per citare una delle democrazie liberali da cui le intervistate provengono, sono precluse. Deve essere frustrante aprire l’armadio, la mattina, e poter scegliere se indossare o meno il velo.

Deve essere insopportabile avere la facoltà di accendersi una sigaretta senza dar fuoco al burqa, bersi un cocktail o mangiare un gelato senza doverselo infilare da sotto quell’orrendo tabarro nero che spesso sfoggiano.

Si lamentano perché «costrette» a rendere pubblica la loro fede solo perché qualcuno fa qualche domanda sulla religione, quando spesso e volentieri fanno di tutto per ostentarla, in barba a noi povere babbane occidentali. Si lagnano perché in occidente il «comodo e pratico» burkini non viene compreso.

Ah, come siamo fuori moda. Hanno persino la sfortuna, che a noi occidentali è preclusa, guarda un po’, di entrare nei luoghi pubblici infagottate e irriconoscibili. E lo possono fare nello stesso Paese nel quale un comune mortale non musulmano, se deve entrare in posta al volo con in testa il casco del motorino, viene arrestato.

L’inchiesta/sondaggio è stata confezionata su un campione di mille musulmane che vivono nei paesi europei colpiti dall’ondata di terrorismo estivo.

La Francia in particolare, dunque, dove le polemiche sul burkini hanno inasprito, diciamo così, il conflitto “sociale” e religioso.

Scorrendo le risposte delle intervistate, prendiamo atto che anziché condannare l’altro sesso di casa propria che si fa saltare in aria in nome di Allah ad ogni piè sospinto o si diverte a giocare alla Jihad spararando all’impazzata contro folle inermi, se la prendono contro la stessa società colpita, la stessa cioè che le ospita senza se e senza ma.

Non fa una grinza, se vogliamo lasciare il buonsenso nell’armadio, insieme ai vestiti comprati e mai messi perché tanto c’è il burqa.

Ecco, sarebbe interessante capire come si sentirebbero a vivere nei loro paesi d’origine, dove, probabilmente, non potrebbero nemmeno aprire bocca. Dove la possibilità di girare senza velo non è nemmeno contemplata.

Dove bersi un bicchiere di vino la sera in un locale è un lusso per soli uomini.

Ma Souad dice che in Marocco c’è più libertà che in Italia. E per Mira integrarsi in Francia significa «rinunciare ai nostri principi e alla nostra religione». Per Karima in Francia c’è adirittura l’«apartheid».

E noi, poveri liberali, che abbiamo costruito moschee per garantire loro il diritto di culto. Noi che dibattiamo per mesi su come garantire la loro libertà nelle nostre città.

Nonostante il fondamentalismo islamico ci ripaghi con tutt’altra moneta.

Ha detto bene una delle intervistate, una ventitreenne studentessa di architettura a Tolosa: «Sto pensando seriamente di andare vivere da qualche altra parte…”.

E’ libera di fare anche questo, nessuno la trattiene.

Fonte: L’Intraprendente