L’interesse dei media per il caso Yara Gambirasio: un’ipotesi inquietante

Non si può sfuggirne: qualunque notiziario visivo, audio, cartaceo o digitale ha fra le notizie principali l’aggiornamento sull’omicidio della povera bambina scomparsa e poi ritrovata morta a Mapello, nome di località ormai familiare a tutti come il proprio indirizzo di casa. Tristissimo episodio di violenza su un’innocente, le cui modalità sono nient’affatto nuove né infrequenti.

Chi ha letto la biografia di Padre Pio forse ricorderà che da una fine del genere lui salvò una sua figlia spirituale, Cleonice Morcaldi, alla quale, profeticamente, proibì di accettare un molto ambìto incarico di insegnante presso una scuola situata nella sperduta campagna barese.

Al suo posto si recò una giovane maestra che fu violentata e uccisa da un individuo non identificato, come racconta il giornalista Renzo Allegri nel suo trittico sul santo di Pietralcina (I Miracoli, ed. Mondadori, pag. 228).

L’episodio avvenne ottanta anni fa e fu regolarmente riportato dai giornali locali, ma non gli fu dedicato nient’altro che una semplice cronaca dei fatti.

Né si può affermare che di giovani, o meno giovani, scomparsi e poi ritrovati morti non sia piena la cronaca nera italiana, ma nessuno ha avuto una risonanza mediatica di tale portata, infatti tutte le altre vicende consimili restano confinate in trasmissioni di approfondimento su episodi delittuosi attuali o pregressi.

 

E’ quindi di tutto diritto domandarsi come mai questo delitto abbia scatenato l’interesse dei media oltre ogni ragionevolezza e perché ognuno di noi debba essere perentoriamente aggiornato sugli sviluppi della vicenda, della quale viene indagato minuziosamente ogni aspetto, per quanto privato e delicato esso sia.

Proviamo quindi a fare delle ipotesi e, poiché tutto l’affare riguarda la cosiddetta “comunicazione”, andiamo a vedere quali possano essere le regole che spieghino tale inconsueto comportamento giornalistico.

 

Esistono delle scuole di pensiero, ormai accreditate, che studiano non solo le modalità di manipolazione delle informazioni da parte dei gruppi di potere ma anche le metodologie attraverso le quali questi gruppi attuano il controllo dell’opinione pubblica.

A questo proposito il filosofo e teorico della comunicazione statunitense Noam Chomsky, dopo lunghi ed approfonditi studi, ha individuato dieci regole per il controllo sociale, ovvero quella che lui ha definito la strategia della distrazione.

Riportiamo da Wikipedia. “Chomsky ha evidenziato la piattezza conformistica dei media. Il meccanismo attraverso cui si attua questo livellamento è costituito dalla fissazione delle priorità: esiste un certo numero di mezzi di informazione che determinano una sorta di struttura prioritaria delle notizie, alla quale i media minori devono più o meno adattarsi a causa della scarsità delle risorse a disposizione.

Le fonti primarie che fissano le priorità sono grandi società commerciali a redditività molto alta e, nella grande maggioranza, sono collegate a gruppi economici ancora più grandi. L’obiettivo è quello che Chomsky definisce come la fabbrica del consenso, ossia un sistema di propaganda estremamente efficace per il controllo e la manipolazione dell’opinione pubblica.”

Non solo. Secondo Chomsky, ricorrendo alla psicologia applicata, il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune meglio di quanto egli stesso si conosca e quindi  può mettere in campo i meccanismi di controllo dell’opinione pubblica con ampi margini di successo.

Egli ha così individuato dieci punti progressivi che consentano di raggiungere l’obiettivo prefissato, il primo dei quali è La strategia della distrazione.

Riportiamo integralmente dal sito psicologia.tesionline. “L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.

La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica.

Mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (il riferimento è a La fattoria degli animali di Orwell)”

 

Continuando con la nostra tesi, non che il caso della povera Yara sia insignificante, al contrario proprio l’identificazione con i protagonisti della vicenda, che esso induce in chi segue lo svolgersi degli eventi, può  favorire in modo egregio la strategia della distrazione da altre tematiche più complesse, dalle quali si vuole allontanare l’attenzione popolare.

 

Per capirne di più facciamo ricorso a Marcello Foa, giornalista e docente di giornalismo e comunicazione.

Foa, come già Noam Chomsky, rileva il livellamento dell’informazione da parte di tutti i media, per cui  i fatti riportati sono sempre e solo gli stessi  su qualunque testata, ma ne attribuisce la causa agli spin doctor.

Questi sono coloro che organizzano le campagne elettorali e che restano nel palazzo accanto al politico per continuare un’attività di comunicazione e, a suo dire, di manipolazione dell’informazione a vantaggio dell’eletto o del partito per cui ha prestato la sua opera.

Non possiamo qui esporre per intero le interessanti teorie di Foa, per cui rimandiamo ad una sua conferenza seguibile su youtube, ma certamente qualche dubbio anche lui ce l’ha sollevato.

 

Non abbiamo alcuna prova che il caso Gambirasio serva a distrarci da notizie che ci preoccuperebbero, come l’approvazione di norme sfavorevoli alle nostre finanze personali o al nostro sentire morale, né che si stia attuando nel nostro Paese la tecnica del Grande Fratello immaginata da Orwell nel suo libro 1984, in cui si narra di una società tenuta nell’ignoranza e nella menzogna dal sistema dominante, ma qualche domanda è doveroso porsela.

L’ipotesi fatta è inquietante, certamente, ma è poi vero che siamo tutti d’accordo nel voler conoscere morbosamente i particolari di un delitto odioso che già ci aveva sufficientemente angosciato al suo apparire, spingendoci fin a spiare nelle case e nelle vite altrui dal buco della serratura?

E’ questo veramente che il popolo italiano desidera? Oppure glielo si vuole imporre a tutti i costi?

 

Un fatto è certo: a dar retta al martellamento mediatico su questa vicenda, anziché dolerci per la povera Yara, rischiamo di finire tutti come ha ben rappresentato Norman Rockwell’s nel suo centratissimo “The Gossip”, il pettegolezzo. (Cliccare sull’immagine per gustarne i particolari)

 

Paola de Lillo