Luca Telese: «Grillo è un pifferaio di Hamelin, che si porta dietro i suoi topi»

«Si sente aria da Putsch di Monaco. Quando si inizia con le invettive contro  gli intellettuali, il “culturame”, agitando il complotto  pluto-giudaico-massonico per cui i servi sono schiavi del sistema, c’è puzza di  totalitarismo». A Luca Telese, direttore di Pubblico, Beppe Grillo non  piace. E sul vademecum in cui si parla della partecipazione ai talk show degli  eletti del M5S, partecipazione «fortemente sconsigliata, in futuro vietata» ha  le idee molto chiare: «Un editto ligure. Lo trovo gravissimo».


In passato Grillo è stato in tv, dimostrando di saper padroneggiare  il mezzo con competenza. Perché ora gioca di sottrazione, negando se stesso e il  suo Movimento al piccolo schermo?
È una strategia, quella della  presunta scomparsa, che è un altro elemento di integralismo. Si gioca su una  doppia garanzia: il leader che in televisione non ci va, e impedisce ai suoi di  andarci. È un’assenza presunta, perché, di fatto, tutti noi, per via di un  legittimo bisogno di dare informazioni, dobbiamo mandare in onda le immagini dei  suoi comizi. La nostra debolezza è quella di essere democratici. Di fatto siamo  accusati di essere “truppe cammellate” e “fate smemorine” da uno che si rifiuta  di rispondere alle domande. Come risultato finale Grillo è su tutti i media che  disprezza.

Sul blog del fondatore del M5S è apparso un pesante insulto  antisemita di un commentatore rivolto al conduttore Gad Lerner, poi rimosso da  Grillo. Il comico ha parlato di punto G, «quello che ti dà l’orgasmo nei salotti  dei talk show», in riferimento alla partecipazione del consigliere comunale di  Bologna Federica Salsi, che è stata ospite del programma di Floris. Questa  violenza verbale fa audience? Grillo non avrebbe dovuto  cancellare l’insulto a Lerner. Perché è un pifferraio di Hamelin che si  porta dietro i suoi topi. Chi ha insultato è un suo topo, e lui lo ha voluto.

Questa violenza ha un tratto nuovo, nemmeno Umberto Bossi parlava così. Tutta  l’iconografia leghista, per quanto oscena, si è sempre nascosta dietro a un  sorriso goliardico. Qui c’è il ghigno del dittatore di nicchia. Anche Berlusconi  ha utilizzato la retorica dell’invettiva contro il nemico. Ma mai con questo  turpiloquio compiaciuto e aggravato.


Un editoriale sul Guardian di oggi analizza il fenomeno  Grillo, e avverte: «L’antipolitica ha una lunga storia in Italia, risalente al  fascismo stesso». Un paragone azzeccato?
Sicuramente c’è un  sostrato culturale, su cui Grillo si è impiantato: una certa misantropia, unita  a un nichilismo da Ventennio. Si è così creata una piccola setta, che è feroce  con chi fa solo informazione. È un clima che francamente mi preoccupa. Le fatwe  contro i dissidenti, il modo in cui si fa terra bruciata attorno a chi  disobbedisce agli ordini: sono tutti segnali inquietanti, e anche  degradanti.

Grillo ha definito il cambiamento della legge elettorale un «colpo di  Stato», contestualmente ha smentito le voci che lo darebbero alleato al leader  dell’Idv per le prossime politiche. Come andrà a finire? Molto  dipenderà dalla legge elettorale. La cosa certa è che Di Pietro ha rottamato il  suo partito per riciclarlo, per renderlo “adottabile”. Tutto sta in un dettaglio  del cosiddetto “non statuto”, che rende impossibile qualunque alleanza con un  partito. Ma non con una lista.

Prima di fondare Pubblico, a luglio, lei aveva lamentato l’atteggiamento eccessivamente “grillino” del Fatto Quotidiano. Ora cos’è cambiato? Allora qualcuno  disse che stavo esagerando. Ora mi sembra che non ci siano più dubbi: quel  giornale è diventato un quotidiano di partito. Che si dedica, ed è una funzione  legittima, ad attaccare chi deve attaccare e a intervistare i possibili alleati.  A Servizio Pubblico Travaglio ha difeso l’editto di Grillo, sostenendo che chi  vuole fare di testa sua è liberissimo di farlo, a patto di non iscriversi al  Movimento Cinque Stelle e a nessun partito che abbia delle regole. Io difendo il  diritto di chiunque di aderire a un Movimento senza per questo dover rinunciare  a usare il cervello.

Chiara Sirianni

Fonte: Tempi.it