Ma questi non sanno neanche come sono fatti i bambini!

No, proprio non mi convincono le 68 pagine del documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, prodotto dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità. Le avevo lette appena divulgate e le ho rilette in questi giorni di pausa natalizia.

Leggevo e pensavo ai miei figli, ora maggiorenni, ai miei nipotini, ai figli piccoli delle mie amiche, ai miei studenti del biennio. E oggi che, festa dell’Epifania, la Chiesa festeggia l’infanzia missionaria, ho deciso di sputare il rospo.

Non è questo il modo di rapportarsi all’infanzia, avendo a cuore il bene (vero) e lo sviluppo armonico dei bambini e dei ragazzi che come genitori ed educatori abbiamo di fronte.

Non è questo il modo per affrontare un tema delicato come la sessualità. E non basta ripetere ogni due per tre l’aggettivo “olistico” per convincerci che l’operazione è buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza.

Leggevo, la prima e la seconda volta, e pensavo che saranno anche “esperti” quelli che hanno steso queste Linee guida (e non scendo nel dettaglio del numero di incontri, commissioni, Paesi coinvolti, o nei 18 mesi di lavoro…), ma la sensazione, nettissima, è che si tratti di teorici che bambini in carne ed ossa, e adolescenti, devono averli trovati solo nei libri.

Un esempio? Il documento indica gli standard raccomandati per l’educazione sessuale «adeguata in base all’età e allo sviluppo» e divide dunque le linee guida per fasce di età.

 

Nella tabella 0 – 4 anni, si legge che il bambino va guidato alla «gioia e piacere nel toccare il proprio corpo, (al)la masturbazione infantile precoce» o ad «esprimere i propri bisogni, desideri e limiti ad esempio nel “gioco del dottore”», ad esplorare le identità di genere e la nudità.

Un salto alla fascia di età 4 – 6 anni. Il piccolo approfondisce la conoscenza dei genitali, scopre «l’amore verso persone dello stesso sesso» e viene informato sulle diverse concezioni di famiglia ma anche su «gravidanza, nascita e neonati, fine vita» (sì, avete letto bene. Tra i 4 e i 6 anni.)

Tra i 6 e i 9 anni sarà edotto sui propri «diritti sessuali» ma anche sulla contraccezione.

Agli adolescenti dai 9-12 anni e oltre, dato che saranno già stati abbondantemente affrontati tutti gli altri argomenti fino alla nausea, si parlerà di «pianificazione familiare», «impatto della maternità in giovane età», «gravidanze anche in relazioni omosessuali», «prostituzione e pornografia», e, of course, saranno preparati a stare in guardia «dall’influenza della religione sulle decisioni riguardanti la sessualità».

Sono pochi esempi a campione, tratti pari pari dal testo OMS, e mentre leggete vi chiedo di pensare a bambini in carne ed ossa, delle età su nominate.

 

Avrete sentito che in alcune zone della Svizzera sono già state introdotte lezioni obbligatorie di sessualità nelle scuole dell’infanzia, munendo i maestri di un “sex-box” con peni di legno e vagine di peluche. Sareste contenti che a sperimentare questa ventina di righe di genialate fossero (stati) costretti i vostri figli? Io no.

Ma non è tutto. Oggi, giornata mondiale dell’infanzia missionaria, in punta di tastiera ho almeno un paio di altre riflessioni.
Nel testo OMS più volte si parla dei genitori e, se non fosse da piangere, fa sorridere chi, commentando il documento, sostiene che verrebbe data loro un’importanza fondamentale.

Da sempre la famiglia è stata il luogo della formazione affettiva e sessuale dei propri figli. Chi infatti, più di mamma e papà, conosce le caratteristiche dei propri figli, i tempi e le modalità per affrontare tematiche legate ad ambiti così delicati?

 

Qui si legge, testuale: «Per definire il curricolo dell’educazione sessuale è utile instaurare una qualche forma di collaborazione con i genitori, non solo per assicurarsi il necessario sostegno da parte loro, ma anche per garantire un’integrazione ottimale tra il loro ruolo informale e ruolo formale della scuola».

Piacerebbe sapere se questi incontri si sono tenuti o si terranno, ma la sensazione è invece che la ratio del documento sia scalzare i genitori che – ça va sans dire – «spesso non si sentono all’altezza del compito o provano imbarazzo a toccare l’argomento», e consegnare l’educazione sessuale totalmente nelle mani dello Stato, secondo queste regole “europee” calate dall’alto.

 

Il documento del resto è chiarissimo: il compito di sviluppare programmi e testi e di preparare gli insegnanti è tutto dei cosiddetti esperti. I genitori si adeguino.

Ed è così evidente che vogliono imporre gli standard a macchia d’olio, pervasivamente, con l’obiettivo di creare il nuovo cittadino europeo standardizzato e plasmato da questa ideologia pansessualista, che a pagina 14 si legge: «Quasi mai l’educazione sessuale è materia d’esame, sebbene possano esserlo alcuni aspetti perché sono stati integrati in una materia obbligatoria come ad esempio, biologia. Tuttavia, affinché riceva sufficiente attenzione, è importante che l’educazione sessuale debba essere materia d’esame».

Se avete tempo e voglia di contare quante volte, in queste 68 pagine, si cita il termine «genere» (identità di genere, ruoli di genere, equità di genere…) – «genere» che non si riferisce solo ai sessi “maschile” e “femminile” -, capirete che l’obiettivo vero è diffondere la teoria del gender nelle scuole, ed esaminarti a fine percorso. Controllo qualità.

E così, nel silenzio connivente di adulti che lasciano fare e sulla pelle (letteralmente) dei bambini – che poi sarebbero i nostri figli, il cerchio, anzi il baratro, si chiude.

Luisella Saro

 

articolo pubblicato su Cultura Cattolica