«Malati terminali, fatevi vivi – morti vi facciamo noi!»

«A. A. A. Cercasi malati terminali per ruolo da attore protagonista. Donne e uomini dai 18 anni in su. Anche prima esperienza. Se soffri di una grave malattia cronico-degenerativa e sei disponibile a interpretare uno spot per la legalizzazione dell’eutanasia contattaci. Associazione Luca Coscioni». Smascherati. Eccoli, i paladini dei diritti, gli angeli custodi della vita (ma solo quella degna-secondo-loro).

E’ questo il vero volto dell’umanitarismo prometeico, del filantropismo un tanto al chilo. Finalmente sono venuti allo scoperto. Gli uomini non sono tutti uguali, no. Le vite non sono degne tutte, no. Sei malato terminale, soffri di una patologia cronico-degenerativa? Non sei più uomo. Al massimo, roba buona per un reality, merce usa e getta.

«Eutanasia legale, scena prima. Dove sono i protagonisti? Fatti vivo!», dice una voce fuori campo. Cinismo radicale. Cosa aspettarsi, del resto, da chi va orgoglioso di aver aspirato feti (bambini) con una pompa da bicicletta… Ora pubblicizzano suicidi e omicidi come fossero detersivi biodegradabili. Costano poco e rispettano l’ecosistema.

Dobbiamo raccogliere firme perché l’eutanasia diventi finalmente legale. Vieni avanti, cretino, che sbattiamo in video il tuo dolore, la tua malattia, la tua vita indegna. Che il mondo vedendoti dica sì, finalmente, alla distruzione di massa. (In fondo – evviva la libertà di scelta! – chi non ha i suoi buoni motivi per pensare, ogni tanto, di farla finita…)

Entro in punta di piedi nelle case che so. Dove uomini e donne accudiscono con amore senza clamore i loro malati, le persone care affette da patologie cronico-degenerative. Loro no, non han diritto alle luci della ribalta: la croce della sofferenza, accolta e abbracciata con dignità dà fastidio. Rovina i piani. Sarebbe d’intralcio allo spot della disperazione, quella croce di sofferenza (che è dolore offerto), quel sì alla vita nonostante tutto. Scandalo. Segno di contraddizione. Preludio della Resurrezione. Vade retro.

E poi diciamocelo: quei malati feriti nel corpo e nella mente turbano la sensibilità di chi vorrebbe un mondo di corpi perfetti tonici atletici. Gente che funziona come una macchina. Ti sei inceppato? Non segui pedissequamente perfettamente le istruzioni? Prego, ecco la bara. Accomodati tua sponte. Consenziente. Legalmente. Noi non siamo assassini, ti vogliamo bene. Lo vedi? Fatti i provini, potresti risultare idoneo. La tua vita non vale niente ma un po’ di gloria non si nega a nessuno. Ti faremo diventare un vip. Very Important Person. Protagonista. Non della tua vita di schifo. Dello spot per la morte che ti meriti. Buona e giusta per te e per tutti.

(Certo che siete imbarazzantemente scomodi voi allettati, sofferenti, bisognosi di compagnia e di cure: ci ricordate che non possiamo controllare tutto. Che siamo fragili. Che alla faccia dell’indipendenza e dell’autodeterminazione talvolta dobbiamo chiedere aiuto. Ma noi non abbiamo tempo da perdere, soldi da spendere. E poi, la volete la verità vera? Un po’ di tempo per voi magari lo troveremmo. Anche un po’ di denaro. E’ che… non abbiamo parole da regalarvi, né affetto, né compagnia. Non abbiamo speranza. Nulla di quel che vi serve davvero perché dai nostri occhi traspaia che la vostra vita è degna sempre: anche malati, anche allettati, anche alle soglie della morte. La verità vera è che non sappiamo neanche per noi qual è lo scopo che rende degna la vita, ogni vita. Non sappiamo IL fine del nostro fare, anzi no, del nostro esserci. Sappiamo solo accelerare LA fine. Con uno spot).

Luisella Saro

Fonte: Cultura Cattolica