Messaggio di papa Francesco per la LII Giornata mondiale della pace.

In questi giorni il Vaticano ha reso pubblico il messaggio per la Giornata mondiale della pace 2019 (qui). E’ il discorso che i collaboratori del papa hanno preparato per l’occasione, infatti Francesco non è in grado di scrivere un testo del genere, lo si capisce sentendolo parlare a braccio. Si vuole credere che quando il pontefice è su un aereo l’alta quota non gli giovi e ciò per la difficoltà ad accettare che le sue osservazioni ed opinioni siano così dissimili da quanto ci si aspetterebbe dal Vicario di Cristo. La conferma arriva però nelle occasioni in cui sulla terraferma dà la stura al suo libero pensiero, emergono così inesorabilmente le sue carenze dialettiche e, quel che è peggio, la sua pochezza teologica e spirituale.

Tuttavia sicuramente  i suoi scrivani hanno prodotto quello che lui voleva che fosse comunicato al mondo.

Va ricordato innanzitutto che questa ricorrenza fu istituita da papa Paolo VI per esortare “tutti gli uomini di  buona volontà a celebrare “La Giornata della Pace“, in tutto il mondo, il primo giorno dell’anno civile 1° gennaio 1968.” E continuava: “Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa – all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo – che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire”

Da oltre cinquant’anni perciò ogni pontefice prepara un messaggio rivolto a tutte le Nazioni della terra per invitarle alla pace. Ovviamente, a seconda del momento storico e con lo stile proprio, ognuno di loro ha trattato l’argomento tenendo presenti sia le occorrenze umane che quelle spirituali.

Ma la differenza tra l’attuale messaggio di papa Francesco e quelli dei suoi predecessori è palesemente nel fine che si propone: emergono come primarie le esigenze materiali ed economiche dell’umanità e il richiamo che pur viene fatto alle Sacre Scritture è puramente strumentale allo scopo.

Secondo lo stile di papa Bergoglio nel discorso non mancano critiche ai politici e consigli d’autorità riguardo ai comportamenti etici da osservare e, come era da aspettarsi, la centralità delle argomentazioni verte sui migranti.

Come si è già detto, i pochi punti in cui sono citate le Sacre Scritture sono finalizzati all’effetto che il messaggio vuole ottenere. Ad esempio l’incipit con la citazione di Luca (10,5-6), quando Gesù dà la missione agli Apostoli, non pare adatto all’occasione: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi». Lì si parlava di quale dovesse essere la modalità di evangelizzazione per l’annuncio del Regno di Dio, qui si invita a stare in amicizia con tutti i popoli accogliendoli indiscriminatamente in nome di una carità generalista.

Tutti i popoli che entrano in contatto con i cristiani sono disposti a farsi evangelizzare? I fatti dicono di no.

E pure le altre due citazioni sui primi che devono farsi ultimi e sul Magnificat risultano delle forzature poco calzanti.

I precedenti pontefici si rivolgevano ai Capi delle Nazioni con questo spirito: “Ascoltate tutti l’umile appello del successore di Pietro che grida” (Giovanni Paolo II, 1° gennaio 2004) e ognuno si poneva come Vicario di Cristo attingendo a piene mani dalla ricchezza della fede e dalla tradizione della Chiesa, pur nella consapevolezza di rivolgersi a persone di varie etnie, culture e fedi.

Quello che manca completamente all’odierno messaggio è la spiritualità cristiana, il Nostro Dio posto come principio e fine della vita di ognuno, il richiamo a quel trascendente che aiuta e sostiene il cammino umano.

Perché le parole da sole non raggiungono nessuno scopo: Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla, ha detto Gesù. (Gv 15,5). Questo è il fulcro mancante di tutto il discorso, che potrebbe essere banalmente attribuibile a qualsiasi pacifista politicizzato.

 

Paola de Lillo