« Migrazione diritto assoluto. Il Vaticano “benedice” » di Anna Bono

Il “Patto globale per una emigrazione sicura, disciplinata e regolare” è stato adottato senza votazione, previa lettura, dai 164 paesi che hanno partecipato alla conferenza intergovernativa svoltasi il 10-11 dicembre a Marrakech. Il passo successivo, il 19 dicembre al Palazzo di Vetro, sarà l’adozione da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu di una risoluzione che lo approvi formalmente. Diversi paesi hanno rifiutato di aderire al Patto e non hanno partecipato alla conferenza. Anche l’Italia era assente. Il governo italiano ha infatti preferito affidare al parlamento la decisione se sottoscrivere o meno il Patto dopo averne esaminato e discusso i contenuti, in data da stabilire.

Presente alla conferenza con il Segretario di stato Pietro Parolin la Santa Sede, che all’Onu ha lo status di Osservatore permanente e in quanto tale può partecipare alle conferenze e prendere la parola, ha annunciato di aver già “avviato il processo per trovare i modi più efficaci con cui le istituzioni della Chiesa cattolica e le organizzazioni di ispirazione cattolica di tutto il mondo” possono utilizzare il Patto globale.

In realtà è difficile immaginare che cosa si possa fare grazie al Patto, che già non sia fattibile adesso: rispetto degli emigranti e dei loro diritti in quanto persone? Lotta alle organizzazioni criminali che gestiscono il contrabbando di emigranti? Contrasto della tratta che trasforma le vittime in schiavi?

Tutti i paesi membri dell’Onu dispongono dei mezzi per realizzare questi e tutti i 23 obiettivi e i 54 punti del documento e per coordinarsi e collaborare con altri stati se opportuno.

Il Patto globale è sostanzialmente una mera dichiarazione di intenti, di fatto superflua e operativamente inutile, per almeno due motivi fondamentali.

Il primo è che l’emigrazione è sì indubbiamente un fenomeno “globale”, fatto su cui insistono le dichiarazioni a favore del Patto, però solo nel senso che coinvolge persone e paesi di tutto il pianeta.

Stando ai rapporti più recenti, tra cui quello più inclusivo pubblicato nel 2018 dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, oggi gli emigranti sono circa un miliardo, un quarto dei quali all’estero.

Ma condizioni, modalità, incidenza, motivazioni, impatto e qualsiasi altro aspetto del fenomeno, paese per paese, persona per persona, sono tra i più vari e richiedono risposte altrettanto varie e variabili.

Il cancelliere Angela Merkel nella sua dichiarazione a Marrakech ha detto tra l’altro che le migrazioni sono un “fenomeno normale” e che “quando sono legali sono anche una cosa positiva”.

Un fenomeno “normale”, e inoltre per lo più legale, come in effetti si ricava dai dati, non dovrebbe quindi richiedere un forte, concertato impegno mondiale.

Eppure il cancelliere tedesco ha concluso dicendo che “la gestione di un fenomeno globale quale quello delle migrazioni non può essere affidato a paesi singoli, ma solo alla comunità internazionale nel suo insieme”.

Manca, nelle dichiarazioni di adesione,  un esempio concreto di come la comunità internazionale, ad esempio l’organismo più globale, le Nazioni Unite, possa far meglio del governo di un paese nel decidere come, quando e a chi concedere permessi di soggiorno per motivi di lavoro, per non parlare dei tempi necessari a sottoporre alla comunità internazionale le linee guida di un paese, di volta in volta aggiornate, in materia di immigrazione, attenderne richieste di chiarimenti e modifiche e infine riceverne approvazione.

Il secondo motivo per cui il Patto globale è in sostanza irrilevante richiede poche parole. Come altri documenti Onu, non è giuridicamente vincolante. Quindi in realtà è privo di valore concreto, persino in termini di mera dichiarazione di intenti.

In virtù dell’autorità morale che incarna, questi sono gli argomenti che si sperava di sentir esporre dal Cardinale Parolin, a motivare la sua partecipazione alla conferenza, e che replicasse al Segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres, che ha definito il Patto globale una “pietra miliare verso l’adozione di un approccio multilaterale al fenomeno migratorio” e “una road map per evitare sofferenze e caos”, dicendogli che sofferenze e caos non si eliminano con un inconsistente patto “globale”, ma con la crescita economica che diventa mezzo di sviluppo umano, con il rispetto delle leggi nazionali e internazionali, con la trasparenza e il buon governo.

Invece ha parlato di “sfide delle migrazioni” che se mal gestite producono crisi e allora “la retorica può eclissare la ragione e i migranti possono essere visti più come minacce che come fratelli e sorelle bisognosi di solidarietà e servizi di base”.

La risposta non è l’isolamento, ha aggiunto, tanto più adesso che “sempre più persone sono costrette da fattori avversi a lasciare le loro case”. Ciò porta spesso a viaggi involontari, insicuri e irregolari “che pongono i migranti e le loro famiglie in situazioni vulnerabili”.

Con queste parole il cardinale Parolin ha “benedetto” la funzione reale, latente, della conferenza internazionale organizzata dall’Onu e del documento proposto all’approvazione, funzione giustamente denunciata da chi non ha intenzione di sottoscriverlo: ridurre la sovranità degli stati, convincere l’opinione pubblica mondiale che emigrare è un diritto assoluto, un fenomeno sempre positivo in sé, a meno che non prevalgano egoismo, diffidenza e pregiudizi, annullare la distinzione tra emigranti economici e profughi e con essa irregolarità e clandestinità, imponendo un dovere di accoglienza anch’esso assoluto.

 

La Nuova Bussola Quotidiana