Per un inquadramento storico dell’Inquisizione

Molte mistificazioni sviluppate dalla “leggenda nera” Illuministica-massonica-marxista circondano le Inquisizioni. Gli storici le hanno sfatate. Ma resistono nell’immaginario collettivo. Facciamo chiarezza.

1. La “leggenda nera” dell’Inquisizione

La storia dell’Inquisizione può essere affrontata solo risolvendo preliminarmente il problema delle distorsioni interpretative che ne sono state date nel corso, in particolare, degli ultimi due secoli. Chi non ha occasione di svolgere studi specialistici, probabilmente non conosce l’Inquisizione, ma l’immagine distorta che di essa ci è stata tramandata dalla sua “leggenda nera”, che romanzi, film e saggi storiograficamente discutibili continuano a diffondere. Leggenda che nasce quando i ribelli olandesi protestanti dei Paesi Bassi spagnoli, sollevandosi contro l’imperatore Filippo II, iniziano a inondare l’Europa con valanghe di libelli, opuscoli e manifesti che presentano la Chiesa Cattolica, e in particolare il tribunale dell’Inquisizione, come un’istituzione capace di ogni barbarie.

Lo scopo di questa pubblicistica è suscitare la solidarietà dei Paesi protestanti con la causa dei rivoltosi olandesi. La “leggenda nera” conosce poi un ulteriore sviluppo quando Voltaire (nella cui corrispondenza con il re di Prussia Federico II l’espressione “schiacciate l’infame!”, cioè la Chiesa Cattolica, ricorre circa 150 volte) e gli illuministi utilizzano il tribunale inquisitoriale come simbolo dell’oscurantismo e dell’intolleranza clericale.

Nell’Ottocento, liberali e massoni si sono sbizzarriti nello stesso esercizio: alterare la realtà storica e celebrare le “vittime” dell’Inquisizione (è il massone Francesco Crispi a permettere la costruzione del monumento a Giordano Bruno in piazza Campo de’ Fiori a Roma) trasformandoli in martiri del libero pensiero. Infine nel Novecento, alla massoneria si è unita, nell’utilizzo ideologico e anticattolico della storia dell’Inquisizione, la storiografia marxista. In tutti i casi ricordati la semplificazione più grave è quella che confonde le varie tipologie di tribunali inquisitoriali, presentandole come espressione di un’unica istituzione. Converrà dunque partire dalla distinzione fra le inquisizioni: medioevale, spagnola, romana.

2. L’inquisizione medioevale

La prima tipologia di Inquisizione è quella medioevale. Per capirla bisogna ricordare che, a partire dalla rinascita dell’XI-XII sec., l’urbanesimo aveva conosciuto in Italia, in Provenza e in altre regioni europee un rinnovato rigoglio. Con la ripresa economica e sociale della città fa la sua comparsa sulla scena una nuova classe sociale: la borghesia.

Composta per lo più da commercianti, da artigiani e piccoli industriali, da cambiavalute, questa classe sociale dinamica e intraprendente impara spesso a leggere e a scrivere per necessità lavorative e viaggia in regioni lontane per esigenze legate ai traffici e alle fiere; alcuni borghesi alfabetizzati iniziano a leggere e interpretare le Sacre Scritture senza conoscere né la Tradizione, né il Magistero: non a caso il fondatore del movimento valdese è un mercante. In questo clima nascono numerosissime eresie, che a partire da questi anni scuoteranno l’Europa cristiana, fino all’esplosione della Riforma protestante, che tutte le riassume.

Le eresie medioevali sono in qualche modo una novità: dopo il grande scontro iniziale con la gnosi cristiana e con le eresie ariana e monofisita (per citare le più importanti), la Chiesa cattolica aveva attraversato secoli di relativa calma, dove il problema più importante era stato riuscire a evitare un assoggettamento al potere imperiale e temporale durante la lotta per le investiture. Il nemico era esterno alla Cristianità: i popoli barbari ancora pagani, gli slavi a Est, i normanni a Nord, i saraceni e i turchi che insidiano dal Mediterraneo.

La compattezza dottrinale non era stata messa in pericolo gravemente fino a che non compare sulla scena una setta forse di origine orientale, che viene chiamata in molti modi, il più celebre dei quali è quello di “catari”.

Portatore di una dottrina dal carattere manicheo, che prevede il rifiuto della generazione e del matrimonio, il suicidio (l’endura), il rifiuto del potere costituito e dei giuramenti di fedeltà, numerosi eccessi sia nelle pratiche ascetiche, che nella sfera sessuale, il catarismo si presenta come eresia dalla forte carica sovversiva anche sul piano politico e sociale.
Il popolo e le autorità temporali spesso intervengono in modo arbitrario colpendo anche innocenti, o non riuscendo a distinguere con precisione eretici e non.

Gli eccessi numerosi spingono la Chiesa a istituire un suo tribunale in grado di applicare procedure regolari e di tutelare chi non ha colpe o è caduto per ingenuità, senza consapevolezza.

L’eretico inoltre diffonde l’errore, e la Chiesa sente la responsabilità di tutelare le anime che potrebbero essere traviate (nessuno si stupisce del resto se oggi lo Stato persegue dei terroristi o altri crimini che si presume attentino alla sua integrità o ai suoi valori). Dopo un intenso dibattito teologico si giunge a stabilire (come già in base all’antico Codice di Giustiniano, che funge da modello) la liceità della pena del fuoco per gli eretici convinti e relapsi (ovvero ricaduti nella stessa eresia dopo essere tornati una prima volta nel cattolicesimo).

L’anno di nascita ufficiale dell’Inquisizione medioevale è il 1233, quando Gregorio IX affida ai Domenicani il compito di “legati pontifici” preposti al Tribunale inquisitoriale: autonomi rispetto ai vescovi, senza interessi locali, imparziali, teologicamente preparati, capaci di una vita ascetica profonda e intensa, i frati predicatori, e più tardi i Francescani, mostrano di saper gestire con equilibrio la situazione.

L’eresia catara viene domata ed estirpata pressoché totalmente. Contrariamente alla giustizia penale secolare, caratterizzata da arbitrii e violenze ingiustificati, il tribunale inquisitoriale è assoggettato a precise norme procedurali, che tutelano l’inquisito e prevedono un processo e punizioni anche molto dure per i giudici che eccedono.

A testimonianza del suo equilibrio e della sua mitezza basti pensare che nella seconda metà del XIII secolo solo 1,1 % dei processi si chiude con la pena capitale; il 15% si chiude con la confisca dei beni. Vengono messi a punto manuali per l’inquisitore che limitino gli arbitrii, questionari con elenchi di domande obbligatorie. Si stabiliscono precisi confini all’uso della tortura (a differenza di quanto avveniva nella ben più spietata e anarchica giustizia secolare), che non può durare più di mezz’ora, è applicata solo in casi particolari, e non deve ledere fisicamente l’inquisito, permettendogli di tornare a una vita lavorativa normale.

Ben presto diviene prassi consolidata quella di tenere verbali abbastanza fedeli di tutto il processo inquisitoriale, un processo in genere rapido ed efficiente (nella consapevolezza che una procedura lunga poteva essere gravemente infamante per un accusato rivelatosi poi innocente). Ci si muove solo sulla base di almeno due testimonianze affidabili, vagliate con severità e prevedendo pene severissime per chi avesse testimoniato il falso.

Tutte innovazioni che saranno di straordinario impulso nella crescita del diritto penale anche secolare, lontanissimo all’inizio anche solo dall’idea di una tutela dell’inquisito. I tribunali medioevali operano con poche risorse finanziarie e pochi addetti, osteggiati dai vescovi e dai poteri locali, e non di rado vittime di attentati, rappresaglie e assassini, come nel caso di Pietro da Verona.

Nel corso del XIV secolo, vinte le battaglie contro le eresie di inizio millennio, il tribunale langue, con una attività ridottasi fino alla sua scomparsa quasi totale.

3. L’Inquisizione spagnola

Nell’immaginario collettivo Inquisizione e Inquisizione spagnola si sovrappongono: le efferatezze della seconda – quando e se vi furono – diventano le efferatezze della prima. Pochi errori sono più gravi. Infatti fu il re di un paese faticosamente avviatosi all’unificazione dopo la reconquista a chiedere insistentemente al Papa di avere in Spagna un tribunale inquisitoriale, che Sisto IV infine accordò il1 o novembre 1478.

Ma fin dall’inizio più che un organo della Chiesa fu uno strumento del neonato Stato spagnolo, utilizzato per consolidare sul piano etnico, religioso e ideologico un paese pieno di religioni, razze e tradizioni diverse, in un’epoca in cui non era pensabile un’unità politica non fondata sull’unità delle fede. Il Papa in teoria poteva nominare e deporre l’Inquisitore generale, che di fatto veniva scelto e controllato dal monarca.

La lotta, a partire dal 1492, per la conversione degli ebrei, che costituivano una percentuale saliente della popolazione (in alcune regioni raggiungevano il 30% degli abitanti), posti di fronte all’alternativa fra la conversione o l’esilio; il controllo dei conversos, sospettati, in alcuni casi a ragione, di essere dei marrani, ovvero di aver mantenuto segretamente pratiche e riti giudaizzanti; la lotta per la conversione forzata o l’espulsione dei moriscos a partire dal 1540 sono state le principali attività della Suprema.

Dopo il Concilio di Trento, l’Inquisizione spagnola si concentrò su mancanze gravi del clero e dedicherà molti sforzi a moralizzare i costumi sessuali (cosa benemerita se si pensa che gli studi più aggiornati attestano che la maggioranza della popolazione della Castiglia riteneva, verso il 1560, che fosse lecito unirsi ad una nubile consenziente).

Un’istituzione sanguinaria quella spagnola? Non pare se è vero che lo storico Henningsen, processando con un computer i dati riferiti a circa 50.000 processi, ha identificato una percentuale di condanne a morte (espressione oltre tutto che non sempre si traduceva nell’effettiva esecuzione) pari all’1,9%. A Toledo un terzo degli imputati del XVII secolo è rilasciato senza alcuna sanzione dopo il processo.

I due terzi di tutti coloro che furono sottoposti a tortura (assai pochi, peraltro) resistettero alla prova: e ciò comprova la relativa mitezza del tormento, che non aveva nulla a che fare con la barbarie della tortura moderna. Inoltre, sempre dall’analisi dei processi svoltosi a Toledo si evince un dato impressionante, ovvero che 9 denunce su 10 non davano inizio ad alcun processo, tanta era la prudenza e la correttezza degli inquisitori prima di iniziare un procedimento che aveva in ogni caso gravi conseguenze.

Per tutto l’Impero spagnolo, Paesi Bassi e Americhe incluse, operano 300 funzionari stabili più 300 part-time, un pugno di uomini, ma capace comunque di risparmiare alla Spagna la diffusione del Protestantesimo e delle guerre di religione che insanguineranno la Francia.

4. Il Sant’Uffizio Romano

Il terzo tipo di Inquisizione è quella rappresentata dal Sant’Uffizio romano, istituito da Papa Paolo III nel 1542 con la bolla Licet ab indio, come tentativo di riportare in vita e aggiornare l’antica Inquisizione medioevale. Il nemico è adesso il Protestantesimo in tutte le sue forme. Il Sant’Uffizio sulla carta dovrebbe controllare tutta la Chiesa Cattolica senza esclusione di Stati o territori, ma di fatto opera soprattutto nella penisola italiana, e più precisamente nello Stato pontificio e nei piccoli regni e ducati politicamente meno forti e autonomi. Già Venezia la limita e la ostacola, al di fuori dell’Italia praticamente non può operare, trovando sulla sua strada un avversario insuperabile: lo Stato moderno con le sue pretese gallicane di controllo della Chiesa.

Studiando la struttura dell’Inquisizione romana, John Tedeschi, il più lucido e aggiornato storico del tema, sottolinea l’incredibile modernità delle procedure adottate.

Qualche esempio eloquente: il diritto dell’imputato ad avere un avvocato difensore, scelto fra tre da lui proposti; l”’avvocato d’ufficio” pagato dal tribunale per chi versa in condizioni di povertà; la traduzione degli atti processuali in volgare e la loro fornitura in copia all’inquisito, perché possa difendersi studiando bene i documenti d’accusa; la prudenza estrema nell’arrestare e nel carcerare; la clemenza verso chi si denunciava sua spante; la severità incredibile nel vagliare e scartare le testimonianze accusatorie; la possibilità di contestare e contro-interrogare i testimoni dell’accusa: tutte norme che il diritto penale secolare introdurrà molto tempo dopo, e che la laica e liberale Inghilterra, ad esempio, incomincerà ad adottare solo nei primi decenni dell’Ottocento. Infine non si possono non menzionare le condizioni carcerarie quasi confortevoli (è una tesi ben dimostrata da Luigi Firpo, che ricorda il cambio delle lenzuola ogni settimana, la possibilità di avere vino o birra, capi di vestiario personalizzati, celle spaziose e luminose, libri e testi utili a difendersi e a redigere memorie a propria discolpa).

Dunque, considerando tutto l’insieme al di fuori del macabro alone di mistificazioni sviluppato dalla “leggenda nera” illuministica-massonica-marxista, non è temerario affermare che l’Inquisizione romana ha rappresentato, nel fosco quadro della giustizia europea dal XVI al XVIII secolo, una vera e propria oasi di modernità, di rispetto dell’imputato, di rigore procedurale, di trasparenza e di correttezza fra organi periferici e organo centrale di controllo, di geniale anticipazione di norme “garantiste” che la giustizia laica raggiungerà solo molto più tardi. Conferma questo quadro un dato poco citato dai manuali di storia: dal 1542 al 1761 le condanne a morte emesse dal Sant’Uffizio sono state presumibilmente 97! Una media di 1 condannato a morte ogni 26 mesi!

INQUISIZIONE

“Sostengo in questi saggi che l’Inquisizione non fu un tribunale arbitrario, un tunnel degli orrori o un labirinto giudiziario da cui era impossibile uscire. La Suprema Congregazione romana vigilava sui tribunali provinciali; imponeva la puntuale applicazione di quella che, per l’epoca, era una legislazione improntata a moderazione, e mirava all’uniformità dei processi”.
(John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Vita e pensiero, p. 17).

Fonte: IL TIMONEN. 23 – ANNO V – Gennaio/Febbraio 2003 – pag. 32 – 34 – Dossier: Inquisizione: oltre la leggenda nera