Preti nella rete

Ora sembra proprio che il mondo di internet sia «invaso» dai preti. Sembra che per essere nella realtà sia necessario avere un sito, un blog, un account su twitter o su facebook. E così i commenti e le riflessioni abbondano. Questo dà l’impressione che la voce cattolica sia presente e che si possa fare della rete un luogo per annunciare la fede.

 

Ma è proprio così? Spesso ripenso alla mia esperienza in rete, e agli anni passati con questo strumento, quando abbonati a internet (sì, perché si pagava, e abbastanza, per essere in rete – il provider aveva di solito tariffe abbastanza alte – e quando ci si collegava con le BBS allora la bolletta lievitava in modo spaventoso) abbonati, dicevo, eravamo in qualche migliaio in Italia. Già all’epoca, facendo il paragone con i tanti bollettini parrocchiali o diocesani, mi chiedevo quale incidenza potessimo avere sulla mentalità «mondana».

Ricordo quello che mi raccontava un amico missionario (che ora è Vescovo in Brasile) a proposito del cammino di fede che cercava di realizzare, andando giorni e giorni in sperduti villaggi, mettendo in reale pericolo la sua vita. Dopo, tornando a visitare quelle comunità nella foresta, trovava tutto il villaggio attorno a una radio accesa, che diffondeva musica e mentalità opposte a quelle che, con impegno fedele, il cristianesimo aveva tentato di comunicare.

Talvolta mi sembra che i nostri sforzi in internet abbiano lo stesso esito. Tanto tempo dedicato, tante parole e poi, in un soffio, un articolo o una pagina (non verificata, non motivata, non approfondita…) vanifica tutto. Che ne è dei nostri siti, dei nostri tweet, dei nostri blog? Fanno notizia, sì, perché un prete che è in internet ancora fa notizia. Ma fa mentalità? Fa cultura? Incide sul costume del nostro popolo? Ai tempi della legge 40 è sembrato che il «nostro» mondo avesse più forza di tutta la carta stampata di Repubblica, del Corriere… ma poi è finito tutto, e sembra che non ci sia più un giudizio cattolico in rete.

Perché quella incidenza, prima, e questo vuoto ora? A me pare che nel caso della legge 40 si è stati capaci da un lato di toccare il cuore del problema, di essere la voce di una esperienza di popolo che non si poteva riconoscere nella «voce del padrone». Un po’ forse come l’«intellettuale organico» di gramsciana memoria, colui che sapeva leggere e indirizzare il bisogno reale e concreto dell’uomo. Una voce «autorevole» nel senso originale della parola.

E poi c’è stata la grande esperienza dell’unità, tra le persone e i siti, in sintonia col magistero della Chiesa. Fattori, questi, che sembrano mancare nella presenza cattolica oggi in rete, sia perché chi comunica sembra non essere parte di un popolo, ma solo espressione di sé, ma anche per quella sorta di autoreferenzialità dei siti, che si esprime in una sorta di gelosia, per cui non si è affatto in «rete». Tanti singoli, gelosi e in qualche modo incapaci di pensarsi come una realtà con un compito comune.

In rete, da cattolici, lo si deve essere per la «cattolicità» che si esprime (nei modi che tante volte ho indicato con le parole di Giovanni Paolo II – «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» – e di Romano Guardini – «La Chiesa è l’intera realtà veduta, valutata, vissuta, dall’uomo totale. In lei soltanto c’è la totalità dell’essere; ciò che nell’essere è grande e ciò che è piccolo, la sua profondità e la sua superficie, la nobiltà e l’insufficienza, la miseria e la forza, lo straordinario e il quotidiano, l’armonia e la disarmonia. Tutti i beni nella loro graduatoria, conosciuti, affermati, valutati, vissuti. E non dal punto di vista di una individualità parziale, ma dell’umano integrale. La totalità del reale, vissuta e dominata dalla totalità dell’umano: ecco, vista da questo lato, la chiesa»).

Essere cattolici non può essere una sorta di etichetta; può solo essere la caratteristica di chi vive nella rete amando la missione della Chiesa.

Don Gabriele Mangiarotti

 

Fonte: Cultura Cattolica