Quel cortile che non mi ha convinto

Va’ fuori per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, affinché la mia casa sia piena” (Luca 14:23)
Parlar “male” delle iniziative di un Principe della Chiesa è sempre impresa ardua. Si rischia di passare per una macchietta tradizionalista, per il rompiscatole perennemente insoddisfatto. Se poi il cardinale che promuove l’iniziativa è Gianfranco Ravasi, “ministro della cultura” di papa Benedetto, l’impresa da ardua si rende quasi impossibile.

Sua Eminenza è infatti ormai il porporato più à la page di tutto il Sacro Collegio: scrive sui giornali che contano (“non hai letto il pezzo di Ravasi sul Sole 24 Ore di domenica?! Sei così ooout!”), è uno stimato intellettuale e presiede “Il Cortile dei Gentili”, «uno spazio di confronto e dialogo» tra credenti e non credenti nato «allo scopo di creare dialogo e percorsi differenti per pensare il circostante» (senza contare che la supercazzola prematurata ha perso i contatti col tarapìa tapiòco, aggiungerei).

Come intuibile dal titolo del post, e fatto salvo il rispetto dovuto a Ravasi per il ruolo che ricopre all’interno della Chiesa, è proprio quest’ultima l’iniziativa che mi ha fatto a dir poco storcere il naso. Il Cortile incarna infatti, in ogni suo aspetto, una fuorviante idea di dialogo consistente nell’assecondare il prossimo nella pratica dell’errore, piuttosto che nel ricordargli caritatevolmente quale sia l’unica (sicuramente scomoda) Verità salvifica.

Tale approccio serpeggia da decenni in ambito ecclesiastico, ma in questa circostanza gli è stata attribuita un’aura di solennità e intangibilità proveniente dal calibro dei protagonisti dei singoli “cortili”: Ravasi da una parte e gli intellettuali non credenti dall’altra.

L’iniziativa, teoricamente lodevole, incontra dei limiti a mio avviso insormontabili, poiché gli intellettuali scelti per il dialogo col mondo cattolico non sembrano affatto essere personalità “amiche della Chiesa” o con cui condividere un orizzonte valoriale simile, (chiamateli atei devoti, o come vi pare) ma – spesse volte – personalità con dietro le spalle storie, culture e ideologie del tutto avulse (nella migliore delle ipotesi) da ogni tradizione cristiana. Idee, oltretutto, mai rinnegate.
Dalla Camusso a Napolitano, da Zagrebelsky a Galimberti, (passando per Veronesi) durante l’ultimo Cortile, svoltosi ad Assisi il 5 ottobre scorso, sembrava quindi di stare più al Palasharp di Milano che nella città del Poverello. Si è parlato praticamente di tutto ciò che l’Italia “che legge Kant” prima di andare a nanna (dopo il sermone di Saviano) ama ascoltare: ovvero che bisogna pagare le tasse, che dobbiamo fare i bravi, che la legalità è un valore ecc. Unici non pervenuti: Gesù Cristo e i valori non negoziabili.
Certo, se la Chiesa nel corso della sua storia bimillenaria si fosse rifiutata di “dialogare” anche con i suoi avversari (perché di avversari si trattava, ieri e oggi) avrebbe forse la metà dei santi che leggiamo oggi sul calendario. Anzi, forse non sarebbe neanche nata, vista la predilezione del suo Divin Fondatore per i peccatori. Ma quello era tutt’altro tipo di “dialogo”, se proprio così lo vogliamo definire: un dialogo che non assecondava l’errore ma che, con le armi della carità e della fermezza, indicava al nemico la Via, la Verità e la Vita.
Ad Assisi, come scritto tempo fa Fabrizio Cannone in occasione del “Cortile” di Stoccolma, non si sarà invece rischiato «di mettere tra parentesi la fede e la verità, nel tentativo di non dispiacere alla controparte?».