Quel Solzenicyn che cambiò la mia vita, che parla oggi alla Chiesa e che “Repubblica” crede inedito – di Antonio Socci

solzhenitsynLa “Repubblica” o la “Ripubblica”? Ieri mattina la prima pagina del quotidiano romano lanciava trionfalmente “L’inedito” e la firma era, nientemeno, di Aleksandr Solgenitsyn, l’eroica voce del popolo russo contro la tirannia comunista, l’autore di “Arcipelago Gulag”. Mi sono precipitato a leggere, ma subito, fin dalle prime righe, ho avuto un sussulto. Come se mi fosse stato proposto un “inedito” di Dante che inizia “Nel mezzo del cammin di nostra vita”…

In effetti “l’inedito” proposto da “Repubblica”, intitolato “Vivere senza menzogna”, era già stato pubblicato dalla Mondadori nel 1974, proprio con quello stesso titolo (e da quarant’anni sta nella mia libreria).

In questi giorni quel testo viene riproposto (ritradotto) da Jaca Book in uno splendido volume che raccoglie alcuni scritti del Premio Nobel russo sotto il titolo “Il respiro della coscienza”.

Il giornale scalfariano dunque poteva lanciare queste pagine come estratto del nuovo libro, ma presentare come “brano inedito in Italia” un testo pubblicato dal maggiore editore della penisola nel 1974 mi sembra surreale (a meno che i lettori di “Repubblica” siano tutti come Bergoglio che, abbeverandosi solo al giornale scalfariano come fosse il Vangelo, crederà pure all’inedito).

Naturalmente un infortunio del genere può capitare in qualsiasi giornale e non è giusto infierire. Ma in questo caso forse, più che di banale svista, si può parlare di episodio significativo che ha una logica e una storia.

 

IL REAZIONARIO

E’ assai probabile infatti che per la maggior parte dei lettori, dei giornalisti e degli intellettuali di Sinistra i testi di Solgenitsyn si possano considerare inediti, nel senso che non sono mai stati letti o considerati da loro: Solgenitsyn non è mai stato un autore del salottismo di sinistra, ma l’esatto contrario.

Peraltro dalle pagine di “Repubblica” di ieri non si capisce affatto, con chiarezza, che la Menzogna contro cui egli si scagliava era quella dell’Ideologia e del regime comunista.

Pierluigi Battista, in un suo saggio, notava che mente in Francia l’uscita di “Arcipelago Gulag” si abbatté come un ciclone sulla cultura di sinistra “innescando un drammatico ripensamento”, invece “in Italia, nel 1974, gli intellettuali accoglievano quel libro con freddezza, magari accompagnando la gelida accoglienza con la divulgazione (come è accaduto) della leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet, oppure semplicemente ignorandolo”.

Il mio maestro, Franco Fortini, sebbene di sinistra, scriveva lealmente sul “Manifesto” che “non c’è da stupirsi che sia tanto diffusa l’insofferenza e frequente il disprezzo per Solgenitsyn. Resta il rifiuto autodifensivo di accettare l’idea di una catastrofe storica. Per paura di confondersi ai nemici del comunismo si continua e da tanti anni a non ridefinire il comunismo… Inganniamo i giovani perché continuiamo a illuderci”.

 

REGIME

In quel 1974 io ero proprio fra quei giovani che venivano ingannati. Appena arrivato al liceo mi ritrovai nel profondo rosso: un clima di plumbeo conformismo e di violenta intolleranza.

Tutti – specie se figli di ricchi borghesi – inneggiavano a Marx, Che Guevara, Mao e compagnia. E i giornali italiani e gli intellettuali, con rarissime eccezioni, alimentavano il pensiero unico. Si doveva stare nel gregge per non rischiare…

Fu proprio in quei mesi che scoprii – oltre ad “Arcipelago Gulag” – quel formidabile pamphlet di Solzenicyn: “Vivere senza menzogna”. Una lettura folgorante, la svolta della mia vita.

Solzenicyn parlava della situazione di oppressione soffocante che si viveva nei regimi comunisti, ma, mentre lo leggevo, trovavo un perfetto affresco del clima che si respirava nelle nostre scuole. Lo scrittore parlava pure dell’indottrinamento di regime nelle scuole e ne sapevamo qualcosa…

Infine sottolineava bene il nesso fra la violenza e la menzogna di cui hanno bisogno gli intolleranti per comandare.

Quello che sedusse me, adolescente, fu il formidabile attacco del grande dissidente alla viltà del conformismo (“per la modesta zuppa di oggi siamo disposti a sacrificare qualunque principio, anche la nostra anima… ci basta non staccarci dal gregge”).

 

VIVERE SENZA MENZOGNA

Ma soprattutto mi entusiasmò la sua vigorosa esortazione a ribellarsi alla menzogna, a dire basta ai despoti del pensiero unico.

Le sue parole diventarono la bussola della mia vita: “anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini per opera mia. La nostra via è: non sostenere in nessun caso consapevolmente la menzogna”.

Capii subito che questa libertà ha un prezzo molto alto e cominciai a pagarlo. Ma per nulla al mondo ci avrei mai più rinunciato. Per decenni. Fino a questi giorni.

Tuttavia non avrei mai pensato di dover ritrovare quello stesso plumbeo regime di conformismo oggi, dopo 40 anni, nella mia Chiesa. E di dover sopportare quella stessa solitudine e dover subire come allora anatemi, intimidazioni, disprezzo e infamie, solo per aver rotto l’omertà e il conformismo generale che domina oggi nella Chiesa bergogliana, erede di quel cattocomunismo che già allora andava a braccetto con la bandiera rossa.

“Repubblica” con un perfetto autogol ieri ci ha regalato una pagina folgorante di Solgenitsyn che è il perfetto antidoto contro quel “pensiero unico” di cui proprio “Repubblica” è un pilastro.

Quella che stiamo vivendo è infatti un’inimmaginabile e planetaria “dittatura del relativismo” (Ratzinger) come mai si era vista prima. Un regime del “politically correct” che vede perfino il papa argentino come cappellano di corte dell’imperiale ideologia onusiana.

Ciò che “Repubblica” non dice è che Solgenitsyn, fra Obama e Putin, non avrebbe mai scelto Obama.

E avrebbe condiviso la condanna putiniana di quei paesi occidentali che “stanno rinnegando le loro radici, tra cui i valori cristiani che sono alla base della civiltà occidentale. Stanno negando i principi morali e la propria identità: nazionale, culturale, religiosa e perfino sessuale”.

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 28 maggio 2015

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