Quello che penso sul referendum – di Antonio Socci

renziCi sono due Matteo Renzi. Del primo sono estimatore ed amico. Il secondo – a mio avviso – rappresenta un pericolo, per l’Italia e anche per se stesso. Dico subito – anticipando le mie conclusioni – che voterò “no” (e spero che vinca il no) per “rottamare” il Matteo 2 e far tornare sulla scena il Matteo 1.

Infatti sono convinto che – spazzato via il delirio di onnipotenza del secondo Matteo, che ha fatto perdere al Paese il momento giusto per la ripresa economica – il primo Matteo, ridimensionato dalla batosta, più umile e più serio, potrà essere utile alla politica italiana e al nostro Paese.

Il Matteo Renzi 1 è il simpatico e intelligente outsider che irruppe nelle primarie del Pd facendo invecchiare di colpo tutto il sinistrume.

A quel tempo aveva contro la Nomenklatura (che oggi in buona parte è con lui) e voleva rottamare le noiose burocrazie del suo partito e i loro vecchi arnesi ideologici.

Quel primo Matteo aveva alcune buone idee (ispirate peraltro all’originario programma berlusconiano) e gli era estraneo il settarismo tipico della Sinistra, quella Sinistra che criminalizza gli avversari, che si sente antropologicamente superiore all’Italia normale, che disprezza l’italiano medio e che sogna solo di spremerlo con nuove tasse e nuove regole, la Sinistra che ha sempre l’insopportabile birignao pedagogico (pur avendole sbagliate tutte).

 

COLPACCIO

Poi c’è il secondo Matteo Renzi, il fortunello arrogante che – per una serie di circostanze casuali – si è ritrovato di colpo ad avere in mano il Pd e il governo e – invece di cogliere l’occasione per mostrare un altro modo di governare, invece di mettere in campo una squadra formidabile per tirar fuori il Paese dal pantano – si è circondato degli amici del biliardino, ha riciclato la nomenklatura Pd e, mentre la crisi del Paese si aggravava, ha tentato il colpaccio: ha cambiato le regole costituzionali ed elettorali sognando di annichilire le opposizioni e impossessarsi (per anni) del potere, anche essendo minoranza nel Paese.

Lo ha fatto – come si suol dire – “a colpi di maggioranza” parlamentare, cosa disdicevole quando si parla di Costituzione, che deve raccogliere il consenso di tutti.

Ma oltretutto a colpi di una maggioranza che non possedeva nel Paese. Anzitutto perché quei voti alle elezioni del 2013 li aveva presi Bersani e non lui che non era nemmeno candidato.

In secondo luogo perché Bersani le elezioni le aveva pareggiate e non vinte, avendo preso – con l’intero centrosinistra – il 29,5 per cento dei voti, contro il centrodestra che aveva il 29,1 per cento e il Movimento 5 stelle che prese il 25,5 per cento, ma – come partito – arrivò primo perché il Pd da solo stava al 25,4.

In tutto questo pastrocchio, solo per lo 0,3 per cento in più del centrodestra, lo schieramento di Bersani si aggiudicò l’abnorme premio di maggioranza del “Porcellum” portando a casa 345 seggi alla Camera, quando il centrodestra – con gli stessi voti, meno una manciata – ne prese solo 125 e il M5S, primo partito, 109.

Ad aggravare il pastrocchio c’è il fatto che quella coalizione di centrosinistra, che si aggiudicò lo spropositato premio di maggioranza, si disfece subito in Parlamento e il Pd costituì il governo prima con Forza Italia e poi – usciti i forzisti dal governo – con i transfughi del centrodestra, passati con Renzi, incuranti dei propri elettori.

Non solo. Il 4 dicembre 2013 la Corte Costituzionale dichiarò “incostituzionale” quella legge elettorale giudicando “distorsivo” l’enorme premio di maggioranza, perché “foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione”.

Dunque con una maggioranza di governo che non rappresentava il voto degli italiani, Renzi, che oltretutto era diventato premier senza essere stato eletto e senza nemmeno essersi presentato alle elezioni, non avrebbe mai dovuto mettere mano a cambiamenti costituzionali, spaccando in due il Paese.

Invece lo ha fatto e ha perfino cambiato la legge elettorale riproducendo, in barba alla sentenza della Consulta, un meccanismo premiale che di fatto consentirebbe a un partito che ha il 25 per cento di diventare padrone del Parlamento e del Paese.

La riforma (che di fatto comprende anche l’Italicum, perché se vincesse il “sì” non verrebbe cambiato) è stata un errore in sé. Ed è un orrore nel merito per le sgangherate norme che – una volta approvate – provocherebbero confusione e conflitti istituzionali a non finire.

 

POPOLO CANCELLATO

Del resto quella che presentano come “abolizione del Senato” non abolisce affatto il Senato, ma solo il nostro voto, quindi è un’inaccettabile sottrazione di sovranità: il nuovo Senato verrebbe eletto dai partiti e, trattandosi dei partiti che comandano negli enti locali, sarebbe sempre un Senato a maggioranza di sinistra, anche quando la Camera fosse diversa. Si creerebbe una grave ingovernabilità, una paralisi istituzionale.

Il “popolo” che il 1° articolo della Costituzione vuole “sovrano” viene dunque espropriato del potere di eleggere il Senato, oltre ad essere espropriato del diritto di essere rappresentato in modo giusto alla Camera e dopo che è stato espropriato della sua sovranità da entità sovrannazionali come l’Unione europea e i cosiddetti mercati finanziari.

 

FALLIMENTO

Renzi ha spaccato in due il Paese e lo ha paralizzato per mesi su questa astrusa e pericolosa riforma, mentre la gente avrebbe voluto che il governo riducesse la disoccupazione dei giovani, garantisse le pensioni, fermasse l’immigrazione incontrollata, sistemasse le banche e facesse ripartire l’economia.

Questo Renzi 2 ha sprecato un’occasione straordinariamentre favorevole per rilanciare l’economia, dovuta al bassissimo costo del denaro (grazie alla Bce) e al basso costo delle materie prime.

Invece di approfittare di questa fortunata circostanza per il Paese ha inseguito il sogno di diventare il nuovo “Re Sole”, finendo invece col mostrarsi come “Re sòla” (nell’accezione romanesca), uno che fa continui spot propagandistici, ma non combina nulla di concreto (se non gli 80 euro che sono stati definiti “mance elettorali”) e poi ci ha fatto trovare più indebitati di prima e più avviluppati nella crisi.

Ha deluso, Renzi, anche i suoi sponsor internazionali, senza peraltro aver mai mostrato di avere una visione capace di ridare all’Italia il ruolo che merita.

Non c’è bisogno in Europa di un ganassa, di un Rodomonte di paese, che al dunque si accuccia sempre ai piedi della Merkel. C’è bisogno di un leader vero che sa dove andare.

Lui di stoffa forse ne avrebbe, ma nella versione vista finora non l’ha mostrata. E’ riuscito perfino nell’operazione suicida di inimicarsi tutti in Italia, anche i cattolici (su cui è passato col panzer) e quei moderati del centrodestra che avevano visto con favore il Renzi 1 delle primarie.

Il dilettantismo politico del Renzi 2, con la sua arroganza, è riuscito a far coalizzare insieme tutti i suoi nemici, anche quelli fra loro avversi.

Una batosta referendaria è l’unico modo oggi per mettere fine a un progetto di potere nefasto per il Paese e per far riemergere il primo Renzi.

Un Renzi che applichi il suo dinamismo ai problemi del Paese, che faccia finalmente politica, che abbandoni l’“Agenda Obama” e l’“Agenda Merkel”, che si sintonizzi col vento nuovo, col ritorno dei popoli e delle nazioni del dopo Brexit, col clima di pace e collaborazione (anche economica) di Trump e Putin.

Un Renzi che all’interno, per rifare la legge elettorale, ricostruisca un dialogo con i moderati e i liberali, mettendo al primo posto l’Italia.

E poi alle elezioni si confronteranno le idee migliori per rifare l’Italia “great again”.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 27 novembre 2016

 
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