S. Giuseppe, uomo giusto, modello d’obbedienza a Dio, terrore dei demoni, protettore della Chiesa.

Chi fosse S. Giuseppe lo sappiamo innanzitutto dai Vangeli di S. Matteo e di S. Luca i quali, nel riportare la genealogia di Gesù, hanno dimostrato che il Redentore per parte del padre putativo discendeva dalla famiglia di re Davide, così come ne era discendente anche Maria e sicuramente è stata lei a riferirla ai discepoli, visto che quando il Messia iniziò la sua predicazione S. Giuseppe era già morto. In quell’epoca era particolarmente importante sapere a quale famiglia si appartenesse perché era ben nota la profezia del profeta Isaia Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici, con cui egli inizia la descrizione della venuta del Salvatore (Is 11).

Iesse, della tribù di Giuda, era il padre del re Davide dal quale, appunto, discendevano i genitori di Gesù. In quegli anni tutti aspettavano un Messia che li liberasse dalla dominazione romana e tutti i maschi imparavano a memoria la loro ascendenza per poterlo riconoscere al suo apparire.

Difatti, quando fu il momento di dare uno sposo alla S. Vergine furono convocati al tempio tutti i discendenti della famiglia davidica e la tradizione riferisce che la sorte di prenderla in moglie toccò al giovane Giuseppe il quale così diede al Redentore il carattere legale della sua nascita, mentre Maria gli diede il sangue regale.

Come sappiamo dalle Sacre Scritture S. Giuseppe era nato a Betlemme e, secondo quanto riferisce la Beata Caterina Emmerick, era il terzo di sei fratelli. Abitava insieme ai suoi genitori, che lei definisce né buoni né cattivi, in quello che rimaneva della casa che era stata del re Davide. Il giovinetto, sveglio di intelligenza e portato ad apprendere con facilità gli insegnamenti del precettore di casa, era diverso dai suoi coetanei, non partecipava ai loro giochi ed era solito appartarsi per pregare, così da divenire oggetto di scherzi e molestie da parte dei suoi fratelli.

A dodici anni, età nella quale per le leggi giudaiche del tempo un fanciullo diventava adulto e maturo per contrarre gli obblighi legali (ricordiamo che Gesù fu smarrito e ritrovato nel tempio proprio a quell’età), decise di allontanarsi da casa per andare ad abitare da solo, e per mantenersi andò a lavorare da un falegname, da cui apprese il mestiere col cui guadagno poi sostenne la Sacra Famiglia.

“Semplice e pio com’era, riusciva piacevole a tutti, anche perché era servizievole e umile” così ne descrive il carattere Caterina Emmerick.  Quanto poi al suo aspetto fisico possiamo dedurlo partendo da alcune considerazioni. Dagli studi sulla Sindone apprendiamo che Gesù era alto tra i 183 e i 188 cm (a seconda dei parametri considerati) inoltre guardando il telo si può notare che era longilineo, ben proporzionato e con i tratti del volto regolari.

Della Madonna sappiamo quanto ne hanno riferito i mistici che l’anno veduta e cioè che era una fanciulla bellissima  e sicuramente di una bellezza discreta e delicata. Detto ciò, poteva mai essere possibile che lo sposo e padre di questa famiglia nel suo aspetto fosse meno bello e dissimile dai suoi familiari?

Quando fu chiamato al tempio per prendere in sposa la S. Vergine aveva circa ventotto anni, il doppio di quelli di lei, ben diverso quindi dalle rappresentazioni figurative che lo descrivono vecchio e con i capelli  bianchi per indicarne la dignità di Patriarca. Infatti un uomo anziano non avrebbe potuto assumersi l’onere di proteggere e sostenere una giovanissima madre col suo bimbo, né affrontare i viaggi e i disagi che gli furono chiesti dal Signore, come il recarsi a Betlemme per il censimento, fuggire di notte in Egitto, trovare lavoro in quella terra sconosciuta per poi tornare in Galilea e stabilirsi a Nazareth.

Come da tradizione e come riferito anche dai mistici nelle loro visioni, Maria all’età di cinque anni era stata condotta al tempio perché fosse educata nella fede giudaica e imparasse a diventare una moglie e una madre perfetta. Infatti sappiamo dalle Sacre Scritture che la benedizione di Dio si manifestava nel concedere una numerosa prole alle famiglie non esistendo all’epoca la condizione monacale, eccezion fatta per la comunità degli esseni, eremiti maschi e celibi, che vivevano sul monte Carmelo e che all’epoca pregavano per l’avvento del Messia.

L’immacolata, la piena di grazia, si era consacrata in cuor suo all’Altissimo e quando a quattordici anni le fu detto che doveva lasciare il tempio e prendere marito restò turbata: “La Vergine allora pregò con molto fervore e durante l’orazione fu consolata da una voce confortatrice che la indusse ad accettare quanto le si proponeva”, così Caterina Emmerck riferisce di aver visto.

Ma anche Giuseppe aveva deciso di dedicare la sua vita al Signore e solo per ubbidienza si recò al tempio, dove era stato convocato in quanto discendente del re Davide e favorire il compimento della profezia, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici

Il sacerdote Dolindo Ruotolo, mistico napoletano vissuto nel secolo scorso, di cui è in corso la causa di beatificazione e i cui scritti S. Pio da Pietrelcina affermò che erano parole del Cielo, nel suo commento al Vangelo di Matteo chiarisce come avvenivano i matrimoni degli ebrei all’epoca della nascita di Gesù: “Quando una fanciulla giungeva all’età da marito, che era quasi sempre al dodicesimo anno, veniva promessa al giovane che ne faceva richiesta e celebrava gli sponsali, prendendo impegno con giuramento, ella e lo sposo, di contrarre le nozze.

Il periodo degli sponsali durava un anno per le vergini e un mese per le vedove e, in questo tempo, benché dimorassero ognuno a casa propria, i promessi sposi  erano considerati legittimamente coniugati, e un figlio che fosse stato generato in questo periodo era ritenuto legittimo anche legalmente. Dopo un anno si celebravano le nozze e la sposa veniva accompagnata solennemente in casa del marito.”

La S. Vergine pur sposata, non era stata ancora accompagnata a casa dello sposo ed è in  questo periodo, che per lei fu di attesa e di preghiera affinché Dio le facesse comprendere qual era la sua Volontà su di lei, che le apparve l’Angelo e accettò di diventare la Madre del Salvatore.

Continua Don Dolindo: “S. Giuseppe si accorse di questo per le mutate condizioni dell’aspetto di Maria … egli non poté pensare male di una  Vergine che conosceva illibata, ma non osò contravvenire alla Legge che comandava di rimandare con il libello del ripudio la consorte che fosse venuta meno alla fedeltà.”

S. Matteo lo definisce uomo giusto perché egli si comportava non secondo il suo istinto naturale, ma secondo quanto stabiliva la legge che il Signore aveva dato al suo popolo, infatti il libello di ripudio alla moglie trovata in difetto era prescritto dal Deuteronomio. (Dt 24,1)

Sappiamo poi che il Signore intervenne attraverso un Angelo che gli parlò nel sonno ed egli “gli prestò piena fede e vide in esso, con esultanza, il compimento delle antiche promesse. Capì perfettamente che egli era stato prescelto come custode del Figlio divino di Maria e dell’illibata verginità di Lei.

Le parole di Isaia (7,14) Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi furono luminosissime nell’anima sua, ed egli obbedì al Signore con piena sottomissione.”

La spiritualità di S. Giuseppe oggi la definiremmo contemplativa, cioè egli teneva lo sguardo sempre rivolto a Dio per conoscerlo e adorarlo meditando le Sacre Scritture, con la ferma volontà di obbedire alle sue leggi e di ascoltare la Sua voce dentro di sé in ogni azione e in ogni situazione. Sicuramente era un uomo di poche parole, ma attentissimo al compito che gli era stato affidato.

Lui non discuteva con il Signore, non domandava spiegazioni, non si ribellava difronte alle contrarietà. Era protettivo verso la sua santa Sposa e vigile nel custodire il Bambino, nell’istruirlo e nell’accudirlo.

Certamente in quella famiglia più che con le parole si comunicava attraverso una spiritualità condivisa, dove la Grazia di Dio avvolgeva le sante Persone e poteva pienamente agire nella loro anima per aiutarle, con il loro libero assenso, a portare a compimento il progetto loro affidato.

Il modello che ci propone la Sacra Famiglia e in particolare S. Giuseppe, nato come noi con il peccato originale e senza la natura divina unita a quella umana come Gesù, è applicabile anche da ognuno di noi, perché egli non fa altro che mettere Dio al primo posto nella sua vita quotidiana, nei suoi pensieri e nelle sue azioni.

A S. Faustina Kowalska Gesù dice: “La mia voce è molto sommessa e può ascoltarla solo chi è in grande raccoglimento.”  Ed è esattamente la disposizione dello Sposo di Maria, perché ascoltava la voce di Dio e le sue ispirazioni nutrendosi con la lettura delle Sacre Scritture e pregando il Signore col contemplarlo.

Questa disposizione spirituale è ben spiegata sul sito della Santa Sede: “La dimensione contemplativa si esprime nell’ascolto e nella meditazione della Parola di Dio; nella comunione della vita divina che ci viene trasmessa nei sacramenti e in modo speciale nell’Eucaristia; nella preghiera liturgica e personale; nel costante desiderio e ricerca di Dio e della sua volontà negli eventi e nelle persone; nella partecipazione cosciente alla sua missione salvifica; nel dono di sé agli altri per l’avvento del Regno.

Tutto questo si realizza attraverso una progressiva purificazione interiore e sotto la luce e guida dello Spirito Santo, affinché possiamo incontrare Dio in tutto e in tutti per diventare « lode della sua gloria» (Ef. 1,6).”

Un’altra prerogativa di S. Giuseppe è quella di essere il terrore dei demoni, come ben sanno gli esorcisti, perché oppose alla superbia e alla disobbedienza di Satana la sua umiltà e ubbidienza totale a Dio. Egli credette che Gesù fosse il Messia sulla parola dell’Angelo perché non vide mai i suoi miracoli, essendo morto prima che iniziasse la sua predicazione.

Alcuni hanno creduto, a buona ragione, che gli fu risparmiato di vederlo crocifisso perché non avrebbe retto a tanto dolore. Ma ebbe la grazia di essere assistito da Gesù e da Maria nel suo trapasso e poi portato in Cielo quando il Salvatore, dopo la morte e prima della resurrezione, scese agli Inferi per liberare i Giusti che erano in attesa della sua venuta sulla terra.

Fu Papa Pio IX che col decreto «Quemadmodum Deus» proclamò San Giuseppe «Patrono della Chiesa universale». Era l’8 dicembre 1870, solennità dell’Immacolata Concezione, dogma da lui stesso pronunciato nel 1854 a cui fece seguire un discorso durante il quale indicò in San Giuseppe la più sicura speranza della Chiesa dopo la Vergine. Infatti nel Concilio Vaticano I (1869-70) tra le diversi richieste che i padri presentarono al Pontefice, due riguardarono San Giuseppe. Una, firmata da 153 vescovi, chiese che il suo culto assumesse un posto più elevato nella liturgia; l’altra, sottoscritta da 43 superiori di Istituti religiosi, sollecitava la proclamazione di San Giuseppe a «patrono della Chiesa universale».

Nel luglio di quello stesso anno il Concilio Vaticano I fu sospeso per gli eventi politico-militari, e il 2 ottobre, dopo la Breccia di Porta Pia da parte dell’esercito italiano, lo Stato Pontificio finì.

Il suo successore, Papa Leone XIII, nell’«Oratio ad Sanctum Iosephum» prega: «Allontana da noi, o padre amatissimo, la peste di errori e di vizi, assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la Chiesa dalle ostili insidie e da ogni avversità».

E nella lettera apostolica «Neminem fugit» (14 giugno 1892) esalta la famiglia di Nazareth come esemplare per ogni famiglia.

Santa Teresa d’Avila,  riformatrice del Carmelo, che dedicò a S. Giuseppe dodici dei settanta monasteri da lei fondati, nella sua autobiografia Il libro della mia vita racconta che da giovane monaca, durante un periodo di grandi sofferenze fisiche, sembrando che nulla potessero i medici, decise di prendere come avvocato e protettore S. Giuseppe. Scrive la Santa: “Vidi chiaramente che questo mio padre e patrono mi trasse fuori sia da quella situazione sia da altre più gravi in cui erano in gioco il mio onore e la salvezza della mia anima, meglio di quanto io non sapessi chiedergli. Finora non ricordo di averlo mai pregato di un favore che egli non mi abbia concesso. Mentre ad altri Santi sembra che il Signore abbia concesso di soccorrerci in una singola necessità, ho sperimentato che il glorioso S. Giuseppe ci soccorre in tutte. Pertanto, il Signore vuol farci capire che allo stesso modo in cui fu a lui soggetto in terra – dove S. Giuseppe, che gli faceva le veci di padre, avendone la custodia, poteva dargli ordini – anche in cielo fa quanto gli chiede”

E continua: “Vorrei persuadere tutti ad essere devoti di questo glorioso santo, per la grande esperienza di beni che egli ottiene dal Signore. Non ho conosciuto persona che gli sia sinceramente devota e gli renda particolari servigi, senza vederla più avvantaggiata nella virtù, perché egli aiuta moltissimo le anime che a lui si raccomandano. Chiedo per l’amor di Dio che ne faccia la prova chi non mi credesse, e vedrà per esperienza di quale giovamento sia raccomandarsi a questo glorioso patriarca ed essergli devoti.”

 

Paola de Lillo