Sacerdoti alla gogna e giudizi di Dio.

S. Caterina esorta Gregorio XI a tornare a RomaInutile negare che il panorama offerto in questi tempi dalla classe clericale è quanto meno desolante. Lasciando in disparte le alte gerarchie ecclesiastiche, rinchiuse in un aureo empireo dove le logiche e i giochi di potere sono talmente contorti e imperscrutabili che il poco che filtra darebbe ragione alla fantasiosa letteratura sui segreti e i complotti vaticani, sono i semplici presbiteri, quelli a contatto con il popolo, ad apparire completamente insulsi e scipiti, quando non assurgono agli onori della cronaca per misfatti di natura morale e spesso anche penale.

Ferme restando nell’una e nell’altra categoria le eccezioni che, come sempre, confermano la regola, sembra che il Cielo abbia voluto privare questa generazione di figure spirituali di altissimo spessore a cui riferirsi per rafforzare la propria fede o a cui rivolgersi per ottenerne consiglio e mediazioni di grazie presso Dio.

Passati a miglior vita i testimoni, i confessori e gli intercessori di cui è stato ricco il ventesimo secolo, anche con presenze femminili di grandi carismi, oggi tutt’al più si può trovare qualche veemente predicatore fustigatore dei propri fratelli, tosto zittito dai superiori per le sue insubordinazioni, come prescritto dal Codice di diritto canonico.

Non che santi e anime vittime siano scomparsi, ché finirebbe il mondo, ma è probabile che Dio voglia tenerli nel nascondimento per salvaguardarli da una società talmente scristianizzata da non essere in grado di apprezzarne le virtù e che, per paura della loro santità, si abbandonerebbe a dileggi e irrisioni, quando non intervenisse, per contro, un malsano fanatismo da parte dei più semplici.

Restano così, a disposizione dei fedeli, quelli che sembrano essere gli unici ausili del soprannaturale, cioè i veggenti e le loro profezie, la natura delle quali è quasi sempre fasulla e inverosimile.

Costoro hanno occupato di fatto gli spazi lasciati vuoti dai sacerdoti perché se da un lato, in un periodo di grandi incertezze sociali ed etiche, appagano l’insana curiosità di coloro che pretendono di conoscere l’avvenire, dall’altro soddisfano il giustizialismo dei credenti con il lanciare anatemi e condanne contro quegli stessi ministri che, dopo aver abbandonato il gregge a se stesso, si fanno oggetto di scandali e disubbidienze ai Comandamenti di Dio.

Perciò, forti delle condanne su certo clero deviato pronunciate da improbabili Gesù e Marie, nella convinzione di essere legittimati ad additare e persino insultare i sacerdoti reprobi, molti si abbandonano a persecuzioni verbali, spesso ingiuriose, contro coloro che scandalizzano il popolo con i loro comportamenti.

Se però è lecito, e talvolta persino doveroso, riprendere quei ministri che insegnano dottrine non conformi alla fede cattolica e il cui cattivo esempio di vita è motivo di scandalo (Catechismo, 907; S. Tommaso d’Aquino, Somma teologica II-II, arg. 33, art. 4), è però sgradito a Dio che il popolo si arroghi il diritto di punire – anche solo verbalmente – e di giudicare i suoi ministri, perché tale diritto appartiene solamente a Lui.

Non che Nostro Signore difenda o sottovaluti l’operato dei più sciagurati dei suoi sacerdoti, tutt’altro.

Nella corposa opera di S. Caterina da Siena “Il dialogo della Divina Providenza”, nella traduzione in italiano moderno curata da Gabriele Prigioni (Cantagalli, Siena 2017), molte pagine sono dedicate proprio ai sacerdoti e ai loro peccati che erano gli stessi di oggi, salvo la pedofilia, non ancora presente fra le immoralità dell’epoca.

“Templi del diavolo, demoni incarnati” definisce Nostro Signore quelli di loro che si sono pervertiti con ogni genere di vizi e di scelleratezze ed enumera a Caterina i loro peccati più abietti, arrivando a rivelarle che i loro atti di sodomia fanno ribrezzo persino ai demoni, i quali, sebbene scaglino contro di essi “la saetta avvelenata della concupiscenza, giunti all’atto se ne vanno, perché la loro natura, che fu angelica, prova repulsione nel veder commettere quell’enorme peccato.”

E i loro vizi li accecano non solo riguardo alla Sacra Scrittura, di cui “non intendono e vedono altro che la corteccia … ma i loro difetti tolgono ad essi l’ardire e lo zelo della santa giustizia”, al punto da non essere in grado di riprendere e correggere i loro sudditi, né di scegliere e ordinare nuovi santi ministri.

Terribile è la descrizione della loro morte, quando prendono talmente chiara coscienza dei loro peccati da disperare della salvezza: solo coloro che mantengono un barlume di speranza nella misericordia di Dio, e vi si affidano, scansano l’Inferno.

Ma lo stesso Inferno è garantito a coloro che, indignati per i loro comportamenti, li perseguitano, li offendono o li puniscono con “scherni, villania, obbrobrio e vituperio … credendo di non arrecare ingiuria alla Chiesa né di ribellarsi ad essa.”

Chiarisce infatti il Signore: “Reputo fatto a me ciò che viene fatto a loro, perché io dissi e dico che non voglio che i miei cristi siano toccati. Io li posso punire e non loro” (Sal 105,15; Cor 16,22)

“Non che io possa riceverne alcuna lesione, né esser percosso da loro, io faccio come la pietra, tirandola non riceve il colpo, ma ritorna verso colui che la tira.”

Quindi Egli spiega a S. Caterina che i suoi ministri sono i suoi unti, “dispensatori del corpo e del sangue del mio Figlio unigenito … perché ho dato loro l’incarico di ministrare me a voi … e ogni riverenza che viene fatta a loro viene fatta a me per la virtù del sangue che io ho dato loro da ministrare.”

E anche se al mattino officiano con le mani lorde da una notte di lascivie, le loro colpe non possono ledere i sacramenti della santa Chiesa né diminuire la virtù in loro: “Ma bene diminuisce la grazia in colui che ministra il sacramento e in colui che lo riceve indegnamente … e poiché non diminuisce la virtù del sacramento per nessun difetto, per questo non deve diminuire la riverenza, e quando viene meno offendono me”

Coloro che disubbidiscono al divieto di mancar loro di rispetto “sono come membri putridi, tagliati dal corpo mistico della santa Chiesa, per cui, perseverando, ostinati, in questa ribellione e irriverenza, morendo in tale condizione giungono alla dannazione eterna.”

E nessuno potrà giustificare i propri peccati adducendo il cattivo esempio dei pastori: “Perché nessuno è obbligato al peccato mortale, né da questi demoni visibili né da quelli invisibili, né seguire quello che fanno, ma dovete fare ciò che vi dicono – ovvero la dottrina che vi è data nel corpo mistico della santa Chiesa – e non dovete seguire i loro guai e la loro vita malvagia e neppure punirli, perché offendereste me.”

“Debbanvi dispiacere e dovete odiare i difecti loro e ingegnarvi, con affecto di caritá e con l’orazione sancta, di rivestirli, e con lagrime lavare la immondizia loro, cioè offerirli dinanzi a me con lagrime e grande desiderio che Io gli rivesta, per la mia bontá, del vestimento della caritá.”, le dice il Signore nel suo linguaggio trecentesco.

Quindi occorre pregare per loro, ma anche prendere ad esempio la Santa di Siena, che non temé di esortare e ammonire il clero di ogni ordine e grado come anche i papi, fino a invitare Gregorio XI a essere più “virile” e, intanto che gli si rivolgeva appellandolo “babbo mio dolcissimo”, gli scriveva: “Io, se fussi in voi, temerei che ‘l Divino giudicio non venisse sopra di me.

E però vi prego dolcissimamente da parte di Cristo crocifisso che voi siate obediente alla volontà di Dio; chè so che non volete nè desiderate altro, che di far la volontà sua, acciocchè non venga sopra di voi quella dura reprensione: «Maladetto sia tu, che ‘l tempo e la forza che ti fu commessa, tu non l’hai adoperata!» (lett. CCLV)

 

Paola de Lillo