San Pio X, ultimo papa canonizzato – di Massimo Viglione

Papa dell’Eucarestia, della carità, della verità. L’ultimo pontefice finora canonizzato dalla Chiesa Cattolica veniva dalla marca trevigiana, era figlio di gente umile (padre fattore, madre sarta) e in tutta la sua vita ecclesiastica non ebbe cattedre universitarie, non scrisse celebrati libri, né praticò in alcun modo la carriera diplomatica. Nulla fece, insomma, che potesse far immaginare non solo dove un giorno sarebbe arrivato, cioè all’onore e all’onere più alto di questo mondo, ma soprattutto ciò che avrebbe poi fatto e scritto.


Santo e austero nell’anima e nel corpo

Di più. Giuseppe Sarto (Riese, 2 giugno 1835 – Roma, 20 agosto 1914) era di carattere mite, pacifico, assolutamente dolce (ma mai sdolcinato: anzi, sempre fermo nella difesa delle sacrosante norme liturgiche, dottrinali e morali della Chiesa, e questo fin dalla gioventù), costantemente intento al servizio della carità fraterna, in nome della quale, da seminarista, da sacerdote, da vescovo, da Patriarca e infine da Papa, spese sempre tutto ciò che aveva, privandosi sovente anche del suo personale per sovvenire ai più svariati bisogni della vita quotidiana delle sue pecorelle, vicine e lontane (celebre quanto si spese per i terremotati di Sicilia nel 1908, insieme a san Luigi Orione).

Dalla vita austera (sveglia alle 4 e a letto a mezzanotte, cibo poco e sempre accettato senza proteste o pretese di alcun genere, viaggi pochi, ore e ore di meditazione e preghiera giornaliere), alieno da ogni forma di nepotismo (non avvantaggiò mai nessuno della sua famiglia), fu sempre costantemente occupato al servizio della Chiesa e del prossimo: ovunque fu mandato a svolgere la sua missione (seminarista a Padova, 1850-58), vicario del parroco a Tombolo (1858-67), arciprete a Salzano (1867-75), canonico della Cattedrale e direttore spirituale del seminario diocesano a Treviso (1875-84), vescovo a Mantova (1884-93), Patriarca a Venezia (1893-1903), Pontefice Massimo della Chiesa Cattolica a Roma (1903-14), lasciò della sua persona e del suo operato un ricordo meraviglioso in tutti, e ovunque fu sempre amato, da tutti ritenuto santo, e poi rimpianto.

Se Giuseppe Sarto, insomma, ha potuto fare la “carriera” che ha fatto (e che, puntualmente, lui ha sempre tentato di “frenare” in ogni modo, e sempre con maggior pathos man mano che si vedeva salire ove egli in precedenza non poteva neanche immaginare, sebbene alla fine sempre obbediente a ogni incarico la Provvidenza gli affidasse tramite i suoi superiori), non fu per quelle caratteristiche di “fascino” intellettuale o arte diplomatica e politica oggi troppo necessarie per essere considerato e notato negli ambienti tanto mondani quanto purtroppo sovente anche nelle stesse gerarchie ecclesiastiche; ma fu anzitutto per le sue incontenibili doti di bontà e generosità personali, che apparivano immediatamente non solo dalle sua azioni quotidiane ma anche dal suo stesso sembiante, sempre, dalla giovinezza alla morte, fatto di pura bellezza del volto e maestosa e allo stesso tempo umile personalità, come evidente traspare dalle foto che abbiamo di lui nelle varie fasi della sua benedetta esistenza.


La Verità nella carità

Era necessaria questa pur brevissima premessa, che meriterebbe ben altra esplicazione di fatti e prove, per chiarire una cosa a monte: san Pio X è ricordato da tutti (per alcuni come sommo merito, per altri come imperdonabile errore) come il papa che ha condannato con rigida e impietosa fermezza il modernismo e il processo di “aggiornamento” della Chiesa nel mondo odierno. Ebbene, ciò è assolutamente vero, come diremo tra poco: ma questa non è l’“essenza” della sua santità personale; la sua provvidenziale e tempestiva opera antimodernista fu conseguenza della sua santità personale. San Pio X non è santo perché fu antimodernista. Fu antimodernista perché era santo. E lo fu nella misura in cui era santo.

Giuseppe Sarto, figlio di umile gente, che studiò seriamente (come allora era usuale per ogni sacerdote cattolico) ma che mai poté realmente approfondire gli studi teologici, fu santo per la sua carità che gli proveniva dall’amore senza confini per l’Eucarestia.

Questo amore per Cristo Eucaristico e per la Chiesa lo illuminarono in tutta la sua vita ecclesiastica, e soprattutto nel suo operato di Pontefice, permettendogli sia di intuire – come nessun altro esimio teologo del tempo era riuscito a fare – le radici filosofiche profondamente malsane del modernismo (cioè di vedere fino in fondo la serietà del male da curare e di conoscerlo perfettamente), sia di trovare l’energia divina per combatterlo senza falsa pietà e per attuare i sistemi per renderlo inoffensivo.

Come era solito dire, “Guai se il medico è pietoso”. E, come il suo venerato predecessore, il beato Pio IX, di cui egli era devotissimo, non ebbe esitazioni a scrivere la verità e ad agire di conseguenza quando si trattò di proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, di condannare, con l’Enciclica Quanta Cura, tutti gli errori del mondo moderno, e infine di proclamare il dogma dell’Infallibilità papale, così san Pio X non ebbe esitazione alcuna nella fermissima condanna del modernismo, “sintesi di tutte le eresie” e di tutte le relative pubblicazioni, istituzioni e anche degli uomini ad esso asserviti.

Quello stesso “umile sacerdote di campagna”, così semplice, caritatevole e buono, divenne, una volta alla guida della barca di Pietro nella tempesta, il salvatore della retta dottrina, il più fine e attento dei teologi, il più profondo dei filosofi, il più energico dei leader religiosi, il più impietoso (contro l’errore) dei medici spirituali.

“Veritatem facientes in caritate” sarebbe ben potuto essere il suo motto programmatico di Pontefice. Egli scelse invece “Instaurare omnia in Christo”. Ma, a ben vedere, è la stessa cosa. È sempre un figlio devoto dell’Apostolo delle Genti che usa la spada spinto dal fuoco del suo amore per Dio e per il prossimo.


La guerra al serpente modernista

Per concludere il già accennato discorso della sua condanna del modernismo, questo sue righe rendono bene l’idea di quanto il pio e mansueto Giuseppe Sarto sapesse lasciare il passo alla fermezza senza ipocrisia del Pastore che deve ottemperare al suo dovere di difendere il gregge dall’assalto dei lupi, e di quelli peggiori, come era leggiamo.

Nella sua prima lettera al clero e popolo veneziano, dopo aver denunciato apertamente i mali del secolo, così scriveva: «Non si può chiamare ministro di Cristo, nel pessimo tempo in cui viviamo, chi si rifiuta di vegliare. I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle degli agnelli; perciò il sacerdote che è veramente tale deve svelare al popolo commesso alle sue cure le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene e non badate punto alle derisioni e ai dileggi dei perversi. Ma son molti. Non monta: nella Sacra Scrittura è detto: “Infinito è il numero degli stolti”».

Una volta pontefice, la sua guerra all’errore micidiale del cancro interno alla Chiesa divenne senza quartiere. L’11 giugno 1905 pubblicò l’Enciclica Il Fermo proposito – scritta per infondere all’Azione Cattolica il carattere di «milizia corroborata dal cibo di Cristo» e per sottrarla agli influssi modernisti – con la quale sciolse l’Opera dei Congressi (ormai infettata dalle eresie di Romolo Murri), ricostituendo poi il sodalizio suddiviso in tre rami, l’Azione popolare, l’Unione economico-sociale e l’Unione elettorale, affidandolo a uomini di piena fiducia, fra cui il beato Giuseppe Toniolo.

Il 3 luglio 1907 condannò altre opere e 65 proposizioni con il decreto Lamentabili sane exitu, cui fece seguito la costituzione del “Sodalitium Pianum”, che aveva anche l’incarico di indagare su teologi, prelati e docenti sospetti di modernismo.

Poi, il passo gigantesco dell’uomo umile che tutto può in Colui che lo sostiene: l’8 settembre 1907 pubblicò l’Enciclica Pascendi dominici gregis, vero monumento di profondità teologica e sapienza filosofica, che fulmina il modernismo in ogni sua manifestazione filosofica, teologica, biblica, storica, critica e sociale; condanna i libri, gli opuscoli e i periodici propugnanti tali errori e sospende immediatamente quei “maestri” che con i loro scritti e coi loro insegnamenti li propalavano.

Condannò in modo speciale del modernismo le origini immanentistiche, causa dell’agnosticismo ad esso connesso, e quindi le teorie per le quali si minavano la supremazia dell’ordine soprannaturale, di quello spirituale (l’attivismo e quindi l’americanismo), l’autorità dei libri santi, la Tradizione e il magistero della Chiesa, e si subordinava di contro la fede (compresi i dogmi) all’evoluzione della scienza, si riducevano le Sacre Scritture a ispirazione ed esperienza personale, e si predicava la separazione fra Stato e Chiesa.

 

Degno della scelta del suo nome

Era la grande medicina del medico che ha come sola preoccupazione la salute del paziente, e nient’altro. Possiamo dire che la Pascendi è all’interno della stessa Chiesa Cattolica quello che la Quanta Cura del beato Pio IX fu per il mondo: la lama tra il bene e il male, il vero e il giusto e l’errore, il peccato, l’eresia. Forse per questo ogni volta che Giuseppe Sarto veniva a Roma andava in visita a San Lorenzo fuori le Mura, sulla tomba di Giovanni Mastai Ferretti, il Papa di cui poi un giorno avrebbe ripreso il nome.

E per riuscire ancora più incisivo nella sua guerra alla menzogna, ricorse nuovamente al sistema già utilizzato in altri terribili tempi da un altro suo “Pio” predecessore, quel san Pio V, salvatore della Chiesa Cattolica contro l’islam e contro l’eresia protestante, che aveva a sua volta sia codificato il culto sia realizzato, a difesa della retta dottrina, il primo Catechismo della storia.

Sulla sua scia, san Pio X scrisse un nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, questa volta più specificamente adatto ai giovani e ai semplici, sotto forma di domanda e risposta, proprio al fine di fornire ai più esposti alla diffusione dell’errore le giuste armi di difesa nella retta conoscenza della vera dottrina cattolica.

 

La “Crociata eucaristica”

Come detto, la sua luce spirituale e teologica, come la sua forza d’azione, gli provenivano dall’amore senza confini per l’Eucarestia. Questo era per lui l’alfa e l’omega della sua attività riformatrice.
Al riguardo, ci teneva subito a chiarire che non occorreva dire niente di nuovo, perché san Tommaso d’Aquino aveva già detto tutto e per sempre, ma occorreva riscoprire un rinnovato amore e una più profonda devozione.

Con il decreto Sacra Tridentina Synodus, della Sacra Congregazione del Concilio, 20 dicembre 1905, comandò la Comunione frequente, anche quotidiana (e per questo ridusse a tre ore il tempo necessario a poter assumere cibo prima di accostarsi alla Comunione). Tornava sull’argomento con l’Enciclica Editae saepe, 26 maggio 1910, con la quale toglieva ogni restrizione possibile all’accesso all’Eucarestia, perché non doveva mai più accadere che «i figli chiedono il Pane e non trovano chi lo dispensi».

Per la sua Crociata Eucaristica fondò la Lega sacerdotale della Comunione, la Pia Unione per la Comunione dei bambini, e poi raccomandò l’Adorazione perpetua, l’Ora santa, le giornate eucaristiche, il ripristino nelle parrocchie della benedizione quotidiana con Ss.mo Sacramento e della visita al Divino Prigioniero dei tabernacoli, favorì ovunque la nascita di pubblicazioni e iniziative eucaristiche, fino all’Apostolato della Preghiera, nato dopo la sua morte ma certamente frutto della sua strenua attività.

Soprattutto, però, raccomandò (ed ebbe anche ad affrontare resistenze interne per questo) la Prima Comunione dei bambini già a sette anni, onde evitare che, in età più adulta, la loro anima la potesse ricevere già imbrattata dall’ombra del peccato. L’innocenza del bambino che si accosta all’Eucarestia è la più forte delle armi contro il demonio, soleva dire.

(Fine prima parte, continua…)

Fonte: Messainlatino.it