Sant’Agostino, l’uomo che si accorse di Dio

“Volle tornare in Africa, alla sua casa e ai suoi campi (…) vi rimase circa tre anni; e dopo aver ceduto quei beni, insieme con quelli che gli erano vicini viveva per Dio, con digiuni, preghiere, buone opere, meditando notte e giorno la legge del Signore”. Era questa la vita quotidiana di Agostino di Tagaste, retore alla corte di Valentiniano II a Milano, che convertitosi al cristianesimo decise di darsi tutto a Dio e di rientrare in Numidia, condividendo con gli amici più cari la ricerca della Verità.

La racconta Possidio, il suo primo biografo, che nella “Vita di Sant’Agostino” rivela i tratti più intimi del vescovo di Ippona, la sua semplicità di uomo dedito ai consigli evangelici. E proprio la costante preoccupazione del vescovo di Ippona di modellare la sua vita a quella di Cristo e il suo anelito ad aderire pienamente all’amore di Dio senza lasciarsi distrarre dalle occupazioni giornaliere e senza dimenticare il prossimo sono gli elementi messi in risalto dal tweet di oggi di Papa Francesco, che richiama il sermone 88, più volte citato in omelie e discorsi: “Sant’Agostino diceva: ‘Ho paura che Gesù passi e io non me ne accorga’.

È importante rimanere vigili, perché uno sbaglio della vita è perdersi in mille cose e non accorgersi di Dio”. Interesse primario di Agostino era conoscere Dio, scrutare e studiare le scritture, ma, rimarca Possidio, “tutto ciò che Dio faceva comprendere a lui che meditava e pregava, egli faceva conoscere a presenti e assenti con discorsi e libri”.

Lo conosciamo come padre della Chiesa, teologo, filosofo, dottore della Grazia, pastore della diocesi di Hippo Regius, l’attuale Annaba, in Algeria, eppure Agostino non aveva pensato per sé a una vita pubblica nella Chiesa, voleva semplicemente essere monaco.

Ma i progetti di Dio erano ben altri. Eppure volle sempre vivere umilmente in unità di mente e di cuore proteso all’Altissimo, insieme a quanti, come lui, avevano scelto di seguire totalmente il Vangelo.

 

Sacerdote e vescovo con una comunità monastica al fianco

Divenne sacerdote per acclamazione, quando, trovandosi per caso nella basilica di Ippona, avendo il vescovo Valerio chiesto ai suoi fedeli di indicargli chi potesse assumere l’ufficio di presbitero, venne condotto davanti al presule da quanti conoscevano il suo stile di vita perché venisse ordinato.

Agostino non avrebbe voluto abbandonare la vita monastica, ma si arrese per servire la Chiesa. Da sacerdote “subito istituì un monastero accanto alla chiesa e cominciò a vivere con i servi di Dio secondo il modo e la norma stabiliti al tempo degli apostoli”, per cui “nessuno doveva avere alcunché di proprio” ma tutto “doveva essere in comune, e ad ognuno doveva esser dato secondo le proprie necessità”.

E intanto “insegnava e predicava, in privato e in pubblico, in casa e in chiesa, la parola di salvezza con piena fiducia contro le eresie che erano fiorenti in Africa, specialmente contro i donatisti, i manichei e i pagani” e faceva ciò, descrive Possidio, “sia scrivendo libri sia improvvisando discorsi”.

Anche da vescovo (lo fu per più di 40 anni) non cambiò di molto la sua condotta di vita, “predicava la parola di salvezza eterna con più insistenza ed entusiasmo e con autorità maggiore, non più soltanto in una regione ma dovunque gli chiedevano di venire, con alacrità e diligenza”, ed “era sempre pronto a dare spiegazione a chi lo richiedesse sulla fede e sulla speranza in Dio”.

 

Lo stile frugale

Possidio consente anche di immaginare Agostino nell’ordinarietà delle sue giornate, precisando che “le sue vesti, i calzari, la biancheria da letto erano di qualità media e conveniente, né troppo di lusso né di tipo troppo scadente”, insomma “teneva una via di mezzo, non eccedendo né da una parte né dall’altra”. Informa inoltre che “usava di una mensa frugale e parca, che però fra la verdura e i legumi aveva qualche volta anche la carne, per riguardo agli ospiti o a qualcuno che non stava bene”, e poi “aveva sempre il vino”.

Associava alle scelte della tavola la Parola di Dio, così, ad esempio, circa il vino, richiamava quanto l’apostolo Paolo aveva scritto a Timoteo: “Non bere soltanto acqua, ma fa uso anche di un po’ di vino per il tuo stomaco e le tue frequenti malattie”.

E poi “usava d’argento soltanto i cucchiai”, ma il vasellame per portare i cibi a tavola era o di terracotta o di legno o di marmo, “e ciò non per povertà ma di proposito”. Ma era sempre alla convivialità che il vescovo di Ippona asserviva ogni cosa, pure nel refettorio, dove volle questa iscrizione: ‘Chi ama calunniare gli assenti, sappia di non esser degno di questa mensa’. Ammoniva così ogni invitato ad astenersi da chiacchiere superflue e dannose”.

“Fu sempre molto ospitale – evidenzia Possidio -. E durante il pranzo aveva più cara la lettura o la discussione che non il mangiare e il bere.

 

L’amore per la Sapienza e la passione per gli studi

Costante preoccupazione di Agostino era che chiunque potesse accostarsi al sapere, per questo “favoriva gli studi e i progressi di tutti i buoni e se ne rallegrava”. E poi “piamente e santamente tollerava certe mancanze di disciplina dei fratelli, mentre s’addolorava della malvagità dei cattivi, sia di quelli nella Chiesa sia fuori della Chiesa”.

Contribuì enormemente allo sviluppo della teologia, “molti libri furono da lui composti e pubblicati, molte prediche furono tenute in chiesa, trascritte e corrette, sia per confutare i diversi eretici sia per interpretare le Sacre Scritture ad edificazione dei santi figli della Chiesa”, tanto che, osserva Possidio, “a stento uno studioso ha la possibilità di leggerle e imparare a conoscerle”.

 

L’attenzione per i più poveri

Agostino non dimenticava neanche gli ultimi: “Per aiutare prigionieri e gran quantità di poveri, fece spezzare e fondere alcuni vasi sacri e distribuì il ricavato a chi ne aveva bisogno” e “si ricordava sempre dei compagni di povertà”, a loro donava a piene mani “attingendo a quel che serviva per sé e per coloro che abitavano insieme con lui, cioè dalle rendite dei beni della Chiesa e anche dalle offerte dei fedeli”.

E “per evitare che questi beni – come di solito avviene – fossero fonte di odiosità nei confronti dei chierici, egli soleva dire al popolo di Dio che avrebbe preferito vivere delle loro offerte piuttosto che sobbarcarsi la cura e l’amministrazione di quei beni: perciò egli era pronto a cederli ai fedeli”. In questo modo, “tutti i servi e i ministri di Dio” avrebbero potuto vivere “come nel Vecchio Testamento si legge che chi serviva all’altare, aveva parte del medesimo”.

 

Giudice alle episcopales audientiae

Come vescovo, per il diritto romano, Agostino aveva giurisdizione nelle controversie civili che gli venivano presentate “da cristiani e da persone di ogni religione”.

Nelle udienze episcopali “ascoltava le cause con religiosa attenzione (…) e giudicava, talvolta fino all’ora di colazione, altre volte per l’intera giornata rimanendo a digiuno”. E, aggiunge Possidio, “sapeva cogliere il momento opportuno per spiegare alle parti la verità della legge divina”; inoltre, “richiesto anche da alcuni di occuparsi di loro questioni temporali, mandava lettere a varie persone.

Ma riteneva un peso questa occupazione che lo distoglieva da attività più importanti: infatti gli era gradito discutere sempre delle cose di Dio, sia in pubblico sia in discussione fraterna e familiare”.

 

Censore dei suoi stessi scritti

In età avanzata Agostino volle “riconsiderare con lo spirito di un giudice severo” tutti i suoi scritti e “segnalare in essi con lo stilo, a mo’ di un censore” – è lui stesso ad usare questi termini – quanto suscitava la sua riprovazione.

In pratica il vescovo di Ippona volle riesaminare tutta la sua produzione letteraria e omiletica. Titolò quest’analisi minuziosa “Ritrattazioni”, un’opera singolare e unica nel suo genere dove emerge una grande capacità di autocritica e attraverso la quale appurò di aver dettato, fino a quel momento, 93 opere per complessivi 232 libri. A spronarlo anche un passo del libro dei Proverbi – “Per il molto parlare non riuscirai ad evitare il peccato” -, considerando che dalle sue svariate discussioni sarebbe stato possibile “ricavare molti tratti che, se non proprio falsi” sarebbero potuti apparire o anche essere dimostrati come superflui.

Possidio spiega che fu rivisto e corretto tutto quello che notò era stato scritto in difformità della regola di fede, quando “non era ancora bene al corrente delle norme della Chiesa”. Anche le Confessioni, già nel IV secolo un bestseller, non sono state esenti da revisione. Agostino chiarisce che “lodano Dio giusto e buono per le azioni buone e cattive” che ha compiuto, “e volgono a Dio la mente e il cuore dell’uomo”.

“Hanno esercitato questa azione su di me mentre li scrivevo – prosegue – e continuano ad esercitarla quando li leggo. Che cosa ne pensino gli altri è affar loro: so però che sono molto piaciuti e tuttora piacciono a molti fratelli”.

 

Gli ultimi giorni della sua vita

All’età di 76 anni, nell’estate del 430, costretto a letto da una forte febbre, Agostino “fece trascrivere i salmi davidici che trattano della penitenza”, volle che i fogli venissero affissi alla parete della sua camera perché potesse leggerli e piangeva ininterrottamente.

Si spense il 28 agosto. “Lasciò alla Chiesa clero abbondante e monasteri di uomini e donne praticanti la continenza con i loro superiori – riferisce Possidio -; inoltre, biblioteche contenenti libri e prediche sia suoi sia di altri santi, dai quali si può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua grandezza nella Chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo”. Ancora oggi, come conclude Possidio, “dai suoi scritti risulta manifesto” che Agostino visse in modo retto e integro nella fede, speranza e carità della Chiesa cattolica; e ciò possono apprendere quelli che traggono giovamento dalla lettura di ciò ch’egli scrisse intorno alla divinità”.

E se gli scritti del vescovo di Ippona affascinano ancora tantissimi lettori, non si può tuttavia non desiderare di andare indietro nei secoli, attratti dalle parole di Possidio: “Io credo che abbiano potuto trarre più profitto dal suo contatto quelli che lo poterono vedere e ascoltare quando di persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che ebbero pratica della sua vita quotidiana fra la gente”.

 

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