Stati Uniti: la riforma sanitaria di Obama e le prese di posizione dei rappresentanti cattolici

WASHINGTON, 28/6/12. Mentre negli Stati Uniti è in pieno svolgimento la Fortnight for Freedom (due settimane per la libertà, ndr), la campagna di sensibilizzazione promossa dalla Chiesa cattolica sul tema della libertà religiosa, si susseguono gli interventi di rappresentanti di organismi religiosi volti a dare sostegno all’iniziativa.Le organizzazioni, come ad esempio i Cavalieri di Colombo, tengono soprattutto a precisare che sullo sfondo dell’impegno non vi è alcuna motivazione di stampo politico, volta a influenzare l’opinione pubblica.

È stato lo stesso cavaliere supremo, Carl A. Anderson, a tornare recentemente sul tema particolare delle riforme in materia sanitaria volute dall’amministrazione Obama. Al centro delle polemiche, in particolare, vi sono le nuove direttive che prevedono che tutti i datori di lavoro, comprese le istituzioni e le organizzazioni religiose (salvo quelle definite tali sulla base di precise e restrittive definizioni stabilite dalle stesse autorità federali), mettano a disposizione dei propri dipendenti piani assicurativi privati contenenti anche le coperture delle spese per la prescrizione e la somministrazione di farmaci abortivi e interventi di sterilizzazione: imponendo di fatto una violazione dell’obiezione di coscienza e ponendo a rischio l’attività stessa di ospedali, cliniche, scuole, università e altre strutture cattoliche e non.

Contro queste direttive, oltre quaranta tra arcidiocesi, diocesi, istituzioni e organizzazioni cattoliche hanno avviato azioni legali in dodici tribunali di otto Stati, più il District of Columbia. Un’iniziativa che, pur non prevedendo il coinvolgimento diretto della Conferenza episcopale, è comunque appoggiata da essa in quanto — come ha osservato il cardinale presidente, l’arcivescovo di New York, Timothy Michael Dolan — si tratta di «una dimostrazione convincente dell’unità della Chiesa in difesa della libertà religiosa».

Parlando in occasione di un recente meeting a Indianapolis, promosso dalla Catholic Press Association e dalla Catholic Academy for Communications Arts Professionals, Anderson ha sottolineato che l’opposizione alle direttive delle autorità federali non implica «una scelta politica particolare» ma riguarda «il dibattito sul ruolo della religione nella società americana e la libertà e l’integrità della missione della Chiesa cattolica».

Peraltro, proprio da un sondaggio condotto nei mesi scorsi dall’associazione dei Cavalieri di Colombo era emerso che la maggioranza dei cittadini sostiene il diritto alla libertà religiosa delle organizzazioni e istituzioni, cattoliche e non, anche quando esso entra in conflitto con altre leggi. Il sondaggio, ha osservato Anderson, «rivela che gli americani sono fondamentalmente impegnati a difendere il primo emendamento della Costituzione sulla libertà religiosa». Secondo il cavaliere supremo, «consentire alle persone di rinunciare a servizi o a procedure che violano la loro fede è la cosa giusta da fare ed è anche la chiave per tutelare i diritti del primo emendamento, che gode di un forte sostegno pubblico».

I cattolici, è stato ricordato, non sono soli, in prima linea, nella lotta per l’affermazione della propria libertà.

«Ogni comunità religiosa è coinvolta — ha precisato Carl A. Anderson — perché la posizione assunta dall’amministrazione Obama potrebbe essere caratterizzata dal tentativo di definire in maniera più restrittiva il ministero dei religiosi».

A tale riguardo Anderson ha richiamato una sentenza della Corte suprema con la quale è stato ribadito il principio costituzionale — legato appunto alla garanzia del rispetto della libertà religiosa prevista dalla Costituzione — che lo Stato non può interferire nei rapporti di lavoro che regolano l’attività del personale all’interno delle strutture che fanno riferimento a una comunità ecclesiale. Si tratta, in particolare, della cosiddetta «eccezione ministeriale», legata alla vicenda di una donna, Cheryl Perich, la quale aveva denunciato una comunità luterana nello Stato del Michigan per essere stata, secondo l’accusa, licenziata ingiustamente.

La donna non era stata più considerata idonea a ricoprire il ruolo di called teacher, ovvero di persona avente specifici requisiti di fiducia per ricoprire un ruolo ministeriale, dopo che si erano verificate alcune dispute interne alla stessa comunità religiosa.

A tale riguardo i vescovi cattolici avevano criticato alcuni interventi del Dipartimento per la giustizia del Governo di Washington che puntavano a mettere in discussione la dottrina costituzionale.

Leader e membri di varie organizzazioni cattoliche hanno intanto partecipato, nei giorni scorsi, a un raduno tenutosi a Washington, nell’ambito sempre della Fortnight for Freedom. Oltre un migliaio di partecipanti sono stati accolti, presso la George Washington University, dalle parole pronunciate dal cardinale arcivescovo della città, Donald William Wuerl. Il porporato ha osservato che «la storia degli Stati Uniti è la storia della libertà religiosa», aggiungendo che «ognuno di noi, individualmente e collettivamente, ha bisogno di essere ciò che è, persona di fede». La libertà religiosa — ha puntualizzato ulteriormente il cardinale Wuerl — «è la nostra libertà non solo di adorare Dio, ma di seguire Cristo, il suo Vangelo e di vivere secondo le esigenze della coscienza».

Nel presiedere, il 21 giugno, la messa di apertura della manifestazione Fortnight for Freedom, l’arcivescovo di Baltimore e presidente della Commissione per la libertà religiosa della Conferenza episcopale, William Edward Lori, aveva osservato che «se non riusciamo a difendere i diritti degli individui, la libertà delle istituzioni sarà a rischio e se non riusciamo a difendere i diritti delle nostre istituzioni, la libertà individuale sarà anch’essa messa a rischio». E secondo monsignor Lori, come già affermato in un altro intervento, «l’ondata di secolarismo non può essere contrastata soltanto dai cattolici».

 Fonte: L’Osservatore Romano

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