Il Comunismo

Studio raccolto in un Seminario di Formazione interno ad Alleanza Cattolica nel 1971, utile per capire la genesi del comunismo e la situazione politica attuale.

 

PARTE PRIMA

LA DOTTRINA COMUNISTA

  • Che cosa il marxismo dice di essere
  • Il Materialismo
  • Il materialismo dialettico
  • Il materialismo storico
  • Il comunismo nega: religione, famiglia e proprietà
  • La Rivoluzione Permanente

 

PARTE SECONDA

IL COMUNISMO IN AZIONE

  • Il leninismo
  • La strategia leninista
  • La crisi teoretica del marxismo
  • Conclusione

Note  

PARTE PRIMA

LA DOTTRINA COMUNISTA

 Che cosa il marxismo dice di essere

“Il marxismo leninismo (è una) concezione unitaria del mondo”(1).

Quale “concezione del mondo”? “Il materialismo dialettico è la concezione del mondo propria del partito marxista leninista”(2). “Il marxismo, come concezione del mondo e preso in tutta la sua ampiezza, si chiama materialismo dialettico… Questa denominazione di materialismo dialettico si addice alla dottrina così designata meglio del termine abituale di marxismo”(3).

Il marxismo non è un’astratta teoria Filosofica né un semplice metodo storiografico, e neppure un limitato campo di dottrine economiche e politiche, ma una completa concezione del mondo poggiante sul materialismo dialettico e storico – in cui tutti questi aspetti sono presenti organicamente fusi”(4). Il marxismo non è una somma di dottrine giustapposte che possono essere giudicate separatamente, ma è un tutto organico che deve essere considerato sempre nel suo insieme. Considerazioni del tipo “accetto l’analisi economica del Marxismo ma non la filosofia”, “accetto questa singola parte e rifiuto quest’altra”, denunciano una fondamentale incomprensione del carattere globale del marxismo.

 

Il Materialismo

La filosofia del marxismo è il materialismo… la filosofia di Marx è il materialismo filosofico integrale“(5).

Che cosa è il materialismo? Il materialismo è la dottrina secondo cui la materia è l’unica realtà: non c’è Dio, non c’è anima, non ci sono valori e fini spirituali che trascendono l’uomo, ma tutto ciò che esiste è un prodotto della materia. “Il materialismo… considera come dato primordiale la materia e come dato secondario la coscienza, il pensiero, la sensazione”(6).

Il marxismo distingue due soli tipi di filosofia: – il materialismo, secondo cui tutto ciò che esiste proviene dalla materia – l’idealismo, che ammette l’esistenza di qualcosa che non proviene dalla materia. Idealista, per i marxisti, è dunque non solo Hegel, secondo il quale l’idea è l’unica realtà, ma chiunque affermi l’esistenza di realtà non materiali (Dio, l’anima, ecc.).

Che cos’è la materia?

Il marxismo evita per lo più di impelagarsi in questioni scientifiche sull’essenza della materia (atomi o energia, corpuscoli o onde, ecc.). La materia è una “categoria filosofica” (Lenin): in questo senso è semplicemente definita “ciò che agendo sugli organi dei nostri sensi produce la sensazione”(7). Le proprietà della materia sono l’eternità e l’infinità: ”in ogni sua parte non ha né principio né fine”(8).

“Eternità nel tempo ed infinità nello spazio consistono già originariamente e secondo il semplice senso letterale delle parole nel non avere un termine, alcuna direzione, né su né giù, né a destra né a sinistra”(9). Lo spirito, il pensiero, la coscienza derivano dalla materia: non che il pensiero sia materiale, ma “la nostra coscienza, il nostro pensiero, per quanto appaiano sovrasensibili, sono il prodotto di un organo materiale corporeo: il cervello. La materia non è un prodotto dello spirito, ma lo spirito stesso, non è altro che il prodotto più alto della materia. Questo, naturalmente, è materialismo puro”(10).

 

Il materialismo dialettico

Il materialismo marxista si distingue da tutti quei materialismi che hanno concepito la realtà come oggetto: non invece come attività sensibile, prassi”(11). Il materialismo illuministico (Helvetius, d’Holbach, Diderot), il materialismo positivistico (Moleschott, Buchner) sono materialismi statici, Marx aggiunge una nota dinamica, la dialettica. La materia non è statica, ma è in movimento: “il movimento è il modo di esistere della materia” (12). Come la materia, il movimento è infinito ed eterno: “non si può né creare né distruggere” (13) e “quando noi diciamo che materia e movimento sono increati e indistruttibili, noi diciamo che il mondo esiste come progresso infinito, e abbiamo con ciò compreso tutto ciò che c’è da comprendere” (14). Non un qualunque movimento, ma il movimento dialettico, la dialettica. Per Hegel la dialettica era il movimento dell’unica realtà che e l’Idea, lo Spirito, il Pensiero (“Panlogismo”; tutto è Idea).

Tale movimento avveniva attraverso la continua nascita, dalla lotta di due termini che si urtano, di un terzo termine sintetico che supera gli altri due e che subito diventa il primo membro di una nuova triade. Il processo del reale è sempre un processo triadico: il primo termine si chiama tesi, il secondo antitesi, il terzo – che supera gli altri due – sintesi. Ogni sintesi diventa la tesi di una nuova triade, e così via all’infinito.

 

Il materialismo storico

Il materialismo storico è l’applicazione del materialismo dialettico alla storia della società: “Il materialismo storico estende i principi del materialismo dialettico allo studio della vita sociale… allo studio della storia e della società” (23). Non si tratta di un’altra componente dissociabile dal materialismo dialettico: la stessa evoluzione della materia, che ha prodotto l’uomo mediante il lavoro primordiale, prosegue, sempre avanzando dialetticamente, mediante il lavoro organizzato. Lavorando, l’uomo si trasforma, la natura si muta, l’evoluzione continua: “cambiare la società” significa allora “cambiare l’uomo”.

 

La storia interpretata materialisticamente

L’elemento fondamentale dell’evoluzione storica è l’elemento materiale, economico: “La forma fondamentale dell’attività degli individui è naturalmente quella materiale, dalla quale dipende ogni altra forma intellettuale, politica, religiosa, ecc.” (24). “Le relazioni fondamentali di ogni società umana sono quindi i rapporti di produzione” (25) che costituiscono la “struttura essenziale” la “infrastruttura” su cui si impianta la “sovrastruttura” ideologica (morale, diritto, arte, religione, ecc.) che non ne è che il riflesso. “Non è la coscienza dell’uomo che determina la sua maniera di essere, ma è, al contrario, la sua maniera di essere sociale che determina la sua coscienza” (26).

I rapporti di produzione determinano le classi sociali, che si presentano come dato costante della storia da quando esiste la proprietà privata. La storia, dunque, è storia di classi.

 

La storia interpretata dialetticamente

Le classi entrano necessariamente in conflitto fra di loro: “La lotta di classe… è un fenomeno assolutamente necessario e inevitabile” (27). La conflittualità storica che si esprime nella lotta di classe è diretta conseguenza della conflittualità filosofica della dialettica. Nella storia c’è un necessario processo dialettico, che si fonda sulla contradditorietà del reale e sulla lotta degli opposti. Da questa lotta, attraverso il processo triadico tesi-antitesi-sintesi, scaturisce il progresso.

La storia di ogni società finora esistita è storia di lotta di classe. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba… in una parola, oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta… una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta” (28).

E’ la tesi mentale del “Manifesto del partito comunista”. Allo stadio attuale in cui è giunta, la lotta di classe si è semplificata, al punto che non esistono più che due classi: borghesi e proletari. “L’epoca nostra, l’epoca della borghesia, si distingue… perché ha semplificato i contrasti fra le due classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi direttamente opposte l’una all’altra: borghesia e proletariato” (29).

La borghesia è la classe sfruttatrice, il proletariato è la classe sfruttata. Lo sfruttamento consiste in questo: che il proletario con il suo lavoro crea nella merce che produce un “valore” che solo parzialmente è coperto dal salario che percepisce, mentre per il rimanente è accumulato dal capitalista, il quale si arricchisce grazie a questo plusvalore ingiustamente sottratto al lavoratore.

Di qui l’aggravarsi delle condizioni del proletariato, che necessariamente condurrà alla rivoluzione e alla “dittatura del proletariato”, insieme esito necessario e termine della lotta di classe in quanto ché, dopo la vittoria del proletariato, non si potrà più parlare di classi distinte. La lotta di classe, cioè, “ha ora raggiunto un punto in cui la classe sfruttata e oppressa (il proletariato) non può più liberarsi dalla classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia) senza liberare anche a un tempo, e per sempre, la società tutta dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalla lotta fra le classi” (30).

Occorre notare che la teoria economica del valore-lavoro, che è il nucleo del “Capitale” di Marx, non può essere staccata dal quadro filosofico generale del marxismo. Non si può “accettare l’analisi economica di Marx rifiutando la sua filosofia”, come alcuni dicono: agli economisti che criticavano la nebulosa teoria del valore-lavoro, il marxista Rudolf Hilferding rispose nel 1904 (ne “La critica di Bohm-Bawerk a Marx”) che “il problema non si pone a livello semplicemente economico”. L’analisi materialista dell’economia non si può giudicare indipendentemente dal materialismo dialettico, anzi è l’applicazione del materialismo dialettico all’economia.

 

La dittatura del proletariato e il deperimento dello Stato

La dittatura del proletariato è un momento di transizione verso la società senza classi: e poiché lo Stato è la traduzione storica degli antagonismi di classe, macchina repressiva, strumento di dominazione, la scomparsa delle classi porterà con sé la scomparsa dello Stato. Il fine è analogo a quello anarchico. In termini giuridici si avranno:

1°) – un periodo di super-diritto (la dittatura del proletariato) in cui il diritto regolerà minuziosamente la vita dell’individuo in tutti i minimi particolari, cioè di massimo potere possibile dello Stato sulla persona.

2°) – un periodo di non-diritto, in cui non ci sarà più bisogno di codici né di leggi perché le masse seguiranno spontaneamente il meglio. “Il proletariato non ha bisogno dello Stato che per un certo tempo. Non siamo affatto in disaccordo con gli anarchici quanto all’abolizione dello Stato, come fine. Affermiamo che, per respingere gli avversari e raggiungere questo scopo, è necessario utilizzare provvisoriamente gli strumenti… del potere dello Stato contro gli sfruttatori, così come, per la soppressione delle classi, è indispensabile la dittatura provvisoria della classe oppressa” (31).

Come finirà la dittatura del proletariato, lo Stato proletario? Non in maniera violenta, come è finito lo Stato borghese, ma, secondo Lenin, in modo naturale, per deperimento. Ci sarà, cioè, uno spontaneo passaggio dalla fase inferiore alla fase superiore della società comunista. Allora “tutta la società non sarà più che un grande ufficio ed una grande fabbrica con eguaglianza di lavoro ed eguaglianza di salario” (32). Dittatura degli operai armati che secondo Lenin determinerà l’assuefazione al lavoro spontaneo: e, mentre il capitalismo borghese remunerava secondo il lavoro effettuato, la società senza classi remunererà ognuno secondo i suoi bisogni. “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”.

Questo passaggio dal capitalismo alla fase inferiore del comunismo (dittatura del proletariato) in cui tutti sono coercitivamente uguali, e dalla fase inferiore a quella superiore (società senza classi) in cui l’uguaglianza è invece il risultato delle libere volontà, è secondo Lenin inevitabile, e dunque non è utopistico, ma scientifico. Si ignorano i tempi dello sviluppo, ma abbiamo la certezza di questo “deperimento”: l’evoluzione storica travolgerà la religione, la famiglia, la proprietà.

 

Queste grandi linee dell’ideologia marxista ci permettono di definire il marxismo una setta filosofica: non una scuola, non una corrente, non un movimento di pensiero, ma una setta per il suo carattere religioso: una religione evidentemente secolarizzata e trasposta sul piano temporale. Si tratta di una vera e propria utopia: e il carattere proprio di ogni utopia è quello di falsare le leggi necessarie della natura, falsare quell’ordine che è stato dato da Dio e a cui l’uomo deve conformarsi, entro cui deve realizzarsi.

L’odio per Dio porta a negare la Sua creazione: la natura. Così, mediante il processo dell’evoluzione storica, il marxismo cerca di dissolvere le realtà naturali prime, facendone pure realtà storiche in balia del trionfante divenire: cosi è per la religione, la famiglia, la proprietà.

 

Il comunismo nega la religione, la famiglia, la proprietà

A) Religione

Il marxismo, presentandosi come materialismo e negando quindi l’esistenza di Dio, nega di conseguenza la religione come rapporto necessario che lega, attraverso il rito, l’uomo a Dio.

La religione è una sovrastruttura: “L’uomo fa la religione e non la religione l’uomo… (la religione) è la realizzazione fantastica dell’essenza umana”, “essa è l’oppio del popolo” (33). “La religione – aggiunge Lenin – è una specie di acquavite spirituale, nella quale gli schiavi del capitale annegano la loro personalità umana e le loro rivendicazioni di una vita in qualche misura degna di uomini” (34).

Secondo la Grande Enciclopedia Sovietica, la religione “è antisocialista per definizione, costituendo il prodotto dell’impotenza e dell’ignoranza: è l’oppio del popolo, secondo quell’affermazione di Marx che Lenin definì la base della dottrina marxista in materia“(35). La religione è dunque un male sociale che la rivoluzione comunista deve combattere: “la nostra propaganda comprende necessariamente anche la propaganda dell’ateismo” (36).

Secondo l’art. 124 della Costituzione Sovietica: “La libertà di culto e la libertà di propaganda antireligiosa sono riconosciute per tutti i cittadini“. Di fatto la propaganda religiosa e l’insegnamento religioso sono proibiti, mentre è favorita e incrementata la propaganda ateistica e antireligiosa. In realtà, come ogni forma di pensiero rivoluzionario, il marxismo vuole “sostituire il culto dell’uomo al culto di Dio: “La critica della religione disinganna l’uomo affinché egli consideri, plasmi e raffiguri la sua realtà come un uomo disincantato, divenuto ragionevole, perché egli si muova intorno a se stesso e quindi al suo vero sole. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all’uomo, finché questi non si muove attorno a se stesso” (37). “La critica della religione porta alla dottrina secondo la quale l’uomo è per l’uomo l’essere supremo” (38).

L’uomo è Dio dell’uomo, e l’utopia del paradiso che la Rivoluzione creerà sulla terra sostituisce la fede nella vita eterna: “la lotta effettivamente rivoluzionaria della classe oppressa per creare il paradiso in terra é per noi più importante dell’unita delle idee dei proletari sul paradiso in cielo” (39). La religione è però insieme “espressione della miseria e protesta contro di essa” (40). Marx, come poi Gramsci, distingue dunque:

– una religione “progressiva” (la “protesta contro la miseria”) che esprime utopisticamente, in forma confusa e mitica, l’ugualitarismo rivoluzionario che solo il marxismo esprimerà scientificamente. Questa “religione” va dunque “demistificata” e “inverata”: il credente progressista, seguendo la sua stessa linea di pensiero, va condotto coerentemente all’ateismo marxista;

–  una religione “tradizionale” (“espressione della miseria”) che va totalmente sradicata e distrutta.

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B) Famiglia

La famiglia è una sovrastruttura

La famiglia, come la religione e la proprietà, è per il comunismo una realtà di storia e non di natura: quindi “che l’abolizione dell’economia separata sia inseparabile dall’abolizione della famiglia è cosa che s’intenda da sé” (41). Secondo Marx il comunismo finirà per introdurre “una forma superiore del rapporto tra i due sessi” fondata sulla “composizione del personale operaio combinato con individui d’ambo i sessi e delle età più differenti” (42).

L’origine della famiglia

Secondo Engels (nella nota opera “l’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” (43), fondata peraltro sugli studi dell’etnologo americano Morgan, oggi caduti nel più completo discredito) la famiglia monogamica è nata con la proprietà privata e col diritto del padre di trasmettere il capitale.

Nell’epoca primitiva l’orda originaria viveva non solo nel comunismo primitivo, ma anche nella completa promiscuità sessuale. Soltanto successivamente nella società di classi nata con la proprietà privata, nasce la famiglia, dove la donna è vittima e l’uomo sfruttatore: anzi, c’è un rapporto fra l’alienazione familiare e lo sfruttamento della classe oppressa, il proletariato. Il passaggio al comunismo comporterà dunque la “liberazione della donna” mediante la soppressione della famiglia.

La soppressione della famiglia

Secondo Engels il comunismo sopprimerà “la duplice base dell’odierno matrimonio – la dipendenza della donna dall’uomo e dei figli dai genitori” (44). Le due soppressioni sono collegate: emancipare la donna per il marxismo vuol dire emanciparla dal lavoro domestico e toglierle l’educazione dei figli, che sarà effettuata dallo Stato socialista: “Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune la famiglia singola cessa di essere l’unità economica della società.

L’amministrazione domestica privata si trasforma in una industria sociale. La cura e l’educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse; e la società ha cura in eguale modo di tutti i fanciulli” (45). Tutto questo dovrebbe portare all’abolizione del matrimonio e al libero amore: ”I rapporti dei due sessi diventeranno rapporti del tutto privati che riguardano soltanto le persone direttamente interessate e nei quali la società non avrà minimamente di che immischiarsi” (46). In pratica nell’Unione Sovietica ci sono stati atteggiamenti diversi.

Prima tappa: tentativo di distruggere il vecchio tipo di matrimonio: introduzione immediata del divorzio e, per la prima volta nella storia, dell’aborto (1° dicembre 1917), negazione della validità del matrimonio religioso (20 dicembre 1917), nuovo diritto di famiglia (settembre 1918);

Seconda tappa: Codice del 1926 (in vigore dal 1° gennaio 1927): viene riconosciuto il “matrimonio non registrato”, cioè l’unione libera, accanto al matrimonio registrato. E’ il momento del libero amore: in Russia viene accolto con entusiasmo Wilhelm Reich, fondatore nel 1931 dell’organizzazione SEXPOL e teorico di un incontro tra Marx e Freud nella teoria della funzione rivoluzionaria del libero orgasmo (molte sue teorie sono state riprese da H. Marcuse); la promiscuità sessuale viene incoraggiata;

Terza tappa: di fronte alle necessità, industriali e belliche poi, i capi dell’Unione Sovietica sentono il bisogno di una certa integrità psico-fisica della popolazione e decidono di arrestare il processo dissolutivo del “libero amore”. Le “unioni libere” vengono scoraggiate; si viene – in un certo senso – a patti con la natura: ma ”l’abolizione del matrimonio”, anche se non ancora tecnicamente possibile, resta il fine della società conquista.

 

C) proprietà

“I comunisti possono riassumere la loro dottrina in questa unica espressione: abolizione della proprietà privata“(47).

Anche la proprietà privata è per il marxismo una realtà storica e non naturale; per Engels sono esistite diverse forme di proprietà che corrispondono ai diversi stadi di sviluppo della divisione del lavoro: la proprietà della tribù, la proprietà della città antica, la proprietà feudale, infine la proprietà privata basata sul capitale e sull’industria moderna. La proprietà privata è per Marx conseguenza del lavoro alienato e, nello stesso tempo, mezzo in cui il lavoro si aliena.

La proprietà è la tesi di cui la classe operaia è l’antitesi: producendo il proletariato, la proprietà ha segnato la sua fine.

La Rivoluzione sarà un atto di appropriazione, l’abolizione di ogni proprietà. “La proprietà privata dovrà essere abolita e sostituita dall’uso in comune di tutti i mezzi di produzione e dalla distribuzione di tutti i prodotti secondo un’intesa generale, cioè dalla comunanza dei beni.

L’abolizione della proprietà privata é anzi la più significativa sintesi della trasformazione dell’intero ordinamento sociale, come necessariamente deriva dallo sviluppo dell’industria, ed è quindi a ragione messa innanzi dai comunisti quale rivendicazione principale” (48). E’ importante notare che secondo Engels l’abolizione della Proprietà privata “non potrà essere effettuata in un colpo solo” ma “solo gradatamente” (49), mediante varie tappe, tra cui: “limitazione della proprietà privata per mezzo d’imposte progressive, imposte sull’eredità, ecc. graduale espropriazione della proprietà fondiaria, dei proprietari di fabbriche e di ferrovie e degli armatori di navi, accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo di una banca nazionale con capitale di stato e soppressione di tutte le banche private… concentrazione dei mezzi di trasporto sotto il controllo dello Stato.

Queste misure non possono, naturalmente essere adottate tutte in una volta. Ma l’una trarrà con sé l’altra. Appena dato il primo radicale assalto alla proprietà privata, il proletariato si vedrà costretto ad andare più avanti ed a concentrare sempre di più il capitale, tutta l’industria, tutti i mezzi di comunicazione e di scambio nelle mani dello Stato” (50).

Nella prassi degli attuali partiti comunisti queste tappe non iniziano necessariamente nel momento in cui il comunismo va al potere ma già prima, costringendo i governi non comunisti a una “politica di riforme” che attacchi la proprietà con pressioni fiscali, nazionalizzazioni, ecc.

Negando la religione, la famiglia e la proprietà, il comunismo nega le istituzioni naturali. Il comunismo si definisce come negazione dell’ordine naturale, riflesso a sua volta di una legge naturale che ha in Dio il suo autore, e si qualifica dunque come una delle manifestazioni storiche di quel rifiuto che la società moderna opera di Dio.

Rifiuto che definiamo Rivoluzione, caricando questo termine di una valenza e non di affermazione. La negazione di Dio comporta immediatamente la negazione dell’essere, che il marxismo vorrebbe dissolvere nel movimento e nel divenire. Il comunismo, così, si presenta necessariamente te come Rivoluzione permanente.

 

La Rivoluzione Permanente

Occorre vincere un pregiudizio fondamentale che rischia di impedire qualunque considerazione adeguata del comunismo.

Molti pensano che l’obiettivo del comunismo sia l’instaurazione di una società perfetta, da cui tutte le ingiustizie siano eliminate: la Rivoluzione sarebbe un mezzo per raggiungere questo fine. Nulla di meno marxista! Lo scopo è fare la Rivoluzione: e i mezzi sono le contraddizioni che si incontrano (o che il Partito crea) nella società.

“Marx non si rifece… dal proletariato, dai suoi bisogni e dalle sue sofferenze, dalla necessità di liberarnelo, per trovare poi, come unica via della salvezza del proletariato, la Rivoluzione. Al contrario, egli camminò proprio all’inverso… Nel cercare la possibilità della Rivoluzione, Marx trova il proletariato” (51). Il marxismo non ha come scopo l’eliminazione della miseria: “Il marxismo non arreca un umanitarismo sentimentale e piagnucoloso. Marx non si è chinato sul proletariato perché esso è oppresso, per lamentarsi della sua oppressione… Il marxismo non si interessa al Proletariato in quanto esso è debole – come le persone “caritatevoli”, certi utopisti, “paternalisti”, sinceri o no – ma in quanto esso è una forza… In una parola, il marxismo vede nel proletariato il suo avvenire e le sue possibilità” (52).

 “Lo scopo della riforma agraria non è di dare delle terre ai contadini poveri né di alleviare le loro miserie: questo è un ideale da filantropi, non da marxisti… Il vero scopo della riforma agraria é la liberazione delle forze rivoluzionarie nel paese” (53). Anzi, il marxismo si serve della miseria come strumento: senza la miseria del proletariato non sarebbe possibile la rivoluzione; essa non è dunque un male da eliminare, ma un mezzo da sfruttare per il fine. Al contrario, “la ‘prosperità industriale’ determina i tentativi di ‘comprare gli operai’ e di allontanarli dalla lotta: questa prospettiva in genere ‘demoralizza’ gli operai” (54).

Così, nei loro scritti sull’India e sulla Cina Marx ed Engels si rallegrano cinicamente della miseria generata dai tentativi inglesi di industrializzazione forzata dell’0riente: essa alimenterà la Rivoluzione. “Per quanto sia sentimentalmente deprecabile lo spettacolo di queste miriadi di laboriose comunità sociali patriarcali e inoffensive, disorganizzate e dissolte nella loro unità, gettate in un mare di lutti e i loro membri singoli privati a un tempo della forma di civiltà tradizionale e dei mezzi ereditari di esistenza” e anche se “la Gran Bretagna era animata dagli interessi più vili” “non e questo il problema. Il problema è: può l’umanità compiere il suo destino senza una profonda rivoluzione nei rapporti sociali dell’Asia? Se la risposta è negativa, qualunque sia il crimine perpetrato dall’Inghilterra, essa fu, nel provocare una simile rivoluzione, lo strumento inconscio della storia” (55).

Anche dal sistema del libero scambio e degli eccessi del capitalismo nascente Marx si rallegra per lo stesso motivo: “Ai nostri giorni il sistema di libero scambio dissolve le antiche nazionalità e spinge all’estremo l’antagonismo fra borghesia e proletariato: insomma, il sistema della libertà di commercio affretta la rivoluzione sociale. E’ solo in questo senso rivoluzionario che io voto a favore del free-trade” (56).

Concludendo, il marxismo non ha per fine la riforma, ma la rivoluzione: “per il riformista la riforma è tutto… per il rivoluzionario, al contrario la cosa principale è il lavoro rivoluzionario e non la riforma: per lui, la riforma non è che il prodotto accessorio della Rivoluzione… Una riforma è naturalmente uno strumento di rafforzamento della Rivoluzione, un punto d’appoggio per lo sviluppo continuo del movimento rivoluzionario” (57).

Dunque la rivoluzione è il fine.

 

Ma quale Rivoluzione? Che cos’è la Rivoluzione?

Occorre ricordare che il marxismo consta anzitutto, come si è detto, di due princìpi fondamentali:

1°) – il mondo è materia in evoluzione dialettica e in continua marcia verso il meglio;

2°) – esiste una “parte”, o meglio, un’età della materia, l’uomo, che, a differenza degli altri esseri, è in grado di comprendere (grazie al pensiero, che pure deriva dalla materia) legge dialettica dell’evoluzione. Egli può (e quindi deve) collaborare al divenire evolutivo. Può accelerare la Rivoluzione, la marcia verso il meglio.

Questo aiuto che l’uomo dà all’evoluzione è detto appunto Rivoluzione. La Rivoluzione, cioè la collaborazione dell’uomo al divenire evolutivo, si compie in due fasi:

1°) – una fase negativa: la distruzione di tutte quelle realtà e quegli istituti che, essendo naturali, sono stabili, tendono a permanere nel proprio essere, a restare uguali a sé stessi, e dunque sono colpevoli di “lesa evoluzione”. Per questo la Rivoluzione deve abbattere la famiglia, la religione, la proprietà, la stessa natura umana;

2°) – una fase positiva: dopo l’instaurazione della società comunista, il lavoro collettivo, corale, incessante di tutti gli uomini per ottenere la propria auto-evoluzione attraverso la modificazione della natura esterna e interiore. La Rivoluzione perciò non è un semplice rivolgimento storico: “La nostra rivoluzione è diversa dalle altre rivoluzioni della storia… per il proletariato, la liberazione e la vittoria politica sono soltanto l’inizio della Rivoluzione” (58).

Ma il divenire incessante, la contraddizione come essenza della realtà: “la vita consiste anzitutto precisamente nel fatto che un essere, in ogni istante, è se stesso ed è anche un altro. Quindi la vita è del pari una contraddizione presente nelle cose e nei fenomeni stessi, contraddizione che continuamente si risolve; e non appena la contraddizione cessa, cessa anche la vita” (59). E’ l’esito ultimo del primato del divenire sull’essere.

La società rivoluzionaria é la società della contraddizione incessante, la società della negazione della natura, della negazione di Dio nella sua opera, e il marxismo è l’adorazione filosofica del divenire. La futura “società comunista“, così, non sarà certo una società senza contraddizioni (quasi che la dialettica potesse cessare!) né senza lotte (Mao Tze-Tung ha teorizzato la necessità di continue “rivoluzioni culturali” anche dopo l’avvento del socialismo) e del resto “Marx non ha mai detto che il comunismo possa essere il periodo terminale della storia umana. Anzi, al contrario. Solamente, di ciò che verrà in seguito noi non possiamo esattamente dir nulla” (60).

Lo slogan che circolava tra i bolscevichi, la cui formulazione sembra paradossale, al contrario definisce rigorosamente il carattere della Rivoluzione comunista: “La méta è nulla, il movimento è tutto!”.

 

 

 

PARTE SECONDA

IL COMUNISMO IN AZIONE

Il leninismo

1) Il leninismo

Il comunismo, come abbiamo visto, si definisce come negazione della natura, e negazione, nella natura, del suo Autore, cioè di Dio. Il comunismo, tuttavia, conosce la natura.

Se non la conoscesse, del resto, non potrebbe negarla. Sa cioè che esiste una natura, afferma la possibilità di trasformarla – ma, per trasformarla, comincia col tenerne conto. Solo in questa prospettiva si può capire Lenin e comprendere lo spartiacque tra quel filone di socialismo romantico che va da Blanqui a Sorel e che è noto come blanquismo, e il marx-leninismo, il leninismo scientifico che non si accontenta dell’improvvisazione romantica, ma fa della Rivoluzione non solo uno slancio o una tensione ideale, ma una scienza. Si tratta di due linee metodologicamente contrapposte.

Il blanquismo è volontarismo rivoluzionario, la versione rivoluzionaria, cioè, di quello che dalla parte opposta viene talvolta indicato come golpismo. La sua prospettiva si potrebbe riassumere in questi termini: bisogna trovare delle persone assolutamente disposte a fare la rivoluzione secondo la modalità operativa principale della cospirazione, fino al colpo di Stato. I dati naturali, lo stato della nazione, interessano marginalmente: e il blanquismo è più interessato al reclutamento di rivoluzionari che alla loro formazione, perché pensa, volontaristicamente, che basti la ferma volontà di fare la Rivoluzione per assicurarne il successo.

Il leninismo è invece una prospettiva più complessa che, senza negare la necessità del reclutamento del nucleo di militanti necessari all’operazione rivoluzionaria, si sforza di costruirli razionalmente tenendo conto dei dati naturali e della struttura naturale della società.

La natura conosce l’autorità, conosce la gerarchia, conosce legge secondo cui sono i pochi a guidare i molti: verità elementari che i teorici dell’élitismo (Mosca, Pareto, Michels) riscopriranno in quegli anni e che lo stesso Lenin riaffermerà, tanto da essere definito da parte dello storico social-democratico Borkenau, come l’”antidemocratico” fautore della “teoria fascista delle élites” (61).

Si può discutere sulla fedeltà di Lenin a Marx, ma certamente, se è vero che la prassi è per il marxismo il metro di giudizio della dottrina, Lenin è, più di Marx, il vero Marxista e il vero rivoluzionario: Lenin ha fatto la Rivoluzione, mentre Marx si è limitato a parlarne.

Il marxismo, abbiamo detto, è una setta filosofica: ma non è soltanto questo, perché passa all’azione, è azione, è prassi rivoluzionaria. Esso si può dunque ulteriormente definire come una setta filosofica che attraverso un’organizzazione sovversiva si propone la conquista del mondo.

a) – una setta filosofica… non solo una filosofia, non solo una scuola di pensiero, ma una concezione del mondo che surroga la religione presentandosi in termini di certezza assoluta. Il filosofo non è lo studioso delle leggi oggettive della natura ma l’apostolo intollerante di una nuova verità. Su questo piano è evidente la filiazione dall’illuminismo, primo movimento culturale che abbia inteso fare del filosofo non un conoscitore della verità, ma un propagandista.

b) – …che attraverso un’organizzazione sovversiva… Il Marxismo introduce dunque un elemento ulteriore: il primato della prassi, elemento di radicale novità che fa del filosofo non solo un propagandista culturale, ma un uomo che agisce, che fa, un organizzatore e propagandista della Rivoluzione.

In questo senso non è soltanto una setta filosofica, ma una vera organizzazione sovversiva. Lenin, che i socialdemocratici accusano di aver deformato il pensiero di Marx, è l’autentico marxista, e la Rivoluzione Russa, più che l’apparizione del Manifesto o del Capitale, è l’avvenimento filosofico per eccellenza.

c) – …si propone la conquista del mondo. Il marxista e l’uomo che lotta per una verità (anche se di tipo tutto particolare): è una verità che ha caratteri di universalità.

Non una verità, metafisica, ma la “verità” che nasce dalla storia: il marxista non è mosso da volontà di potenza, ma da una fede cieca nella storia. Il mondo marcia verso il comunismo, verso il fenomeno universale e perpetuo della società senza classi. Le caratteristiche che il cristiano attribuisce all’Al dì là vengono attribuite a questo al dì qua nella loro totalità. Unica è la Storia, unica è l’attività lavorativa mediante la quale l’uomo si autotrasforma: unica, dunque, dovrà essere infine la società comunista, vero contro-Impero mondiale da cui nessun uomo dovrà restare fuori.

 

La strategia leninista

La preoccupazione di fondo di Lenin è quella di fare la Rivoluzione. E, per fare la Rivoluzione, occorre rispettare certe leggi naturali ineliminabili. Una di queste leggi dice che non sono le masse, ma le minoranze a fare la storia. Gli uomini non sono uguali, esiste una gerarchia naturale, sono i pochi a muovere i molti.

Il profeta dell’ugualitarismo fare sua questa verità squisitamente reazionaria… cadendo così, secondo alcuni, in un atteggiamento antimarxista o “fascista”: ma è stata proprio questa conoscenza della natura ad assicurare il successo dell’azione rivoluzionaria di Lenin.

Lenin intuisce che le società si fanno e si distruggono a partire dagli uomini: “c’è una massa di individui, ma gli uomini mancano” e “gli uomini mancano perché non vi sono dirigenti, non vi sono capi politici, non vi sono intellettuali capaci di organizzare un lavoro vasto e nello stesso tempo coordinato, armonico che permetta l’utilizzazione di qualunque forza, anche della più insignificante” (62). Occorrono invece “uomini che consacrino alla Rivoluzione non solo le sere libere, ma tutta la loro vita” (63).

una “organizzazione degli operai“, “la più vasta possibile e la meno clandestina possibile” (64). Si tratta di organizzazioni “molto larghe”: “non è nel nostro interesse esigere che solo i social-democratici (cioè, nel linguaggio di Lenin, i marxisti convinti possano appartenere a queste associazioni… perché ciò restringerebbe la nostra influenza sulla massa” (65).

una “organizzazione dei rivoluzionari“, formata da “uomini la cui professione sia l’azione rivoluzionaria” che “necessariamente non deve essere molto estesa e deve essere quanto più clandestina possibile” (66).

Si tratterà necessariamente di una minoranza anche perché “e molto più difficile impadronirsi di una decina di teste forti che non di un centinaio d’imbecilli” (67); e di una minoranza rigorosamente formata: “per militanti del nostro movimento il solo principio organizzativo serio deve essere: segreto rigoroso, scelta minuziosa degli iscritti, preparazione di rivoluzionari professionali” (68).

Come si vede, si tratta di un’organizzazione fondata su criteri tutt’altro che democratici o ugualitari: Lenin afferma che “non è possibile sostituirla con il controllo democratico generale” e che i rivoluzionari “non hanno il tempo di pensare alle forme esteriori della democrazia… ma sentono molto fortemente la propria responsabilità e sanno inoltre per esperienza che, per sbarazzarsi di un membro indegno, un’organizzazione di veri rivoluzionari non arretrerà innanzi a nessun mezzo (69).

Attraverso questa duplice struttura, sotto la guida segreta ma ferrea del piccolo gruppo dei rivoluzionari di professione, la setta filosofica diviene partito, che è parola etimologicamente pertinente, quasi a indicare la divisione dell’umanità in due campi. E’ un esercito speciale che conduce una guerra ben più totale della “guerra totale”, perché non è circoscritta alle operazioni militari, anche se il partito ha una struttura tipicamente militare.

Questa rigorosa organizzazione è considerata da Lenin essenziale al successo della Rivoluzione. Una dura polemica è pertanto condotta contro i socialisti democratici, dall’altra contro gli “estremisti” dei gruppuscoli socialrivoluzionari. Ai democratici, ai menscevichi, ai “socialtraditori”, allo stesso Kautsky che si limita ad una ortodossia formale nei confronti di Marx, Lenin ricorda che “una centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono condizioni essenziali per la vittoria sulla borghesia” (70). Occorre “un partito temprato nella lotta”: “chi indebolisce, sia pure di poco, la disciplina ferrea del partito del proletariato (soprattutto durante la dittatura del proletariato) aiuta di fatto la borghesia” (71).

Ai dottrinaristi di sinistra, ai socialrivoluzionari, agli anarchici, Lenin obietta che per vincere occorre “combinare le forme di lotta legali e illegali, parlamentari ed extraparlamentari” (72): “i rivoluzionari che non sanno combinare le forme illegali di lotta con tutte le forme legali sono pessimi rivoluzionari” (73). I “bolscevichi di sinistra” che rifiutano di partecipare al “parlamento reazionario” hanno forse compreso i principi teorici ma non la strategia del comunismo. “Tutta la storia del bolscevismo – risponde Lenin – prima e dopo la rivoluzione di ottobre è piena di casi di destreggiamenti, di accordi, di compromessi con altri partiti, compresi i partiti borghesi.

Condurre la guerra per il rovesciamento della borghesia internazionale, guerra cento volte più lunga, più difficile e più complicata delle guerre abituali fra gli Stati, e rinunziare in anticipo a destreggiarsi, a sfruttare i contrasti di interessi (sia pure temporanei) tra i propri nemici, rinunziare agli accordi ed ai compromessi con eventuali alleati (sia pure temporanei, poco sicuri, esitanti, condizionati) non è cosa infinitamente ridicola? Non è come se nell’ardua scalata di un monte ancora inesplorato e inaccessibile si rinunciasse preventivamente a fare talora degli zig-zag, a ritornare qualche volta sui propri passi, a lasciare la direzione presa all’inizio per tentare direzioni diverse?” (74).

Il “partito di ferro” è indispensabile alla strategia comunista, ma esso deve sempre essere disponibile al compromesso tattico. la “disciplina ferrea del partito” e il “destreggiarsi” sono due aspetti inscindibili di un’unica metodologia. Questa metodologia, applicata ai paesi occidentali e cristiani tramite la riflessione di Gramsci, si perfeziona proprio nei nostri anni, con il programma di compromesso culturale. Esso consiste nella ricerca della conquista dello Stato attraverso la conquista della società, mediante una lenta e accorta penetrazione di tutte le sue strutture: la scuola, le società economiche, la magistratura, lo stesso mondo cattolico sono lentamente infiltrati dall’interno.

L’ala marciante della Rivoluzione si serve così della tecnica di trasbordo ideologico e della complicità dei moderati per acquistare sulla società quella egemonia che, sola, può garantirne il successo. Per fare ciò occorre un compromesso culturale, in cui il mondo non-comunista, e in particolare quello cattolico, rinuncino alla difesa del proprio modello di uomo e di società; mentre il movimento comunista, per parte sua, essendo una ideologia della prassi, ed essendo vincolato solo al successo della Rivoluzione, mantenga, al di là delle concessioni verbali, il proprio progetto egemonico.

 

La crisi teoretica del marxismo

A) – Due posizioni insuperabili.

Da una parte: Stalin e Trotzsky Di fatto, l’esito storico-politico del marxismo è la contrapposizione di due posizioni che si muovono a vicenda critiche insuperabili: lo stalinismo e il trozskismo.

Queste due posizioni hanno un significato che va al di là della polemica fra Stalin e Trotsky (terminata con l’esilio del secondo e il suo assassinio in Messico nel 1940, preceduto dallo sterminio dei trotzskisti nei campi di concentramento staliniani): esse possono essere assunte come categorie, considerate come due atteggiamenti tipici all’interno del comunismo.

In Italia ad esempio, con qualche differenza, Togliatti gioca il ruolo di Stalin, e Bordiga – il vecchio capo del PCI espulso dal partito – quello di Trotzsky, mentre Gramsci, che pure era alla ricerca di una filosofia che permettesse di evitare sia lo stalinismo che il trotzskismo, messo nella necessità di scegliere si orienta di fatto verso lo stalinismo. Trotzsky introduce il concetto di “rivoluzione tradita”, in Russia non si è realizzato il vero comunismo, perché Stalin ha tradito la Rivoluzione.

Con Stalin la Rivoluzione ha assunto e rafforzato le realtà e gli istituti che avrebbe dovuto negare: lo Stato, l’autorità, la burocrazia, l’élite dirigente, l’apparato poliziesco, ecc. Soprattutto, la Rivoluzione si è circoscritta a una sola nazione (“socialismo in un solo paese”) tradendo così il concetto marxista di “Rivoluzione permanente” che avrebbe postulato un tentativo immediato di estendersi al mondo intero.

Stalin risponde: non esiste un “comunismo ideale”; la realizzazione sovietica, il “socialismo in un solo paese” è l’unico modo per fare avanzare la Rivoluzione, e le critiche Trotzsky rappresentano una posizione utopistica, idealista, che in ultima analisi favorisce l’avversario. Chi ha ragione? Stalin o Trotzsky? Tutti e due. Ha ragione Trotzsky: perché il comunismo, come ogni Rivoluzione, ha inevitabilmente esiti totalitari. Ma ha ragione anche Stalin: perché la Rivoluzione non poteva riuscire che a condizione di essere tradita, tanto che l’iniziatore del “tradimento” è stato lo stesso Lenin. Egli, prima di Stalin, ha dato allo Stato sovietico i caratteri che Trotzsky denunciava.

Ma nella stessa filosofia marx-leninista, di cui Trotzsky sottolinea l’importanza, erano insiti quegli sviluppi che egli combatte. Non esistono due comunismi: il comunismo ideale, mai realizzato, e il comunismo “tradito” degli stati socialisti; la costruzione ideale, per la sua stessa struttura, non può dare altro esito, nella pratica, che lo Stato totalitario e oppressivo di cui l’Unione Sovietica è il modello.

Così, la contrapposizione fra Stalin e Trotzsky rimane insuperabile: e l’irresolubile alternativa può essere mascherata soltanto degradando la filosofia a ideologia, imponendo autoritariamente una strada, facendo dell’ideologia sovietica quel “cumulo di menzogne” sistematiche, oppressive, che Solzenicyn denuncia nel suo scritto “Vivere senza menzogna”.

Dall’altra: la materia e la dialettica. Oltre e sotto la prima contrapposizione (storico-politica) ve ne è una seconda (teoretica), altrettanto insuperabile. Siamo abituati a dare per scontato il passaggio da Hegel a Marx: Marx avrebbe “raddrizzato” Hegel – il passaggio sarebbe filosoficamente ineccepibile. Ma lo è davvero? E’ il materialismo dialettico una filosofia coerente? Può la materia essere il soggetto della dialettica? Certo: il marxismo è un tutto inscindibile in cui il materialismo e la dialettica non possono essere separati.

Ma se unire questi due elementi è arbitrario, allora il marxismo è un falso filosofico: e il mettere l’accento sull’uno o sull’altro aspetto dovrà portare a uscire dal marxismo. Di fatto, storicamente il marxismo ha sempre teso a una simile decomposizione:

– sia in Russia: lotta fra Bucharin (accusato di materialismo positivista) e Trotzsky (accusato di idealismo), risolta in maniera autoritaria da Stalin con l’eliminazione di entrambi i contendenti;

– sia nella storia generale del marxismo, dove il materialismo meno la dialettica porta a quel materialismo relativista che è l’ideologia (almeno pratica) della moderna “società dei consumi”, mentre la dialettica meno il Materialismo porta ad un ritorno alla filosofia idealista, con un processo che il prof. Del Noce ha studiato in Gentile (la cui prima opera importante era dedicata a Marx).

Anche qui, le critiche che le due parti si muovono sono ugualmente valide: perché è vero che una pura “filosofia della prassi” non può tollerare un substrato idealistico, mitico com’è la dialettica, ma è anche vero che, se tutto è movimento, il movimento incessante della dialettica finisce per dissolvere, travolgere la materia.

Anche a livello speculativo, dunque, siamo di fronte ad una impasse insuperabile, ad uno scacco del marxismo. Al tentativo di risolvere questa impasse si dedicano le varie scuole neo-marxiste occidentali, mentre l’ortodossia regna nei paesi socialisti. Si ricerca da parte di queste scuole l’accordo fra i postulati del materialismo dialettico e la realtà naturale e sociale, che resiste caparbiamente alla popria evoluzione.

D’altra parte, il progredire della Rivoluzione e la degenerazione accelerata del costume sembrerebbero quasi scavalcare la filosofia rivoluzionaria per eccellenza: ed ecco dunque la necessità di collegare il marxismo all’esistenzialismo (Sartre e Merleau-Ponty), allo strutturalismo (Althusser), alle varie forme di “filosofia della liberazione” (Bloch e Marcuse).

B) – Di fronte a questa crisi, varie posizioni.

La crisi del marxismo è insieme la crisi della società e della cultura occidentale, che il marxismo ha profondamente segnato: e da essa dipende ‘attuale situazione di disorientamento generale, in cui tutti viviamo. Di fronte a questa crisi si possono assumere vari atteggiamenti:

– la dissoluzione Il comunismo è rivoluzionario, ma la Rivoluzione non si esaurisce nel comunismo. Portando avanti il processo rivoluzionario, si può arrivare a una presentazione della Rivoluzione come pura dissoluzione che vada oltre lo stesso marxismo: il surrealismo, la rivoluzione sessuale, la riscoperta di Sade, la IV Rivoluzione.

– la disperazione Se si crede che il marxismo abbia esaurito il suo vigore ma che, insieme, ciò che il marxismo ha negato (la filosofia dell’essere, i valori tradizionali), sia negato per sempre e non recuperabile, l’atteggiamento naturale sarà la disperazione (ad esempio, Horkheimer). Esistono anche travestimenti della disperazione: l’utopia “cosciente di essere tale”, la “parodia della rivoluzione” in Marcuse, il gioco e la burla generalizzati dei movimenti underground, l’esaltazione della droga come evasione dal mondo, ecc.

il “progressismo” cristiano

C’è chi crede che il marxismo possa essere “salvato” giustapponendovi i valori religiosi: è il “progressismo” cristiano. Ma la sua posizione deriva da una incomprensione del carattere totale del marxismo: e del resto i suoi tentativi non hanno mai “convertito” il marxismo al Cristianesimo, ma piuttosto molti cristiani al marxismo.

Si dice che il filosofo marxista Ernst Bloch, pur rimanendo ateo, abbia lanciato un “ponte” fra marxismo e Cristianesimo. E’ vero: ma questo ponte è fatto per essere attraversato in un senso solo, sempre da cristiani che passano al marxismo, mai da marxisti che passano al Cristianesimo.

– la Tradizione Un’ultima posizione consiste nel rifiutare il presupposto generale del marxismo, che preesiste a Marx: il primato del divenire, la negazione della Tradizione, la Rivoluzione. Esiste un seme, questo seme si è sviluppato e ne è nato un albero di errore e di morte. Piuttosto che cercare di salvare l’albero, non sarà forse opportuno rifiutare il seme?

Si tratta allora, di recuperare “per diametrum” tutto ciò che fin dall’inizio il marxismo e i suoi precedenti storici avevano negato: il primato dell’essere, la Tradizione. E’ il contrario della Rivoluzione: è la Controrivoluzione. Per precisarne i contenuti, occorre esaminare ulteriormente il concetto di Rivoluzione.

 

Conclusione

Il marxismo, si è detto, nega il primato dell’essere e nega, in particolare:

1°) – Il principio di identità e di non-contraddizione (A è uguale ad A ed è diverso da non-A; ciò che è è, ciò che non è non è), che deriva immediatamente dal primato dell’essere sul divenire.

Già per Hegel, il maestro di Marx, la verità delle cose non è nel loro essere, ma nel loro divenire, nel movimento, cioè nella dialettica: la verità della tesi è nella sua negazione, nell’antitesi, che permette il passaggio alla sintesi; di qui la formula: “ciò che è non è, e ciò che non è è”, che esprime il primato del divenire e la negazione del principio di non-contraddizione. “Et super hoc principio – dice San Tommaso – omnia alia fundantur” (su questo principio si fondano tutte le cose).

2°) – l’esistenza del peccato originale. Se vi fosse il peccato originale non sarebbe possibile la salvezza totale in terra, la società perfetta. Ma l’essere delle cose – come si è visto – è il loro non essere. L’essere della vita è la negazione dialettica della vita: la morte.

La finitezza dell’uomo (che è evidente: gli uomini sono finiti, muoiono) non è un limite indebito causato da qualcosa che segnerà per sempre gli uomini, ma è anzi una condizione intrinseca positiva, una antitesi che permette il processo dialettico. Ora, il principio di non contraddizione (il primato dell’essere) e l’esistenza del peccato originale sono il fondamento dell’idea di Tradizione.

Il primato dell’essere spiega l’esistenza di verità eterne e metastoriche, grazie alle quali si può vivere l’eterno nel tempo e che, in quanto metastoriche – non in balìa della storia, non dissolte dalla storia – possono essere consegnate (traditae) di generazione in generazione; mentre il peccato originale spiega che possono oscurarsi e possono essere dimenticate e perfino negate dagli uomini.

Il marxismo, quindi, è l’antitesi più radicale dell’idea di Tradizione. Il primato dell’essere, poi, fonda la stabilità della natura e delle sue leggi: leggi permanenti, oggettive, universali, valide cioè sempre e per tutti gli uomini, cosicché si può parlare di legge naturale, come legge morale che la ragione può leggere nella umana. Legge naturale che è fondamento di ogni legge positiva, anche se nessun ordinamento giuridico positivo potrà mai realizzarla nella sua pienezza e perfezione.

La negazione del primato dell’essere è la negazione di Dio e della verità metafisica, la negazione della legge morale, del diritto naturale e quindi la negazione dei primi istituti naturali, derivabili cioè dalla stessa natura dell’uomo e dalle sue inclinazioni, i quali sono la famiglia, la proprietà, lo Stato: istituti di natura e non di storia e come tali ineliminabili, eliminabili solo attraverso il terrore e la repressione più spietata.

Ma se l’autore della natura è Dio, e non l’uomo, la negazione degli istituti naturali è anzitutto la negazione di Chi ha fatto le creature, la negazione del Creatore nella negazione del creato, il rifiuto di Dio nel rifiuto della famiglia e della proprietà. Questa è l’essenza rivoluzionaria del comunismo, caricando il termine Rivoluzione, considerato, al di là del suo significato di sommovimento episodico, come categoria filosofico-politica, di una valenza metafisica, e intendendolo nella sua realtà più profonda.

Che cos’è la Rivoluzione? E’ la negazione dell’ordine naturale e cristiano e cioè di una società e di un mondo fondati sulla legge naturale e rivelata, la negazione in ultima analisi dell’Autore di questa legge, cioè di Dio. In questo senso si può stabilire un’essenza metafisica della Rivoluzione, che è anche l’essenza del comunismo, senza con questo dire che il comunismo esaurisca la Rivoluzione.

Se unica infatti è la verità, unica è l’essenza del rifiuto di essa – il “non serviam” (di Lucifero) – la “liberazione” cioè da ogni dipendenza politica e spirituale, ma infinite sono le possibili manifestazioni di questo rifiuto. La Rivoluzione è unica nell’essenza, e molteplice nelle manifestazioni: manifestazioni che, storicamente diverse ed eterogenee, sono accomunate dall’unicità dell’essenza e del fine.

Solo in questa prospettiva si potrà poi intendere in che modo realmente la Riforma Protestante prefiguri la Rivoluzione Francese e questa prefiguri a sua volta, la Rivoluzione Bolscevica: avvenimenti che si presenterebbero altrimenti come blocchi storici a sé stanti, quasi inesplicabili compartimenti stagni.

La Rivoluzione invece ha una sua storia, la storia di una marcia verso società sempre meno naturali, sempre meno fondate sul primato dell’essere, sempre più palesi nella negazione di Dio. La Rivoluzione è un blocco, e combatterne solo una parte significa essere sopraffatti dalle altre.

E’ necessario conoscere il comunismo, l’ala marciante della Rivoluzione, ma è anche necessario imparare a identificare le altre componenti del blocco rivoluzionario che, anche se si presentano come diverse e perfino avversarie del comunismo, in realtà ne facilitano l’avvento. Così, è necessario anche comprendere che la Rivoluzione è un blocco non solo politico o ideologico, ma si sviluppa a partire da un insieme di tendenze, di atteggiamenti, di modi di vivere diffusi anche negli ambienti migliori, e da cui il comunismo nasce e si alimenta.

Il comunismo non è solo un partito politico o una setta filosofica: il comunismo è un vizio intellettuale e morale di cui gran parte degli uomini moderni (e non soltanto i comunisti dichiarati) finiscono per essere preda. Un autentico anticomunismo dovrà colpire il bersaglio nemico nella sua stessa essenza, nel suo cuore. Per colpire il male alle radici per sconfiggere il comunismo va colpita dunque al cuore la Rivoluzione nella sua essenza, prima ancora che nelle sue manifestazioni.

La Rivoluzione appare come il drago a più teste, che produce continuamente nuovi mostri. Il compito dell’anticomunista è dunque quello di trasformarsi in controrivoluzionario, in combattente cioè che non si limiti a tagliare teste che continuano fatalmente a riprodursi, ma che colpisca il drago al cuore, e la chiave per la vittoria è la completa conversione a Gesù Cristo Nostro Signore.

(Il giorno 8 dicembre 1991, festa dell’Immacolata Concezione, i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia annunciarono al mondo la dissoluzione dell’URSS; il successivo giorno 25 dicembre, Natale di Nostro Signore, il presidente dell’Urss Gorbaciov si dimise. Il partito comunista fu dichiarato fuorilegge, la bandiera rossa ammainata e la capitale Leningrado tornò immediatamente a chiamarsi S. Pietroburgo.  Leggi anche: Le apparizioni della Madonna e la storia d’Europa)

 

Note

(1) – Tesi politiche del IX Congresso del PCI, ed. Riuniti, Roma 1960.

(2) – G. STALIN, Il materialismo dialettico e il materialismo storico, in: Questioni del Leninismo, ed. it., Mosca 1945, p. 180.

(3) – H. LEFEBVRE, Il marxismo, ed. it. Garzanti, Milano 1954, p. 19.

(4) – TREVISANI, Piccola Enciclopedia del socialismo e comunismo, Milano, Calendario del popolo, 1958, p. 32.

(5) – LENIN, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, in: Opere scelte, ed. Riuniti — Progress, Roma – Mosca, s.d., vol. I, p. 42-44.

(6) – LENIN, Materialismo ed empirio-criticismo, in: Opere scelte, cit. vol. III, p. 371.

(7) – IDEM, cit. p. 116.

(8) – IDEM, p. 141.

(9) – ENGELS, Antiduring, in Marx – Engels, Opere complete, vol. XXV, Roma 1974, p.48.

(10) – ENGELS, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Rinascita, Roma 1950,p. 18.

(11) – MARX, I^ tesi su Feuerbach, op. cit., p. 81.

(12) – ENGELS, Antiduhring, cit., p. 135.

(13) – ENGELS, Dialettica della natura, in: Marx-Engels, Opere complete, vol. cit. p. 365.

(14) – IDEM, p. 529.

(15) – M. ALOISI, prefazione a S. Bernal e altri, L’origine della vita, Feltrinelli, Milano 1962, p. IX.

(16) – H. LEFEBVRE, Il marxismo, cit., p. 37.

(17) – ENGELS, Dialettica della natura,

(18) – MARX-ENGELS, L’ideologia tedesca, ed. Riuniti, Roma 1958, p. 17.

(19) – MARX, VI Tesi su Feuerbach,in: ENGELS, L. Feuerbach, cit. p. 84.

(20) – MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in: Opere filosofiche giovanili, ed. Riuniti, Roma 1963, p. 203.

(21) – MARX, Critica al Programma di Gotha, in: Marx-Engels, Opere scelte, ed, Riuniti, Roma 1966, p. 962.

(22) – LENIN, in: Les principes du marxisme-leninisme, antologie, Progress, Mosca 1961, pp. 875-876.

(23) – STALIN, Materialismo dialettico e materialismo storico, Rinascita Roma 1954, p. 9.

(24) – MARX-ENGELS, L’ideologia tedesca, ed. Riuniti, Roma 1958, p. 70.

(25) – H. LEFEBRE, Il marxismo, cit. p. 56.

(26) – MARX, Per la critica dell’economia politica, prefazione, ed. Riuniti, Roma 1972, p. 15.

(27) – STALIN, Materialismo dialettico e materialismo storico, cit. p. 20.

(28) – MARX-ENGELS, Manifesto del partito comunista, ed. Riuniti, Roma 1974, p. 55.

(29) – MARX-ENGELS, Manifesto, cit. p. 56.

(30) – ENGELS, Prefazione all’edizione tedesca del Manifesto, in: Manifesto, ed. cit., pp. 39-40.

(31) – LENIN, Stato e Rivoluzione, in: Opere scelte, vol. II, Progress, Mosca 1947, p. 168.

(32) – LENIN, Stato e Rivoluzione, in opere scelte, vol. II, Progress, Mosca 1947, p. 195.

(33) – MARX, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel Introduzione, in: Marx-Engels, Opere scelte ed. Riuniti, Roma 1966, p. 58.

(34) – LENIN, Socialismo e Religione, in: Opere scelte, cit.,vol. I, p. 674.

(35) – IDEM, La religione nell’URSS, Feltrinelli, Milano 1961, p. 3.

(36) – Lenin, Socialismo e Religione, cit. p. 677.

(37) – MARX, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, cit. p. 58.

(38) – IDEM, p. 65.

(39) – LENIN, Socialismo e Religione, cit. p. 678.

(40) – MARX, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, cit. introduzione, passim.

(41) – MARX-ENGELS, L’ideologia tedesca, ed. Riuniti, Roma 1967, p. 53.

(42) – MARX, Il capitale, ed. Riuniti, vol. I, Roma 1967, p. 536.

(43) – ENGELS, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, tr. it. Newton Compton, Roma 1974.

(44) – ENGELS, Il catechismo dei comunisti, premesso all’ed. del Manifesto, Edizioni del Maquis, Milano 1971, p. 31.

(45) – ENGELS, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, ed. Riuniti, Roma 1970, p. 103.

(46) – ENGELS, Il catechismo dei comunisti, cit. p. 19.

(47) – MARX – ENGELS, Manifesto del partito comunista, ed. Riuniti, Roma 1971, p. 78.

(48) – ENGELS. Il catechismo dei comunisti, cit. p. 19.

(49) – IDEM, p. 23.

(50) – IDEM, pp. 24-26.

(51) – ARTHUR ROSENBERG, ex-membro del comitato Esecutivo della Terza

internazionale, Storia del Bolscevismo, ed, it. Sansoni, Firenze 1969, p. 3.

(52) – H. LEFEBVRE, Il marxismo, cit. p. 49.

(53) – LIU SCIAO-CHI, Rapporto del 14 giugno 1950 della segreteria generale del Partito Comunista Cinese.

(54) – LENIN – K. MARX in: Opere scelte, cit. vol. I, p. 31.

(51) – ARTHUR ROSENBERG, ex-membro del comitato Esecutivo della Terza internazionale, Storia del Bolscevismo, ed, it. Sansoni, Firenze 1969, p. 3.

(52) – H. LEFEBVRE, Il marxismo, cit. p. 49.

(53) – LIU SCIAO-CHI, Rapporto del 14 giugno 1950 della segreteria generale del Partito Comunista Cinese.

(54) – LENIN – K. MARX in: Opere scelte, cit. vol. I, p. 31.

(55) – MARX, La dominazione britannica in India, in: Marx-Engels, India-Cina-Russia, il Saggiatore, Milano 1970, pp. 76-77.

(56) – MARX, Discorso sulla questione del libero scambio, cit. in India-Cina-Russia, cit. p. 123.

(57) – STALIN, Les principes du Léninisme, Editions Sociales, Paris 1947, p. 100.

(58) – LIU SCIAO-CHI, Pout etre un bon communiste, Editions sociales Paris 1955 p. 49.

(59) – ENGELS, Antiduhring, ed. it. Cit. p. 115.

(60) – H. LEFEBVRE, Il marxismo, cit. p. 90.

(61) – F. BORKENAU, Storia del comunismo europeo Neri Pozza, Vicenza 1963, p. 21.

(62) – LENIN, Che fare?, in: Opere scelte, Progress, Mosca 1947, vol. I, p. 224.

(63) – LENIN, I compiti urgenti del nostro movimento, in: Opere, vol. IV, ed. Riuniti, Roma 1957, p. 406.

(64) – LENIN, Che fare?, cit. p. 213.

(65) – LENIN, Che fare?, cit. pp. 214-215.

(66) – IDEM, pp. 213-214.

(67) – IDEM, p. 221.

(68) – IDEM, p. 233.

(69) – IDEM, p. 233.

(70) – LENIN, L’estremismo malattia infantile del comunismo, ed. Riuniti, Roma 1974, p. 10.

(71) – IDEM, pp. 58-59.

(72) – IDEM, p. 38.

(73) – IDEM, p. 155 – la sottolineatura è dello stesso Lenin.

(74) – IDEM, p.105