Le critiche a Papa Francesco: questa è la nostra risposta

Negli ultimi giorni un articolo pubblicato dal quotidiano Il Foglio e dal contenuto molto critico nei confronti dell’attuale Pontefice, ha scatenato una ridda di polemiche nei mass media. Gli autori, da decenni collaboratori di Radio Maria, sono stati gentilmente dimessi dai loro incarichi;  i blog più ostili ad ogni evoluzione papale si sono schierati a favore dei malcapitati, ovviamente a spese di Papa Francesco; i vaticanisti più autorevoli hanno opposto ai critici  dotte difese in punta di teologia; nei forum si è letto di tutto mentre molti siti cattolici, come il nostro, hanno osservato – è proprio il caso di dirlo – un religioso silenzio.

 

Ma il dovere d’informazione e il mandato di servizio alla Chiesa che ci siamo dati ci impone di dire la nostra. Il punto nodale dal quale hanno preso l’avvio le critiche è stata l’intervista ad Eugenio Scalfari, anche se la protesta contro il nuovo corso iniziato dal Papa era già nell’aria.

Abbiamo quindi deciso di affidare l’elaborazione della nostra risposta ad una persona al di fuori della mischia, la cui competenza in materia è solo quella derivante dall’attuazione del messaggio evangelico nella propria vita. Si tratta di una giovane donna, di professione avvocato, che in contrapposizione alle logiche del mondo ha deciso di anteporre l’interesse del marito e dei figli a quello del profitto economico.  E’ perciò nient’altro che una sposa cristiana, che realizza nella sua famiglia il progetto d’amore di Dio per gli uomini, sperimentando che le promesse di Gesù non deludono.

 

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Mi è stato chiesto di scrivere alcune considerazioni sulle ultime vicende che hanno coinvolto Papa Francesco in critiche all’interno del mondo cattolico. Certuni infatti ritengono che la sua predicazione e, in generale, la sua comunicazione della lieta Novella allontani il gregge ed avvicini i non credenti.

Che cosa afferma Papa Francesco di così contraddittorio da scaldare il cuore del non battezzato e da raggelare invece l’animo del fedele discepolo che va a Messa la domenica, cerca di mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo e partecipa, magari in qualche modo, alla vita culturale e dottrinale cattolica?

Mi stupisco di tutte le polemiche sorte, perché le risposte a questa domanda sono davvero molto semplici.

I primi aspetti da considerare sono l’avvenuto cambiamento dell’immagine del Papa ed i compiti che il Vicario di Cristo è chiamato a svolgere nella sua funzione apostolica.

Interroghiamoci quindi su quali siano i doveri di un Pontefice, partendo innanzitutto dall’analisi della missione evangelizzatrice di Gesù: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati, non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17). E su ciò sembra che le idee siano chiare a tutti.

Se però Gesù diceva di sé “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 15,24) ed a Pietro ha comandato “Pasci le mie pecore” (Gv 21,16), ai discepoli, prima della sua ascensione, ha dato un compito molto più impegnativo: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15).

Due obiettivi ha quindi il nostro Papa: nutrire spiritualmente il gregge di Dio, ossia agli appartenenti alla Chiesa, e annunciare il contenuto del Vangelo ad ogni creatura.

Il termine creatura ha un’estensione di significati ampissima, più vasta di quella limitativa di ‘uomo’, non certo perché occorra predicare anche agli animali ed ai vegetali, ma perché ogni forma umana – dal punto di vista fisico e spirituale –  è talmente differente rispetto alle sue simili che solo lo Spirito Santo è in grado di raggiugerle tutte con un linguaggio uniforme e nello stesso tempo diversificato: “Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua” (At 2,6).

 

Per quale ragione dunque Papa Francesco è contestato proprio nella sua modalità di comunicazione/trasmissione delle fede cattolica?

Come ha osservato giustamente mio marito, con un passato da non credente ed una fede religiosa scoperta solo da pochi anni, il Papa ha iniziato a parlare proprio agli atei: il suo annuncio non ha come unico destinatario il fervente credente  o il battezzato tiepido, che si è allontanato dalla fede per le tribolazioni o le tentazioni del mondo moderno.

Egli parla, con un linguaggio comune, ad un popolo dal cuore e dai desideri uniformi, popolo composto da credenti e non credenti, simili nella debolezza, nella tendenza al peccato e nel desiderio di felicità.

E’ proprio questo destinare il suo messaggio a noi credenti ed coloro che non lo sono a farci sentire un po’ smarriti, quasi a non ritenerci meritevoli di un percorso spirituale basato su una comunicazione del tutto originale e di livello spirituale del tutto nuovo.

Ma io sottolineo che il Papa non è il nostro direttore spirituale, così come lo stesso Gesù parlava ai suoi discepoli in certi termini ed alle folle in altri.

Ciò che Francesco usa è il linguaggio comune dell’amore, poggiato su concetti filosofici tradizionali che appartengono a tutti i ceti sociali, di immediata comprensione e di difficile fraintendimento.

Chi ascolta comprende quindi il messaggio a seconda del suo stato culturale, del suo cammino spirituale, della sua appartenenza o meno alla Chiesa Cattolica.

Sul vocabolo “comprendere”, che ho utilizzato, molti si sono soffermati ponendosi degli interrogativi: che cosa comprende da quei discorsi un non credente? Che cosa sta trasmettendo davvero il Papa a questi individui non nutriti dalla dottrina cattolica?

Queste domande stanno generando una situazione di panico preoccupante, ma davvero immotivato.

 

Prendiamo il colloquio del Papa con Scalfari, pubblicato su Repubblica pochi giorni or sono. La seguente affermazione del Pontefice ha ammutolito una massa di cattolici: “Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».

Da un’analisi obiettiva penso che nessun battezzato possa dubitare che i suoi parametri di bene e male si rifacciano a Dio con i suoi Comandamenti ed al suo antagonista biblico. In ciò non individuo alcuna confusione terminologica o teologica tra quello che Papa Francesco ha affermato e la fede in Cristo.

Anche da un punto di vista filosofico ci troviamo di fronte alla tradizione metafisico-platonica ed alla dottrina di Sant’Agostino nelle Confessioni, là dove egli sostiene l’albergare di Dio nell’interiorità di ogni essere umano: “Ti cercavo fuori di me e non ti trovavo, perché tu sei il Dio del mio cuore” (Confess. 6, 1.1).

Ciò che sta angosciando alcuni dei nostri fratelli è la paura – e, sottolineo, la paura – che questa comunicazione sia male interpretata dall’ateo, dall’anticlericale e da tutti coloro che non appartengono agli uomini di buona volontà.

Tuttavia la reazione riscontrata nel mondo non cattolico a questo nuovo approccio evangelico è molto positiva: le parole del Papa non spaventano e non sono oggetto di critica da parte di nessuno.

Ed ecco la prima eccezione che mi sento sollevare: non sono mosse critiche dagli atei perché il Papa li autorizza a formarsi una coscienza in contraddizione, ovvero in assenza, dei comandamenti di Dio. La mia risposta è molto semplice: chi ha detto che spingere l’uomo ad ascoltare la propria coscienza lo spinga a commettere il male piuttosto che il bene?

Papa Francesco ha fiducia nell’uomo, così come l’ha avuta Cristo, che ha investito su di noi con il suo sacrificio e con la speranza che aderissimo ai suoi insegnamenti.

 

Ciascuno può salvarsi, anche il non battezzato; ma se questi non ha strumenti per conoscere Dio e la Sua Chiesa deve avere modo di poterlo cercare, e per cercarlo deve iniziare ad ascoltare se stesso e a porsi alcuni interrogativi.

La ricerca del bene è il principio di ogni cosa. “Conosci te stesso” era il monito scritto sul tempio dell’Oracolo di Delfi. “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” (Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che risiede la verità) scriveva Sant’Agostino. (De vera rel. 39, 72)

La cultura laica greca e quella latino-cattolica sono concordi nel ritenere che Dio illumina da dentro e che questo è il primo passo per un cammino verso la ricerca, la conoscenza e la scoperta dell’amore di Dio.

La coscienza, quale segno interiore della nostra provenienza da Dio, è quindi la prima àncora di salvezza di un non credente, il primo confronto con la presenza del divino nella vita di ognuno. E per noi cattolici la coscienza ha un ruolo estremamente importante.

Io stessa devo dirimermi tra scelte morali quotidiane che non sono regolate direttamente dal Decalogo o dal catechismo: in questi casi sembra necessario ricorrere alla preghiera ed ascoltare profondamente che cosa sia giusto compiere secondo coscienza, ovvero in conformità a quella soluzione interiore che lo Spirito di Dio sussurra nel cuore di chi l’invoca.

Ritengo sia errato, dal punto di vista dottrinale, filosofico, umano e sociale ritenere che la coscienza del battezzato sia diversa da quella del non credente: la differenza sta solo nella facilità di comunicazione con Dio che, diventando Padre, si rende maggiormente intellegibile grazie all’eliminazione del peccato originale.

Noi battezzati siamo solo più facilitati all’ascolto ma ci basta un peccato mortale e siamo in pareggio con qualunque altro peccatore. E’ un’illusione credere che il misurarsi quotidianamente con il Decalogo ci sollevi dalla necessità di rifarci ad una coscienza, ossia ad un dialogo interiore con il Signore. In tal caso dovremmo mettere in discussione la nostra fede, intesa come cammino di comunicazione con Dio verso la conoscenza e l’imitazione di Cristo.

 

Premesse queste osservazioni, bisogna concludere che il rischio di affidarsi ovvero di formarsi una falsa coscienza appartenga a tutti ed è una presunzione pensare che un cristiano, tenendo presente il Vangelo, sia meno propenso al peccato e che il Papa evangelizzi bene solo allorquando inviti i non credenti a mettere in pratica gli insegnamenti ivi contenuti.

Ma ogni cosa a suo tempo: per un ateo il Vangelo è un libro come tanti e non lo aprirà di certo se qualcuno gli dirà pubblicamente di farlo, ma forse lo farà se, solo e in casa propria, indagherà in se stesso … Lo stesso Decalogo è stato dato ad un popolo che già conosceva il suo Dio, che già aveva esplorato la propria coscienza adorando e poi respingendo il proprio Creatore, in un contatto con il divino portato avanti dalla notte dei tempi.

Il segno di contraddizione invece è proprio un indice della presenza di Dio:  “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19).

Crediamo davvero che in quelle tavolate con i peccatori il mistico Ospite si sedesse ad offendere o a tediare i commensali con la Legge? Non usava Egli un linguaggio differente? E i dottori della Legge interpretavano forse le scritture a mezzo di parabole? Non era criticabile che un uomo parlasse delle cose del Cielo paragonandole alla farina che lievita? (Mt 13,33)

Pensiamoci: il sacerdote Caifa impastava forse il pane, o lo faceva piuttosto la sua schiava, probabilmente politeista e che, probabilmente, ascoltava nel proprio tempo libero il nostro Messia, seduta su un prato arido?

 

Mi appare evidente che Papa Francesco abbia guardato Gesù e che si sia adeguato al suo Maestro: “Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone” (Mt 10, 24-25); “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno” (Lc 9,3); “Signore non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola ed il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8)

In Papa Francesco, quindi, non credo ci sia eccentricità e narcisismo, ma semplicemente l’imitazione e il desiderio di essere come il proprio Maestro, Padre, Amico cui ha dedicato l’intera sua vita.

Condividere la propria esistenza con qualcuno condiziona: il carattere spontaneo del nostro Pontefice ed il suo stile di vita non sono affatto mediati sul piano della comunicazione, noi diremmo volgarmente “parla come mangia”. Non contano per lui televisioni, radio, “trucco e parrucco”, solo un monito sembra essere invece prioritario per lui: “State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso” (Mt 13,33).

Lorenza Cattaneo

 

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